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Parte I. Antropologia e morale

1. Gli scritti filosofici del primo periodo

2.2. Mandeville e le passioni

2.2.2. Esiste una gerarchia della passioni?

2.2.2.1. Il self-love

Sebbene Mandeville mantenga pressoché invariata l’analisi delle passioni, nel corso degli anni affina le sue riflessioni sull’esistenza di una passione primaria, da cui le altre hanno origine, che vedremo essere il self-liking104. Tuttavia, prima della stesura della seconda parte della Fable, dove conierà questo nuovo vocabolo, troviamo diversi passi che testimoniano già l’esistenza di una sorta di gerarchia, dove ci sono passioni più forti, e altre ad esse subordinate. Il fatto che Mandeville enfatizzi il ruolo del self-love per poi sminuirlo, nella

Fable II, in favore del più forte self-liking non deve far pensare ad un cambiamento nel suo

pensiero; il primo infatti ha, nella Fable I, delle caratteristiche molto simili a quelle che avrà il secondo nella Fable II. Mandeville, col tempo, ha operato un’ulteriore distinzione tra l’istinto più orientato all’autoconservazione, caratteristico quindi di tutte le creature, cui sarà, in seguito, ristretto il self-love, e la passione più complessa, dove entra in gioco l’interazione con gli altri individui e la ricerca della loro approvazione, stima, ammirazione, che sarà il

self-liking. Come afferma anche A.M. Hjort, nel saggio Mandeville’s Ambivalent Modernity,

nel III dialogo del secondo volume della Fable, Mandeville individua due generi di passioni: il primo genere comprende quelle che fanno capo al principio dell’autoconservazione e che riguardano solo la propria persona, al secondo genere invece appartengono quelle che prevedono una interazione dell’individuo con gli altri. La passione rappresentativa del primo genere è il self-love, mentre il self-liking lo è del secondo genere. Questa distinzione, tuttavia, che non si riscontra prima della Fable II105, non rappresenta un cambiamento nella teoria delle passioni di Mandeville, ma solo una precisazione, utile soprattutto ai fini di approfondire le implicazioni socio-politiche delle passioni umane.

104

Gaetano Vittone, nella sua recente monografia Vita e qualità della vita. Saggio su Mandeville, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cz) 2005, analizza le passioni citate dal filosofo olandese per individuare quelle “primarie”, e giunge alla conclusione che esse facciano tutte capo al self-liking. Questo termine compare tuttavia solo nel secondo volume della Fable (III Dialogo), che è del 1728. L’analisi delle passioni è uno dei punti cardine della filosofia mandevilliana, presente già nei primi scritti, quindi sarebbe riduttivo provare a stabilire una gerarchia ponendo subito il self-liking al vertice: è più utile esaminare le singole passioni man mano che vengono trattate, per vedere come prende forma, da sé, il concetto di quella che risulterà la passione primaria. Per un’analisi dettagliata del self-liking si rimanda comunque alla parte III di questo lavoro, cap. 2, § 2.2.

105

Cfr. A.M. Hjort, Mandeville’s Ambivalent Modernity, in «Modern Language Notes», vol. 106, No. 5 (Dec. 1991); p. 955.

Nel primo volume della Fable (edizione del 1714), il self-love viene indicato come passione dominante: se volessimo abbozzare una gerarchia, vedremo senz’altro questa passione al primo posto, un po’ per stessa ammissione di Mandeville, e un po’ perché si può constatare, nel corso dello scritto, che sia molti vizi che altre passioni (da cui scaturiscono ulteriori vizi) affondano le radici nell’amore che gli uomini nutrono per la propria persona. Si legge infatti: «Tutte le passioni hanno il loro centro nell’amore di sé [self-love]»106. Sono numerosi i passi che testimoniano che Mandeville riteneva il self-love una passione primaria: «non riesco a vedere [...] che vi sia empietà nel metterlo [l’uomo] in guardia contro se stesso, e contro gli stratagemmi segreti dell’amore di sé, e nell’insegnargli la differenza fra le azioni che procedono da una vittoria sulle passioni, e quelle che sono soltanto il risultato della vittoria di una passione sull’altra»107. Da queste righe si capisce che l’amore di sé comanda i fili delle passioni e del piacevole inganno in cui gli uomini si cullano quando vogliono credere di agire secondo virtù: è sempre questo self-love che genera l’illusione di essere virtuosi, solleticando il desiderio di ritenersi nel giusto.

Il carattere primario del self-love viene ribadito in tutto il primo volume della Fable man mano che Mandeville prende in esame quei vizi che si traducono in benefici pubblici, e che hanno origine dalle passioni. Per effetto dell’amore di sé, ad esempio, l’uomo gioisce dell’apprezzamento degli altri attraverso la gloria, che ne è sia una diramazione che una componente: «Per definire, dunque, nel modo più ampio la ricompensa della gloria, ciò che si può dire di meglio è che essa consiste in una suprema felicità goduta per amore di sé [self-

love] da un uomo consapevole di aver compiuto un’azione nobile, quando pensa al plauso

che si aspetta da altri»108.Sempre a proposito della gloria leggiamo in seguito:

L’emulazione richiede fatica e pene, ed è chiaro che chi agisce in base a tale disposizione compie una rinuncia. Ma se guardiamo con attenzione, troveremo che questo sacrificio dell’agio e del piacere è fatto soltanto per invidia, e per amore della gloria. Se qualcosa di molto simile a questa passione non fosse

106

B. Mandeville, La favola (Nota C), cit., p. 47; «all Passions center in Self-Love», Fable I (Remark C), p. 75. 107

B. Mandeville, La favola (Nota T), cit., pp. 154-155; «I cannot see […] that there is any Impiety in putting him upon his Guard against himself, and the secret Stratagems of Self-Love, and teaching him the difference between such Actions as proceed from a Victory over the Passions, and those that are only the result of a Conquest which one Passion obtains over another», Fable I (Remark T), cit., pp. 229-230.

108

B. Mandeville, Ricerca sull’origine della virtù morale, in La favola delle api, cit., p. 33; «To define then the Reward of Glory in the amplest manner, the most that can be said of it, is, that it consists in a superlative Felicity which a Man, who is conscious of having perform’d a noble Action, enjoys in Self-love, whilst he is thinking on the Applause he expects of others», An Enquiry into the Origin of Moral Virtue in Fable I, cit., p. 55.

mescolato a quella pretesa virtù, sarebbe impossibile suscitarla ed accrescerla con gli stessi mezzi che creano l’invidia.109

L’amore di sé ha molte sfaccettature, che emergono soprattutto nella vita associata: anche l’invidia («quel tratto ignobile della nostra natura che ci fa soffrire e languire a causa di ciò che consideriamo essere una felicità per gli altri»110) ha in esso la sua origine. Mandeville afferma infatti:

se in genere ci vergogniamo tanto di questo vizio [l’invidia] è a causa della consolidata abitudine all’ipocrisia, grazie alla quale abbiamo appreso fin dalla culla a nascondere anche a noi stessi tutta l’ampiezza del nostro amore per noi stessi, e tutte le sue diverse diramazioni.111

Dal momento che tutti vorrebbero essere felici, godere dei piaceri ed evitare i dolori, l’amore di sé ci spinge a considerare ogni creatura che appare contenta come un rivale in felicità.112

La provocazione maggiore di Mandeville, quando parla del self-love, è ricondurre a esso anche passioni che per definizione coinvolgono un “patire insieme” ad una o più persone. È il caso della pietà, dell’affetto e dell’amore:

Amore significa, in primo luogo, affetto [...] e consiste nell’inclinazione per la persona amata e nel volere il suo bene. [...] Facciamo nostro sotto ogni aspetto il suo interesse, anche se ciò ci danneggia, e proviamo una soddisfazione interna simpatizzando con i suoi dolori oltre che con le sue gioie. [...] Infatti, quando siamo sinceri nel partecipare alle disgrazie di un altro, l’amore di sé ci fa credere che le sofferenze che proviamo debbano alleviare e ridurre quelle del nostro amico, e mentre questo pensiero tenero placa il nostro dolore, un piacere segreto sorge dalla nostra pena per la persona amata.113

109

B. Mandeville, La favola (Nota N – aggiunta nel 1723), cit., pp. 89-90; «Emulation [...] requires Labour and Pains, so it is evident, that they commit a Self- Denial, who act from that Disposition; but if we look narrowly into it, we shall find that this Sacrifice of Ease and Pleasure is only made to Envy, and the Love of Glory. If there was not something very like this Passion mix’d with that pretended Virtue, it would be impossible to raise and increase it by the same Means that create Envy», Fable I (Remark N), cit., p. 137.

110

Ivi, p. 87; «[Envy is] that Baseness in our Nature, which makes us grieve and pine at what we conceive to be a Happiness in others», Fable I (Remark N), cit., p. 134.

111

Ibidem; «That we are so generally ashamed of this Vice, is owing to that strong Habit of Hypocrisy, by the Help of which, we have learned from our Cradle to hide even from our selves the vast Extent of Self-Love, and all its different Branches», Fable I (Remark N), cit., pp. 134-135.

112

Ivi, p. 91 (traduzione parzialmente rivista); «As every Body would be happy, enjoy Pleasure and avoid Pain if he could, so Self-Love bids us look on every Creature that seems satisfied, as a Rival in Happiness», Fable I (Remark N), cit., p. 139.

113

Ivi, p. 93; «Love in the first Place signifies Affection [...] and consists in a Liking and Well-wishing to the Person beloved. [...] His Interest we make on all Accounts our own, even to our Prejudice, and receive an inward Satisfaction for sympathizing with him in his Sorrows, as well as Joys. [...] when we are sincere in sharing with another in his Misfortunes, Self-Love makes us believe, that the Sufferings we feel must alleviate and lessen those of our Friend, and while this fond Reflexion is soothing our Pain, a secret Pleasure arises from our grieving for the Person we love», Fable I (Remark N), cit., p. 142.

Con queste affermazioni Mandeville non intende negare che esistano sentimenti come l’affetto e l’amore (come non nega l’esistenza della pietà), né che questi possano essere sinceri: egli si limita a far notare che esiste sempre, come di sottofondo, una certa soddisfazione personale nel riconoscere di essere in grado di amare, di partecipare intensamente a dolori e gioie che non riguardano noi in prima persona. Anche qui Hume tenterà di confutare Mandeville, sostenendo che le gioie e i dolori della cerchia delle persone amate ci toccano quasi con la stessa intensità di quelle che ci coinvolgono in prima persona, per il principio della “benevolenza ristretta”114. Non c’è bisogno insomma, per Hume, di chiamare in causa l’amore di sé per spiegare il coinvolgimento e la partecipazione ai sentimenti delle persone a noi vicine. Hume tuttavia non parla di quella soddisfazione sottile che si prova nel constatare di essere capaci ad amare, su cui fa perno la dimostrazione di Mandeville che anche in un sentimento come l’amore si trovano tracce di amore di sé.

Per quanto riguarda la ricerca della compagnia delle persone amate, anche per Mandeville la parte predominante sono senz’altro i sentimenti benevoli che proviamo per loro, ma da ogni relazione l’uomo cerca sempre un qualche tornaconto, che non deve necessariamente essere qualcosa di materiale (anche se, nota Mandeville, in molti casi lo è), ma può più semplicemente essere il piacere che si trae dalla presenza dei propri cari, un sentimento dunque non negativo, ma che non si può chiamare altruistico115.

Come responsabile di gloria, invidia, amore e pietà, il self-love si mostra, nella Fable I, come una passione che riguarda sia il singolo individuo preso da solo, quindi una sorta di autoconservazione, sia l’individuo nel suo rapportarsi con gli altri. Non sorprende dunque che diversi studiosi, tra cui Lovejoy e Dickey, tendano ad accostare il self-love al pride.

114

Cfr. D. Hume, Trattato sulla natura umana, cit. Hume parla di benevolenza ristretta, o generosità limitata, in particolare nella sezione II del libro III del Trattato (Origine della giustizia e della proprietà).

115

Cfr. B. Mandeville, Indagine sulla natura della società ne La favola delle api, cit., p. 245: «Ho illustrato la veridicità di questa mia opinione con gli esempi più ovvi della storia; ho parlato del nostro amore per la compagnia e della nostra avversione per la solitudine; ho esaminato a fondo le varie motivazioni di queste inclinazioni e ho fatto vedere che esse trovano la loro ragion d’essere nell’amore di sé»; «I have illustrated by the most obvious Examples in History. I have spoke of our Love of Company and Aversion to Solitude, examin’d thoroughly the various Motives of them, and made it appear that they all center in Self-Love», A