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Parte I. Antropologia e morale

1. Gli scritti filosofici del primo periodo

2.2. Mandeville e le passioni

2.2.2. Esiste una gerarchia della passioni?

2.2.2.3. La pietà

dell’abnegazione, ma anche di tante altre attività che l’uomo eviterebbe volentieri, se non fossero indispensabili per gratificare questa passione. Il lavoro è una di queste, così come studiare per costruirsi una cultura non è sovente attività dettata dall’amore per le discipline che si studiano, ma dal desiderio di apparire eruditi in pubblico.

Quello che sembra al di fuori di dubbio è che la vanità sia un vizio conseguente all’orgoglio, e, con essa, l’amore per il lusso. Così come per effetto dell’orgoglio l’uomo è portato a sovrastimare se stesso, altrettanto egli desidera essere stimato dagli altri. Il desiderio di stima e ammirazione comprende non solo le qualità interiori, ma anche l’aspetto esteriore, dunque uomini e donne spendono parte del proprio patrimonio in accessori di lusso, profumi, parrucche, abiti, stoffe, per gratificare l’orgoglio. Nel primo volume della

Fable le considerazioni fatte sui vizi e sulle passioni sono finalizzate a far risaltare la

connessione tra questi e il benessere prevalentemente economico della società, e l’orgoglio è una delle passioni cardine su cui si regge l’apparato commerciale, per tutti i vizi che incoraggia.

2.2.2.3. La pietà

Non sono state prive di conseguenze e di aspre critiche le osservazioni che il filosofo olandese ci ha lasciato sulla “più amabile delle nostre debolezze”, e questo perché Mandeville l’ha fatta entrare a pieno titolo tra le passioni egoistiche. Nella Ricerca

sull’origine della virtù morale si legge: «la pietà, pur essendo la più gentile e la meno

dannosa di tutte le nostre passioni, è una debolezza della nostra natura, così come lo sono l’ira, l’orgoglio, la paura»126. Proprio sull’esistenza della pietà Rousseau ha cercato di fondare la dimostrazione della bontà dell’essere umano, affermando che «anche il detrattore più spinto delle virtù umane [Mandeville] è stato costretto a riconoscere [...] la pietà, [...] virtù tanto più universale e tanto più utile all’uomo in quanto in lui precede l’uso di qualsiasi riflessione e tanto naturale che persino le bestie ne danno qualche volta dei segni

125

B. Mandeville, La favola (Nota O ), cit., p. 104; «when a Man […] resolving to subdue his Appetites in good earnest, refuses all the Offers of Ease and Luxury that can be made to him, and […] rejects whatever may gratify the Senses, and actually sacrifices all his Passions to his Pride in acting this Part, the Vulgar […] will be ready to deify and adore him» Fable I (remark O), cit., p. 157.

126

Cfr. B. Mandeville, Ricerca sull’origine della virtù morale, ne La favola delle api, cit., p. 33; «Pity, tho’ it is the most gentle and the least mischievous of all our Passions, is yet as much a Frailty of our Nature, as Anger, Pride, or Fear», An Enquiry into the Origin of Moral Virtue in Fable I, cit., p. 56.

sensibili»127. Solo che Mandeville nega che si tratti di una virtù: è inutile prendere in considerazione il semplice fatto che a volte dalla pietà scaturiscono comportamenti altruistici, e che quindi accade che essa abbia effetti benefici sulla società («chiunque agisce in base ad essa come principio, qualunque bene possa apportare alla società, può vantarsi soltanto di avere assecondato una passione che per caso è risultata benefica per il pubblico»128): «poiché è un impulso della natura che non tiene conto dell’interesse pubblico né della nostra ragione, può produrre tanto il male quanto il bene»129.

Occorre non dimenticare che per Mandeville la valutazione morale di un’azione deve avvenire sulla base dell’intenzione – dunque, per verificare se la pietà possa essere una virtù, è necessario capire cosa si agita, nell’uomo, ogni volta che è mosso da questa passione. Qui l’analisi di Mandeville ha dei risultati contrari al sentire comune dell’epoca: anche la pietà affonda le sue radici nell’egoismo dell’amore di sé. Ecco come il filosofo dimostra questa affermazione che sarà così impopolare:

Non vi è merito nel salvare un bambino innocente che sta per cadere nel fuoco: l’azione non è né buona né cattiva, e per quanto il bambino ne abbia ricevuto un beneficio, non abbiamo fatto altro che compiacere noi stessi. Infatti vederlo cadere e non cercare di impedirlo ci avrebbe causato un dolore, che l’autoconservazione ci ha spinto ad evitare. Anche un ricco prodigo, cui è toccato un temperamento commiserevole e che ama gratificare le sue passioni, non può vantarsi di maggiore virtù, quando soccorre un oggetto di compassione con quella che per lui è una sciocchezza.130

In che modi strani siamo spinti ad agire dall’amore di sé! Questo amore, sempre vigile e pronto a prendere le nostre difese, pure, per favorire una passione di straordinaria intensità, ci obbliga ad agire

127

J-J. Rousseau, Origine della disuguaglianza, a cura di G. Preti, Feltrinelli, Milano 1949, p. 61; «Je ne crois pas avoir aucune contradiction à craidre, en accordant à l’homme la seule vertu naturelle, qu’ait été forcé de reconnaître le détracteur le plus outré des vertus humaines [Mandeville]. Je parle de la pitié, disposition convenable à des êtres aussi faibles, et sujets à autant de maux que nous sommes», Discours sur l’origine de

l’inégalité parmi les hommes, in Œuvres complètes, vol. 3, Gallimard, Paris 1964; p. 154.

128

B. Mandeville, Ricerca sull’origine della virtù morale in La favola, cit., p. 33; «whoever acts from it as a Principle, what good soever he may bring to the Society, has nothing to boast of but that he has indulged a Passion that has happened to be beneficial to the Publick», An Enquiry into the Origin of Moral Virtue in Fable I, cit., p. 56.

129

B. Mandeville, Ricerca sull’origine della virtù morale in La favola, cit., p. 33; «But as it is an Impulse of Nature, that consults neither the publick Interest nor our own Reason, it may produce Evil as well as Good», An

Enquiry into the Origin of Moral Virtue in Fable I, cit., p. 56.

130

Ivi, pp. 33-34; «There is no Merit in saving an innocent Babe ready to drop into the Fire: The Action is neither good nor bad, and what Benefit soever the Infant received, we only obliged our selves; for to have seen it fall, and not strove to hinder it, would have caused a Pain, which Self-preservation compell’d us to prevent: Nor has a rich Prodigal, that happens to be of a commiserating Temper, and loves to gratify his Passions, greater Virtue to boast of when he relieves an Object of Compassion with what to himself is a Trifle», An

contro il nostro interesse; infatti, quando la pietà ci afferra, il pensiero di contribuire ad arrecare sollievo all’oggetto della nostra compassione e a diminuirne le sofferenze ci fa piacere.131

I due passi citati appartengono a periodi diversi: intercorrono nove anni tra la Ricerca

sull’origine della virtù morale, cui appartiene il primo, e il Saggio sulla carità, cui

appartiene il secondo, ma il pensiero di Mandeville non subisce cambiamenti.

Anche il commuoversi di fronte alle sofferenze degli animali che vengono uccisi per essere mangiati non prova che la pietà abbia un legame con la bontà, «infatti la nostra pietà non è mai mossa così efficacemente come quando i sintomi dell’infelicità colpiscono direttamente i nostri sensi»132, per cui nessuno (che non sia avvezzo al mestiere) se la sentirebbe di sventrare un animale, ma quasi tutti non si farebbero scrupoli a mangiarlo, comprandone la carne al mercato. La pietà è una caratteristica della natura umana, una passione magari più benevola delle altre, ma non è niente più che un istinto:

la pietà o compassione [...] consiste in una sensazione di partecipazione dolorosa e di disagio per le sfortuna e le disgrazie altrui: tutti gli uomini, chi più chi meno, sono soggetti a questo sentimento, ma generalmente le menti più deboli lo provano con maggiore intensità. Questa sensazione nasce quando le sofferenze e le miserie delle altre creature ci provocano un’impressione tanto violenta da metterci in condizione di disagio. La pietà si serve del senso della vista o dell’udito o di ambedue per penetrare nel nostro cuore; così il senso di malessere è maggiore quanto più l’oggetto della nostra compassione è vicino, e quanto più violentemente colpisce i nostri sensi, fino al punto di procurarci talvolta grande pena e inquietudine.133

Nel secondo volume della Fable Mandeville non torna più così frequentemente sul tema della pietà, anche perché aveva ampiamente dimostrato le sue tesi negli scritti comparsi nelle varie edizioni del volume I. Vi sono solamente accenni alla compassione, che lasciano intendere che non vi siano mutamenti di pensiero sottostanti.

131

B. Mandeville, Saggio sulla carità e sulle Scuole di Carità ne La favola delle api, cit., p. 175; «How oddly are we manag’d by Self-Love! It is ever watching in our Defence, and yet, to sooth a predominant Passion, obliges us to act against our Interest: For when Pity seizes us, if we can but imagine that we contribute to the Relief of him we have Compassion with, and are Instrumental to the lessening of his Sorrows, it eases us», An

Essay on Charity and Charity-Schools in Fable I, cit., p. 258.

132

B. Mandeville, La favola (Nota P), p. 115; «nothing stirs us to Pity so effectually, as when the Symptoms of Misery strike immediately upon our Senses», Fable I (Remark P), p. 173.

133

B. Mandeville, Saggio sulla carità in La favola delle api, cit., p. 172; «Pity […]which consists in a Fellow- feeling and Condolence for the Misfortunes and Calamities of others: all Mankind are more or less affected with it; but the weakest Minds generally the most. It is raised in us, when the Sufferings and Misery of other Creatures make so forcible an Impression upon us, as to make us uneasy. It comes in either at the Eye or Ear, or both; and the nearer and more violently the Object of Compassion strikes those Senses, the greater Disturbance it causes in us, often to such a Degree as to occasion great Pain and Anxiety», An Essay on Charity and