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Parte III. Politica

3. Ragione, passioni e la nascita della società civile

3.3. La teoria dell’ordine spontaneo

3.3.2. Opinioni divergenti

A proposito dell’inserimento di Mandeville tra i pensatori che hanno a che fare con la teoria dell’ordine spontaneo, troviamo tra gli studiosi le stesse divergenze e perplessità già emerse in altri ambiti dell’interpretazione del filosofo olandese.

Parte degli interpreti che negano il contributo di Mandeville alla teoria dell’ordine spontaneo e, insieme ad esso, la sua relazione col liberalismo moderno, sono gli stessi che negavano che dal punto di vista della teoria economica il suo pensiero avesse dei punti in comune col laissez-faire. Il più fermo sostenitore di queste idee sembra essere, anche in questa sede, l’economista Jacob Viner. Recentemente è uscito il volume, già citato, dal titolo

Hayek’s Liberalism and its Origins, della studiosa Christina Petsoulas, un testo di analisi

politica, il cui terzo capitolo è interamente dedicato a Mandeville. Abbastanza curiosamente, dopo tutti gli studi che hanno confutato l’opinione di Viner, la Petsoulas invece la accoglie, e si propone di dimostrare l’errore di Hayek e di tutta la tradizione che avvicina Mandeville a quella che lei chiama la “theory of cultural evolution”.

La studiosa articola in due sezioni la dimostrazione della sua tesi, prendendo in primo luogo in considerazione i passi in cui Mandeville parla dell’origine della società (il primo

389

Cfr. F.A. Hayek, Gli errori del costruttivismo in Nuovi studi, cit., p. 11. 390

Vadasi anche N. Barry, The tradition of spontaneous order, cit.; p. 7: «[…] an irresistible appeal to that

hubris in man which associates the benefits of civilization not with spontaneous ordering but with conscious

paragrafo è intitolato infatti “Mandeville’s psychological account of the origin of society”), e ricostruisce in modo abbastanza fedele il pensiero del filosofo olandese, basandosi su quanto si legge nel secondo volume della Fable of the Bees, dove questi argomenti vengono trattati in modo più esauriente e meno frammentato. La Petsoulas non manca di sottolineare l’importanza della passione del self-liking391 nella formazione dello stato politico, a proposito del quale riconosce che si tratta di un processo graduale392. Tuttavia si propone di affermare che, in realtà, Mandeville preveda una sorta di disegno alla base della nascita della società, riportando il passo in cui il filosofo afferma che «le società […] non potrebbero esistere se la saggezza umana non vi concorresse»393. L’elemento su cui la studiosa costruisce la sua confutazione della tesi di Hayek deriva dalla mancanza di sistematicità dell’esposizione mandevilliana, e dall’ammissione dello stesso Hayek che il filosofo olandese non spieghi con precisione in che modo avvenga questa istituzione graduale della società394.

Il paragrafo in cui la studiosa si propone di dimostrare la sua tesi è intitolato “The ‘skilful politician’ and the process of moralisation”, e lo schema da lei adottato è il medesimo che era stato utilizzato in precedenza da Viner, e che aveva già rivelato la sua insufficienza: non viene fatta alcuna distinzione tra le opere di Mandeville, e i paradossi del volume I della

Fable vengono utilizzati per interpretare quanto si legge nella Fable II, per colmare la

mancanza di un’esposizione puntuale e schematica. La Petsoulas parla infatti del ruolo “moralizzatore” dei politici, della loro esaltazione artificiosa e interessata della moderazione degli istinti, e del loro strategico management395: tutti argomenti che scompaiono completamente nella Fable II. Da pensatore poco sistematico, il filosofo olandese osserva e commenta, ma difficilmente si sofferma a ricostruire singoli passaggi, senza che, con questo, venga meno l’idea di fondo che lo ha condotto a determinate affermazioni. La distanza concettuale tra gli scritti del primo e del secondo periodo, in particolare tra i due volumi della Fable of the Bees, non può essere tralasciata: già J.C. Maxwell, nel suo saggio del

391

Cfr. C. Petsoulas, Hayek’s Liberalism and its Origins, cit., p. 84. 392

Cfr. ivi, cit., p. 86: «Mandeville goes on to explain that […] society is the product of a slow and gradual process».

393

B. Mandeville, Dialoghi (IV dialogo), cit., p. 126; «societies […] cannot exist without the Concurrence of human Wisdom», Fable II (4th dialogue), cit., p. 186. Questo passo tuttavia non conferma la tesi della Petsoulas: cfr. anche l’interpretazione di M.M. Goldsmith in Private Vices, Public Benefits. Bernard

Mandeville’s Social and Political Thought, cit, p. 66: Goldsmith non ritiene vi sia contraddizione nel negare

che Mandeville credesse nell’idea di un disegno razionale, e ciò nonostante non escludesse completamente la ragione dalla nascita della società.

394

Cfr. F.A. Hayek, Dottor Bernard Mandeville in Nuovi studi, cit., p. 272: «forse [Mandeville] non mostrò in nessun caso come si formasse un certo ordine senza un disegno, ma rese abbastanza chiaro che questo ordine si

formava».

395

1951, breve ma tenuto in grande considerazione dagli studi successivi sul pensiero politico di Mandeville, aveva scritto che per rendere giustizia alle idee politiche del filosofo olandese è bene considerarne i suoi scritti dell’ultimo periodo, ovvero il volume II della Fable, i

Liberi pensieri, la Ricerca sull’origine dell’onore, la Letter to Dion, che in qualche modo

correggono i concetti presentati in forma satirica nella Fable I396.

Opinioni molto diverse circa il rapporto di Mandeville con la teoria dell’ordine spontaneo si trovano in quasi tutti gli studi che sono usciti dopo la pubblicazione del saggio di Hayek

Dottor Bernard Mandeville, la cui prima pubblicazione risale al 1967, ma che, con tutte le

probabilità, ha acquisito una maggiore visibilità quando è stato inserito nei New Studies, nel 1978. A partire dai primi anni ’80, infatti, fioriscono una serie di studi che confermano la posizione dell’economista austriaco. Nel 1985 M.M. Goldsmith, nella monografia Private

Vices, Public Benefits. Bernard Mandeville’s Social and Political Thought, di un ventennio

antecedente al libro della Petsoulas quindi, offre una possibile interpretazione degli skilful

politicians che di primo acchito può sembrare un po’ azzardata, ma che si avvicina

sostanzialmente a quella hayekiana:

Mandeville uses the device of a personified manipulator of human beings. This device, the ‘skilful Politician’, stands for the long, gradual development of social institutions. That the mythical manipulators are to be understood in this sense is evident both in The Fable of the Bees […] and even earlier in The Female Tatler. In both works Mandeville explicitly refers to the gradual process by which various social institutions, including skills and crafts, have come into being.397

Anche secondo lo studioso inglese, dunque, non bisogna dare un peso eccessivo alle affermazioni riguardanti l’intervento dei politici, che egli interpreta in modo figurato, come, cioè, la stessa opera di sviluppo graduale. Anche lui, inoltre, come Hayek, è del parere che le istituzioni sociali siano considerate da Mandeville come una conseguenza inattesa dell’interdipendenza degli uomini398, cosa che, a detta sua, è esplicitamente dichiarata dal filosofo olandese399.

Goldsmith dà anche un’interessante spiegazione delle lacune che si trovano nella ricostruzione della nascita della società civile in Mandeville, e nell’esporre la sua

396

Cfr. J.C. Maxwell, Ethics and Politics in Mandeville, in cit., p. 242. 397

M.M. Goldsmith, Private Vices, Public Benefits, cit., p. 64. 398

Cfr. ivi, p. 78: «these institutions are not ‘natural’ if ‘natural’ means having always existed or needing no explanation. But equally they are not designed, proposed and formally agreed upon; social institutions are artificial, but they are the products of a long development – the result of many persons acting independently without a common pre-arranged plan over a long period of time».

399

interpretazione prende in considerazione la “four stages theory” esposta da Ronald Meek nel volume Social science and the ignoble savage400. L’idea di Meek è che la società segua uno sviluppo scandito dai diversi mezzi di sussistenza individuati dagli uomini in ogni fase, e non, ad esempio, dall’organizzazione politica da essi adottata401. Meek esegue un’analisi meticolosa del contributo di numerosi filosofi a questa teoria, citando, tra gli altri, Grozio, Hobbes, Pufendorf e Locke. Si sofferma in particolare su quanto quest’ultimo scrive nei due trattati sul governo a proposito della vita degli indiani d’America come paradigma della vita dei selvaggi, e sembra individuare tre fasi distinte, che, secondo lo studioso, costituiscono le prime tre fasi dello sviluppo della società: la fase della caccia, quella dell’allevamento, e una fase in cui gli uomini iniziano a dedicarsi all’agricoltura402. La quarta e ultima fase, quella che caratterizza l’uomo moderno, è quella commerciale. Al di là della condivisibilità o meno di queste idee, è degno di nota il modo in cui Meek esclude Mandeville dalla teoria “delle quattro fasi”, che nel diciottesimo secolo ricompare solo con Montesquieu, per poi essere ripresa da Smith e Turgot. Mandeville, infatti, individuerebbe, ma con cenni poco più che occasionali, tre fasi, che però non hanno a che fare coi mezzi di sussistenza: l’associazione degli uomini per proteggersi dagli animali feroci, una successiva in cui essi si riuniscono per proteggersi gli uni dagli altri, e l’invenzione delle lettere403. Goldsmith semplifica ulteriormente le fasi descritte da Mandeville in due momenti essenziali: quello primitivo, in cui gli uomini vivevano del prodotto della terra e della caccia liberi da qualsiasi vincolo sociale, e quello civile, in cui è stata innestata quella rete di relazioni interpersonali che rende progressivamente l’uomo “adatto” alla società, e dipendente da essa. Il motivo per cui il filosofo olandese prende una posizione che non si riesce bene ad allineare su quella dei suoi predecessori, è che, come afferma Goldsmith, egli era alla ricerca di una interpretazione alternativa alla teoria contrattualista, come a quella del “legislatore” fondatore della società404. E così, la teoria mandevilliana circa l’origine delle istituzioni socio-politiche finisce per non essere una teoria, ma uno studio sulla natura umana e sulle qualità che, presenti già nell’uomo primitivo, si sono evolute in quelle che sono le caratteristiche dell’uomo moderno, così a suo agio nella società pur non essendo una creatura socievole nel senso inteso da Shaftesbury. Mandeville non individua alcuna “rottura”, in termini di qualità

400

R.L. Meek, Social science and the ignoble savage, Cambridge University Press, Cambridge 1976. 401 Cfr. ivi, p. 6. 402 Cfr. ivi, p. 22. 403 Cfr. ivi, p. 29. 404

naturali, tra il selvaggio e l’uomo civilizzato, solo una evoluzione, un adattamento. Questo è un punto che verrà contestato da Rousseau405.

Ancora prima del volume di Goldsmith, era uscito, nel 1982, un numero della rivista «Literature of Liberty» interamente dedicato all’ordine spontaneo, in cui spicca il saggio di Norman Barry The Tradition of Spontaneous Order, dove c’è una sezione (abbastanza breve in realtà) dedicata al contributo di Mandeville, che di nuovo conferma la linea hayekiana. Con alcuni riferimenti a questo studio, e una struttura espositiva molto simile (anche qui viene considerato, autore per autore, il contributo di filosofi come Mandeville, Hume, Smith, Ferguson alla teoria dell’ordine sponteneo), nel 1987 esce il già citato saggio di Hamowy

The Scottish Enlightenment and the Theory of Spontaneous Order. Anche questo studioso

confuta, una volta di più, la posizione di Jacob Viner, e, in un procedimento argomentativo che tende a non operare una netta distinzione tra ambito economico e politico, afferma che, in effetti, non c’è altro settore, al di fuori di quello degli scambi con l’estero, in cui Mandeville abbia mai auspicato l’intervento dello stato, e condivide apertamente la lettura degli skilful politicians data da Goldsmith.