• Non ci sono risultati.

Parte II. Economia

2. Mercantilismo e laissez-faire

2.2. Mercantilismo o laissez-faire?

2.2.2. Il Saggio sulle scuole di carità

Quello che rappresenta il legame più forte di Mandeville con l’ideologia mercantilista si ritrova nello scritto sulle scuole di carità, un saggio del 1723 dove il filosofo olandese, nella critica a queste istituzioni religiose, colpevoli di privare la manodopera britannica di forza lavoro, si schiera a favore di posizioni tipicamente mercantiliste, quali l’idea dell’utilità della povertà188, e della necessità, dunque, di mantenere il salario dei lavoratori limitato alla sussistenza personale. Un paese, sostiene Mandeville, è composto da un certo numero di persone che si godono agi e comodità, e da altre che svolgono tutto il lavoro necessario per procurarglieli. Il benessere della popolazione “non attiva” (è così che il filosofo si riferisce alle persone benestanti) è dato anche dagli effetti del basso costo della manodopera. Le derrate alimentari, ad esempio, possono avere prezzi contenuti fintantoché c’è un numero sufficiente di lavoratori che accettano salari bassi, cosa possibile solo se permane una fascia consistente della popolazione che esegue i lavori di fatica, e se non c’è mai carenza di “braccia”. Le scuole di carità tolgono forza lavoro al mercato conferendo agli orfani o ai figli dei poveri un’educazione troppo scarsa per consentire loro una vera alternativa alla bassa manovalanza, ma sufficiente comunque a far desiderare loro molto di più, troppo di più, di quello che potrebbero ottenere con un normale lavoro nei campi. Spesso infatti, secondo Mandeville, il risultato di queste scuole è di produrre una massa di persone pigre che non si vogliono piegare ai lavori umili ma che non hanno comunque altre possibilità oltre a quelli, e che finiscono per diventare mendicanti e ladri. Mandeville afferma che «il benessere di tutte le società [...] esige che il lavoro sia compiuto da tutti quei suoi componenti che, forti e robusti, non abituati all’ozio e alla pigrizia, si accontentano del solo necessario per vivere, sono felici di vestirsi sempre con le stoffe più grossolane, si preoccupano soltanto che il cibo

187

Ibidem. 188

A proposito della “dottrina dell’utilità della povertà”, E.S. Furniss scrive in un capitolo, ad essa espressamente dedicato, del suo volume The Position of the Laborer in a System of Nationalism. A Study in the

Labor Theories of the Later English Mercantilists, The Riverside Press Cambridge, Cambridge, MA (USA)

1920, p. 117: «the frequently asserted opinion that low wages and high prices were beneficial to the nation, an opinion which in its most candid form insisted that national interest demanded that the bulk of the population be kept in a condition of poverty, was a striking example of this belief».

basti a nutrire il corpo»189, isolando così questa classe di lavoratori dal resto degli uomini a cui la sussistenza non basta, e che lavorano nella speranza di migliorare la propria condizione, avanzare nella scala sociale. I salariati sopra descritti sembrano possedere orgoglio e desiderio di gloria in quantità minime, o comunque minori di quelle che si osservano nelle persone appartenenti a ceti più elevati.

Le idee sopra esposte testimoniano il legame di Mandeville con il suo tempo. Come infatti scrive J.A.W. Gunn, «no doubt Mandeville was in many respects brutally insensitive to the needs of the powerless. Nevertheless, the avowed enemies of tyranny and corruption seem rarely to have paid the poor any attention at all, especially in the period before 1750. The prerequisite for a better society was surely taking seriously the social and economic setting of the existing one – including its abuses»190: non deve affatto sorprendere, dunque, di trovare nel filosofo olandese una difesa così sentita della necessità delle differenziazioni sociali, né la considerazione dei poveri come una categoria di esseri umani per cui vigevano regole diverse che per gli altri uomini. Nel corso del diciassettesimo e del diciottesimo secolo si vanno progressivamente delineando i caratteri generali di quello che diventerà il liberalismo politico, che sarà comunque sempre ancorato all’idea delle differenze sociali, e dell’esclusione dei poveri da qualsiasi tipo di partecipazione nell’amministrazione del paese. In nessun pensatore dell’epoca si trovano idee di tipo democratico, e questo si riflette naturalmente in ambito economico.

L’assunto su cui il filosofo basa l’idea che la classe più bassa debba essere mantenuta nell’ignoranza, è che non si può desiderare più di tanto ciò di cui non si ha conoscenza – concetto su cui poi torna nella Fable II, quando dichiara esplicitamente che «è impossibile che una creatura senta bisogno di una cosa di cui non ha idea»191. In qualche misura, infatti, chi ha sempre vissuto lontano da certi tipi di comodità, senza nemmeno immaginarsele, non le potrà mai davvero desiderare. Come potrebbe un contadino delle campagne inglesi, che non si è mai mosso dal suo campo se non per andare nel borgo più vicino a vendere i prodotti che ha coltivato, soffrire perché non ha servitori, stoffe pregiate con cui vestirsi, e

189

B. Mandeville, Saggio sulla carità e sulle Scuole di Carità, in La favola delle api, cit., p. 198; «the Welfare of all Societies [...] requires that it should be perform’d by such of their Members as in the first Place are sturdy and robust and never used to Ease or Idleness, and in the second, soon contented as to the necessaries of Life; such as are glad to take up with the coursest Manufacture in every thing they wear, and in their Diet have no other aim than to feed their Bodies when their Stomachs prompt them to eat», An Essay on Charity and

Charity-Schools, in Fable I, cit., pp. 286-287.

190

J.A.W. Gunn, Mandeville: Poverty, Luxury, and the Whig Theory of Government, in Beyond Liberty and

Property, cit., p. 117.

191

B. Mandeville, Dialoghi (VI dialogo), cit., p. 194; «it is impossible, that any Creature should know the Want of what it can have no Idea of», Fable II (6th dialogue), cit., p. 285.

arredamenti sontuosi? Le scuole di carità sono per Mandeville colpevoli di lasciare intravedere un mondo in cui non rientra il duro lavoro a chi non avrà mai la possibilità di accedervi, e che passerà così il resto dei suoi giorni a dolersi di quello che non ha, rifiutandosi di servire, con la sua fatica, il ricco che invidia; quel poco di cultura che viene impartito in queste istituzioni religiose ha l’effetto di aumentare anche i desideri di coloro che li frequentano. Si comprende così il motivo di affermazioni come: «per garantire la felicità di una nazione e la tranquillità alla gente anche in circostanze sfavorevoli, è necessario che un gran numero di persone sia ignorante e povero. La conoscenza allarga e moltiplica i nostri desideri e quanto meno cose un uomo desidera, tanto più facilmente si può provvedere alle sue necessità»192.

Mandeville struttura la sua critica alle scuole di carità cercando di mostrare che una sproporzione elevata anche solo nel livello culturale tra poveri e ricchi non è dannosa, perché consente ai primi di adattarsi senza problemi a una vita di sacrifici, cosa che riesce a sopportare solo chi non ha mai avuto l’occasione di sperare per sé un altro futuro. Chi infatti ha imparato, anche se malamente, a leggere, scrivere e fare di conto non accetterà più di buon grado di lavorare al servizio altrui, pur non avendo acquisito nessuna competenza sufficiente a consentirgli di intraprendere un’altra strada.

Al di là delle considerazioni di carattere prettamente economico, come l’aumento dei prezzi che comporta la diminuzione di manodopera, parte della critica agli istituti di carità confluisce in un attacco più generalizzato all’ipocrisia dei suoi sostenitori193. Infatti la confutazione operata da Mandeville è dello stesse genere di quella già usata nella Favola. Il filosofo vuole dimostrare gli errori di differenti categorie di difensori di queste istituzioni. In primo luogo vi sono coloro che sostengono che le scuole di carità siano utili per l’istruzione che danno, che sbagliano perché queste non forniscono una vera educazione, utile a qualche scopo, ma una semplice infarinatura che risulta dannosa. Vi sono poi quelli che ritengono che siano utili per i precetti religiosi che insegnano, convinti che questo favorisca l’etica personale, e anch’essi cadono in errore, e lo prova il fatto non ci sono tanti ladri e furfanti quanto quelli che escono dalle scuole di carità. Che poi l’educazione religiosa sia sinonimo di morale, è un assunto falso che Mandeville ritiene già ampiamente confutato. Tutti, d’altro

192

B. Mandeville, Scuole di carità, cit., p. 199; «To make the Society happy and People easy under the meanest Circumstances, it is requisite that great Numbers of them should be Ignorant as well as Poor. Knowledge both enlarges and multiplies our Desires, and the fewer things a Man wishes for, the more easily his Necessities may be supply’d», Charity-Schools, cit., pp. 287-288.

193

Infatti sono esatte le parole di Gunn, che afferma che «despite his apparent lack of concern for the poor, Mandeville’s satire even served to emphasize the suffering and hypocrisy on which prosperity was found»,

Mandeville: Poverty, Luxury, and the Whig Theory of Government, in Beyond Liberty and Property, cit., p.

canto, vorrebbero continuare ad acquistare prodotti alimentari e di artigianato a basso costo, per cui è necessaria molta manodopera, di cui le scuole di carità privano il mercato, e dunque nuovamente si sbaglia a sostenere queste scuole: più numerose saranno, meno poveri confluiranno nei lavori di fatica, più i prezzi aumenteranno. Chi crede infine che queste possano migliorare la vita di chi le frequenta, incorre in un altro errore, poiché nulla rende più infelici gli uomini che aumentare le loro aspirazioni verso cose che non potranno mai avere. Si tratta, come è caratteristico dello stile di Mandeville, di affermazioni fortemente provocatorie e, per usare un’espressione contemporanea, molto “politicamente scorrette”. Ma lo scopo di queste provocazioni è, ancora una volta, mostrare le incongruenze in cui incorrono gli aperti sostenitori dell’utilità delle scuole di carità, che si appellano a principi di umanità e benevolenza, ma non si curano minimamente dei molti effetti negativi che queste istituzioni generano.

Le ultime pagine del saggio sulla carità contengono un’analisi del problema dei costi dei manufatti derivati dalla lavorazione della lana. L’Inghilterra infatti, uno dei paesi con la più alta disponibilità di lana, ne esportava moltissima a paesi che, nonostante la pagassero molto di più rispetto a quello che costava agli inglesi, riuscivano a rivenderne i manufatti a costo inferiore sui mercati internazionali. La spiegazione è che la manodopera inglese costa di più e rende di meno, cosa che, per Mandeville, dipende dalla quantità di lavoratori che, nelle altre nazioni, sono disposti a lavorare per più ore, guadagnare di meno, e svolgere il loro impiego con maggiore soddisfazione, cosa possibile solo se non si instilla nei loro animi l’idea che possono avere di più: «Accertato che si deve lavorare molto [...] quanto più volentieri questo lavoro è eseguito, tanto meglio è per quelli che lavorano e per il resto della società. Essere felici consiste nell’essere soddisfatti e un uomo si accontenta facilmente di quello che ha, se non conosce un modo di vita migliore»194. Mandeville intuisce che la soddisfazione personale deriva dal rapporto tra ciò che si desidera e ciò che si ritiene di avere: più si alzano le aspettative degli uomini, facendoli venire in contatto con delle prospettive di vita migliori, più aumenta la sproporzione tra ciò che si ha e ciò che si vorrebbe, e cresce, insieme, l’infelicità. Per questo egli ritiene che sia opportuno rendere la distanza tra poveri e ricchi abbastanza grande da non far apparire troppo facile una possibile elevazione: un desiderio che il soggetto desiderante sa essere impossibile è meno pericoloso di un altro che appare realizzabile. E dal punto di vista dei prezzi dei manufatti inglesi, che

194

B. Mandeville, Scuole di carità, cit., p. 220; «It being granted then […] the more chearfully it is done the better, as well for those that perform it as for the rest of the Society. To be happy is to be pleas’d, and the less Notion a Man has of a better way of Living, the more content he’ll be with his own», Charity-Schools, cit., p. 314.

aumentano allo scarseggiare di manodopera, è senza dubbio più vantaggioso far sì che il dislivello sociale rimanga sufficientemente ampio.

Della stessa natura è l’argomento di cui Mandeville si serve per provare la necessità delle differenze sociali. Per far vedere come solo i poveri e gli ignoranti siano adatti alla vita di fatica e di stenti, e non chi invece ha vissuto parte della sua esistenza a studiare o, in ogni caso, senza esercitare mestieri pesanti (come i ragazzi allevati nelle scuole di carità, che non hanno mai provato agi, ma nemmeno la fatica fisica), Mandeville si basa sull’assunto che l’assenza di qualcosa non è dolorosa come la sua perdita. Trasposto nello specifico della vita dei poveri, chi non ha mai condotto una vita agiata, che non ha mai goduto delle sue comodità, non può avere nulla da rimpiangere, e si adatta senza sforzo alla frugalità. Le scuole di carità, pur non dando un minimo di assaggio, a chi le frequenta, di una vita migliore, con quel poco di educazione che impartiscono fanno aumentare a dismisura il desiderio di elevarsi, e abituano a uno stile di vita di mollezza e pigrizia, a cui è difficile disabituarsi. Per questo Mandeville è dell’idea che le differenze sociali vadano mantenute il più possibile elevate. Scrive infatti che «quanto più le persone differiscono nella loro condizione sociale, tanto meno sono in grado di giudicare le reciproche gioie e dolori»195.

Suona così, di conseguenza, la ricetta che Mandeville propone per il benessere dell’Inghilterra:

È senz’altro possibile spingere i poveri al lavoro senza usare la forza, scoraggiando soltanto la pigrizia con una serie di provvedimenti abili ed energici; mantenendoli nell’ignoranza si possono abituare ad una durissima fatica senza che essi la giudichino tale. [...] La loro conoscenza deve rimanere confinata nei limiti del loro lavoro. [...] Quando [...] avremo reso meno costosi i generi di prima necessità e di conseguenza avremo fatto diminuire il costo del lavoro [...] supereremo le vendite dei nostri vicini e nello stesso tempo aumenteremo la nostra popolazione.196

Mandeville afferma così il paradosso mercantilista, criticato poi da Adam Smith, che una nazione possa diventare ricca attraverso la povertà dei suoi lavoratori. Anche Karl Marx, che pure definisce Mandeville “uomo onesto e mente chiara”, nel capitolo sulla Legge generale

dell’accumulazione capitalista, commenta che il filosofo olandese «non capisce ancora che

195

Ivi, cit., p. 221; «the greater the distance is between People as to their Condition, their Circumstances and manner of Living, the less capable they are of judging of one anothers Troubles or Pleasures», Charity-Schools, cit., p. 315.

196

Ivi, p. 222; «As by discouraging Idleness with Art and Steadiness you may compel the Poor to labour without Force, so by bringing them up in Ignorance you may inure them to real Hardships without being ever sensible themselves that they are such. […] their Knowledge should be confin’d within the Verge of their own Occupations […] when [...]we shall have made Provisions, and consequently labour cheap, we must infallibly out-sell our Neighbours», Charity-Schools, cit., p. 317.

il meccanismo dello stesso processo di accumulazione aumenta insieme col capitale la massa dei “poveri laboriosi” ossia dei salariati, i quali trasformano la propria forza-lavoro in una crescente forza di valorizzazione del capitale crescente e in questo modo devono appunto perpetuare il loro rapporto di dipendenza dal proprio prodotto, personificato nel capitalista»197.

Il Saggio sulle scuole di carità si conclude con una riflessione sugli effetti a lungo termine delle politiche attuate, responsabili, attraverso la promozione di queste istituzioni religiose, di una serie di danni futuri alla nazione. Se nel breve termine, sottolinea Mandeville, ancora non si percepisce in pieno il disastro derivante dal conferire a tutti un’educazione, sul lungo termine, «quando l’ignoranza più crassa è completamente sradicata e bandita e tutti possiedono un certo livello, se pur basso, di istruzione, l’amore di sé muta il sapere in astuzia»198. Astraendo il discorso dalla questione delle scuole, è degna di nota la critica mossa alla scarsa lungimiranza dei politici, e anche alla tendenza, degli uomini, a considerare solo le cose vicine, ignorando completamente quello che scaturirà, nel lungo periodo, dalle loro azioni di oggi. Tutta la critica all’atteggiamento dei sostenitori delle scuole di carità fa leva precisamente sul fatto che essi si occupano solo di appagare passioni momentanee, come l’orgoglio (farsi vedere, all’esterno, come persone compassionevoli e attente al destino dei poveri) e la pietà (vera o simulata, rimane sempre la passione delle menti deboli), ma non si curano degli effetti a lungo termine delle decisioni prese. Questo porta con sé una riflessione sull’ordine che si forma spontaneamente, assieme alla necessità di spostare lo sguardo dall’immediato futuro a un raggio temporale più ampio: «gli uomini non sembrano riporre maggior fede nella provvidenza di quanta ne concederebbero a un mercante fallito. [...] I legislatori dovrebbero risolversi a compiere alcune grandi imprese che richiedono il lavoro e la fatica di molti anni e convincere il mondo che non hanno fatto niente che non fosse ispirato da un’ansiosa preoccupazione per la posterità»199.

197

K.H. Marx, Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie, Herausgegeben von Friedrich Engles, Verlag von Otto Meissner, Hamburg 1867; ed. consultata: Dietz Verlag, Berlin 1964 (vol. XXIII), p. 643: «Was Mandeville, ein ehrlicher Mann und heller Kopf, noch nicht begreift, ist, dass der Mechanismus des Akkumulationsprozesses selbst mit dem Kapital die Masse der “arbeitsamen Armen” vermehrt, d.h. der Lohnarbeiter, die ihre Arbeitskraft in wachsende Verwertunskraft des wachsenden Kapitals verwandeln und ebendadurch ihr Abhängigkeitsverhältnis von ihrem eignen, im Kapitalisten personifizierten Produkt verewigen müssen»; trad. it. Il Capitale. Critica dell’economia politica, Libro I, Il processo di produzione del capitale, trad. it. di D. Cantimori, Einaudi, Torino 1975 (1970 Editori Riuniti); p. 757.

198

B. Mandeville, Scuole di carità, cit., p. 225; «Where deep Ignorance is entirely routed and expell’d, and low Learning promiscuously scatter’d on all the People, Self-Love turns Knowledge into Cunning», Charity-

Schools, cit., p. 320.

199

Ivi, p. 225-226; «Men seem to repose no greater Trust in Providence than they would in a Broken Merchant. [...]the Legislature ought to resolve upon some great Undertakings that must be the Work of Ages as well as