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Parte III. Politica

2. Socievolezza e passioni sociali nella Fable II

2.2. Il self-liking

Partendo dall’argomento della conversazione precedente, nel terzo dialogo Cleomene espone a Orazio i modi attraverso cui gli uomini cercano di celare i segni esteriori dell’orgoglio secondo quello che prescrivono le buone maniere e la moda: mai reprimendo le passioni più “sconvenienti”, ma camuffandole con cura. Se nei due dialoghi precedenti le discussioni erano partite da considerazioni già accennate nell’Indagine sulla natura della società, in questo dialogo Mandeville sembra riproporre la questione su cui si basa la Ricerca

sull’origine della virtù morale, quando fa domandare a Orazio: «quando e in che modo

hanno avuto origine ciò che chiamiamo buone maniere e cortesia? quale moralista o politico ha potuto insegnare a essere orgogliosi di saper nascondere il proprio orgoglio?»323. In altri termini, Orazio sta chiedendo in che modo si è iniziato a chiamare virtuoso chi si mostra privo di una passione come l’orgoglio – o che, il che è la stessa cosa, sa celarne i segni più visibili.

La risposta di Cleomene rispecchia il cambiamento di prospettiva che contraddistingue la

Fable II dalla Fable I. Non solo Mandeville non parla più di abili politici, ma anzi nega

esplicitamente che si possa risalire a un momento preciso nella storia dell’uomo in cui abbiano avuto origine regole o massime politiche utili alla società:

L’operosa infaticabilità nel provvedere ai propri bisogni e i costanti sforzi per migliorare la propria condizione sulla terra hanno prodotto e poi portato alla perfezione molte arti e scienze utili la cui data di

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Ivi, p. 61; «The same Passion, that makes the well-bred Man and prudent Officer value and secretly admire themselves for the Honour and Fidelity they display, may make the Rake and Scoundrel brag of their Vices and boast of their Impudence»; Fable II, (2nd dialogue), cit., p. 90.

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B. Mandeville, Dialoghi (III dialogo) cit., p. 86 (traduzione rivista); «when or which Way, what we call good Manners or Politeness, came into the World? What Moralist or Politician was it, that could teach Men to be proud of hiding their Pride?», Fable II (3rd dialogue), cit., p. 128.

inizio è incerta e alle quali è impossibile attribuire cause diverse dalla sagacia e dal lavoro degli uomini nel corso dei secoli. Essi sono stati sempre occupati a ricercare e inventare mezzi e modi per soddisfare i diversi appetiti e a ricavare il meglio dalla loro imperfezione. [...] Quando mi propongo di cercare l’origine di qualche norma di condotta o di qualche invenzione politica, utile alla società, non mi scervello per scoprire il tempo e il luogo in cui per la prima volta se ne sentì parlare, né quanto altri hanno scritto o detto. Vado direttamente alla fonte, la stessa natura umana, e cerco quella fragilità o difetto dell’uomo cui quella particolare invenzione ha supplito o posto rimedio.324

Mentre nei due dialoghi precedenti Mandeville si era fermato all’orgoglio, nel processo che lo aveva visto risalire al movente delle azioni umane, con particolare riferimento a gesta di apparente virtù e coraggio, in questo III dialogo fa la sua comparsa il self-liking, che tra le passioni umane riveste un ruolo predominante: si tratta della passione che entra in gioco quando gli uomini iniziano a relazionarsi tra loro, e da cui Mandeville dice essere dipendente anche l’orgoglio: «OR. Quello che chiami self-liking sembra evidentemente orgoglio. CLEO. Credo che lo sia, o almeno ne sia una causa»325. La relazione tra self-liking e orgoglio viene affrontata anche nella Ricerca sull’origine dell’onore, in cui viene confermato quanto detto nella Fable II: il self-liking è definito «una passione ben distinta dall’amore di sé, che quando è moderata e ben regolata suscita in noi l’amore per la lode e il desiderio di essere approvati e ben considerati dagli altri, e ci stimola alle buone azioni, ma la stessa passione quando è eccessiva o mal indirizzata, qualunque cosa susciti in noi, reca offesa agli altri, ci rende odiosi, ed è chiamata orgoglio»326.

Lo sguardo più focalizzato al risvolto sociale delle passioni, caratteristico del volume II della Fable, si manifesta anche in questo concetto di self-liking e nel ruolo primario che esso si trova a ricoprire nei delicati meccanismi che presiedono alla formazione della società.

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Ivi, p. 87 (traduzione parzialmente rivista); «The restless Industry of Man to supply his Wants, and his constant Endeavours to meliorate his Condition upon Earth, have produced and brought to Perfection many useful Arts and Sciences, of which the Beginnings are of uncertain Æra’s, and to which we can assign no other Causes, than human Sagacity in general, and the joynt Labour of many Ages, in which Men have always employ’d themselves in studying and contriving Ways and Means to sooth their various Appetites, and make the best of their Infirmities. […] When I have a Mind to dive into the Origin of any Maxim or political Invention, for the Use of Society in general, I don’t trouble my Head with enquiring after the Time or Country, in which it was first heard of, nor what others have wrote or said about it; but I go directly to the Fountain Head, human Nature itself, and look for the Frailty or Defect in Man, that is remedy’d or supply’d by that Invention», Fable II (3rd dialogue), cit., p. 128.

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Ivi, p. 88 (traduzione rivista): «HOR. what you call Self-liking is evidently Pride. CLEO. I believe it is, or at least the Cause of it», Fable II (3rd dialogue), cit., p. 131.

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B. Mandeville, Ricerca sull’origine dell’onore, cit., p. 21; «a Passion manifestly distinct from Self-love; that, when is moderate and well-regulated, excites in us the Love of Praise, and a Desire to be applauded and thought well by others, and stirs us up to good actions: but that the same Passion, when it is excessive, or ill turn’d, whatever excites in our Selves, gives offence to others, renders us odious, and is call’d Pride», Enquiry

Mandeville distingue il self-liking dal self-love, legato all’autoconservazione, e ne parla come di una “predilezione” per la propria persona:

un istinto che porta ciascun individuo a stimare se stesso al di sopra del suo reale valore. Tale istinto [...] pare essere accompagnato da una certa mancanza di fiducia in noi stessi, che deriva dalla consapevolezza, o almeno dal sentore, che ci sopravvalutiamo. È questo che ci rende tanto interessati all’approvazione, alla stima e al consenso degli altri, perché essi rafforzano e confermano in noi la buona opinione di noi stessi. Sono varie le ragioni per le quali questa predilezione per se stessi327 [self- liking], permettimi di chiamarla così, non si riscontra in tutti gli animali con lo stesso grado di perfezione 328.

Il self-liking, termine coniato da Mandeville in questo dialogo, si presenta, nelle creature, a diversi livelli, e solo nell’uomo è così forte da rendersi responsabile della nascita di forme evolute di aggregazione. Cleomene vuole dimostrare che è questa passione, per cui l’uomo ha bisogno di sentirsi apprezzato, essendo profondamente insicuro, che consente il progredire delle società primitive e lo stabilizzarsi della società civile. Se l’uomo fosse dotato della sola autoconservazione, e avesse tanto self-liking quanto ne posseggono gli altri animali, non si svilupperebbero società diverse da quelle in cui si raggruppano i cavalli. Gli esseri umani cercano la compagnia altrui anche dopo che hanno risolto questioni più direttamente legate all’autoconservazione come difendersi dagli animali feroci o procacciarsi il cibo, e il loro riunirsi non è solo un far fronte comune contro nemici esterni. Il self-liking rende progressivamente più stretti i vincoli che legano gli uomini gli uni con gli altri, in un intreccio di passioni che trae la linfa vitale dalle relazioni interpersonali. In generale si può dire che il self-liking è la passione, che assume i caratteri di un istinto, che porta tutti gli uomini a sovrastimarsi e ad avere costantemente bisogno di conferme esterne. Come “predilezione per se stessi”, esso implica che in ogni circostanza l’uomo cerchi di trarre benefici personali dalla presenza altrui, nella cui ricerca non c’è quindi niente di altruistico. Questo istinto ha inoltre il potere di influire sul desiderio di vivere: si tratta di una sorta di autostima che sopravvive quasi sempre anche se sepolta da fallimenti e delusioni. Se tuttavia

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La traduzione del termine self-liking presenta qualche complicazione. L’italiano “auto-gradimento”, utilizzato dalla Belgioioso, sminuisce un po’ il significato reso dall’inglese. Senza dubbio migliore la traduzione “predilezione per se stessi” utilizzata da A. Branchi nell’edizione italiana da lui tradotta dell’Enquiry into the Origin of Honour.

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Cfr. Dialoghi (III dialogo), cit., pp. 87-88 (traduzione parzialmente rivista); «an Instinct, by which every Individual values itself above its real Worth; this […] seems to be accompany’d with a Diffidence, arising from a Consciousness, or at least an Apprehension, that we do over-value ourselves: It is this that makes us so fond of the Approbation, Liking and Assent of others; because they strengthen and confirm us in the good Opinion we have of ourselves. The Reasons why this Self-liking, give me Leave to call it so, is not plainly to be seen in all Animals that are of the same Degree of Perfection, are many » Fable II (3rd dialogue), cit., p. 130.

questo si estingue completamente, «svaniscono tutte le nostre speranze, e non possiamo desiderare se non la dissoluzione del nostro corpo, e la nostra esistenza ci diventa così insopportabile che l’amore per noi stessi ci suggerisce di porre fine ad essa e di cercare rifugio nella morte»329.

Tornando alla domanda di Orazio circa l’origine delle buone maniere, che aveva avviato il discorso sul self-liking, Cleomene conclude dicendo che queste sono nate per porre riparo agli effetti spiacevoli che la predilezione per la propria persona causa: tutti hanno di se stessi superiore stima di quanta ne nutrono per gli altri, ma se lo esternassero, non ci sarebbe interazione umana che non sfocerebbe in un conflitto. Gli uomini imparano così che è più conveniente celare questa passione, e relazionarsi con gli altri secondo un codice comportamentale che consenta a tutti una vita pacifica.

È abbastanza evidente che ci si trova ormai distanti dalle parole della Ricerca. Quello che ha cambiato la prospettiva di Mandeville è stato il prendere in considerazione i meccanismi sociali guardandoli sul lungo termine e con approccio più diretto e realista, liberandosi delle poco concrete figure degli skilful politicians, o delle affermazioni con scopo puramente provocatorio di cui si era servito in precedenza. Non c’è fenomeno socio-politico di cui possa darsi un inizio preciso nel tempo, in cui si riconosca una progettualità umana con immediata conseguenza, mentre l’osservatore attento noterà che le istituzioni nascono ed evolvono in modo lento e graduale. Il richiamo al ruolo dei politici che, nella Ricerca, inventavano i concetti di vizio e virtù per rendere governabili gli uomini, forse era servito a Mandeville per dimostrare semplicemente che tali concetti fossero artificiali (nel senso di

non naturali), mentre in questa sede il fine del discorso è quello di provare a dare una

spiegazione di come si siano sviluppati gli usi e i costumi che tengono gli uomini uniti in società.

A partire da questo dialogo Mandeville si apre in maniera decisa alla prospettiva all’idea di evoluzione spontanea, per cui è celebre la conclusione di Cleomene: «ciò che attribuiamo all’eccellenza del genio umano e alla profondità della sua intelligenza spesso è in realtà dovuto all’esperienza accumulata nel trascorrere dei secoli da molte generazioni poco differenti l’una dall’altra in doti e sagacia naturale»330. Queste parole si collocano in quell’antirazionalismo già riscontrato nel pensiero antropologico ed economico del filosofo

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Ivi, p. 91; «all our Hopes are extinct, and we can form no Wishes but for the Dissolution of our Frame: till at last our Being becomes so intollerable to us, that Self-love prompts us to make an end of it, and seek Refuge in Death», Fable II (3rd dialogue), cit., p. 136.

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Ivi, p. 95; «We often ascribe to the Excellency of Man’s Genius, and the Depth of his Penetration, what is in Reality owing to length of Time, and the Experience of many Generations, all of them very little differing from one another in natural Parts and Sagacity», Fable II (3rd dialogue), cit., p. 142.

olandese. Anche qui la ragione ne esce sconfitta: non è l’intelligenza umana che sta alla base dell’invenzione e perfezionamento di arti e mestieri, bensì il tempo e lo stratificarsi di esperienze. Poco dopo infatti Mandeville ribadisce che raramente gli “inventori di qualche arte” sono quelli che si mettono a studiarne la teoria, mentre il vero progresso è compiuto da chi, spesso ignorandone la basi teoriche, ne sperimenta la pratica e ne affina l’uso331, e ciò equivale a ridimensionare, una volta di più, il potere della razionalità umana.