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CAPITOLO 2 LA PRIVACY NELL’ERA DIGITALE

2.1 L’evoluzione del concetto di privacy

Nel capitolo precedente sono stati discussi i principali temi relativi alla costruzione dell’identità nell’era digitale, che risulta essere il prodotto della dialettica e delle reciproche influenze tra l’azione del soggetto, del contesto socio-culturale nel quale opera e delle opportunità e vincoli offerti dalle tecnologie della comunicazione. Negli ambienti di relazione digitali come i social media, in particolare, il sé si costruisce, riconosce e rappresenta attraverso il confronto dialettico con gli altri, mediante un continuo processo di negoziazione dei confini tra online e offline, mondo vicino e mondo lontano, sfera privata e sfera pubblica (Boccia Artieri et al., 2017). All’interno di una più ampia ristrutturazione dei confini dell’identità (Altman, 1975), nell’era digitale si assiste ad una vera e propria mutazione anche del concetto di privacy, che dell’identità rappresenta l’altra faccia della medaglia. Per comprendere le dimensioni distintive della privacy nell’era digitale e le sue implicazioni sul piano dell’identità, il presente capitolo parte da una ricostruzione del concetto di riservatezza e ripercorre la sua evoluzione alla luce delle notevoli trasformazioni introdotte dai media digitali e da Internet, che hanno ampliato notevolmente il suo significato e i campi d’applicazione rispetto all’era analogica. Di fatto, nel paradigma della comunicazione digitale, la privacy non è più intesa come “diritto di essere lasciati da soli” (Warren e Brandeis, 1890), ma come “diritto a mantenere il controllo sulle proprie informazioni” (Westin, 1967). Per capire come avviene tale cambio di prospettiva, è utile partire dalla definizione del concetto di privacy e dalle tappe più significative del suo progressivo sviluppo. Il termine di origine anglosassone privacy, derivato da private (privato), che a sua volta risale al latino privatum (isolato), è tradotto in italiano con “riservatezza” o “privatezza” ed è usato frequentemente nel linguaggio comune, ma anche in

ambito filosofico, politico e giuridico per designare la vita privata dell’individuo5. Nella ricostruzione del concetto di privacy è non è semplice

individuare una definizione univoca che comprenda tutti gli aspetti e i significati storicamente attribuiti: il concetto, infatti, varia nel tempo e nello spazio (Rengel, 2013), in cui si è arricchito di sfaccettature sempre nuove ed ha acquisito una propria autonomia grazie all’intuito di alcuni giuristi e a un importante lavoro di comparazione storica e sociologica. Nel tentativo di delineare l’origine e l’evoluzione della privacy così come la conosciamo oggi, la maggior parte degli studiosi concorda che l’idea di privacy nasce prima come “principio morale” e solo successivamente come “diritto giuridico”. Il principio di riservatezza affonda le sue radici nell’età moderna e inizia ad assumere il significato di diritto fondamentale della persona alla fine del Settecento, quando l’Illuminismo diffonde il valore della libertà dell’individuo rispetto al potere assoluto della monarchia. Un primo riconoscimento del valore della riservatezza è rintracciabile nel Quarto Emendamento della costituzione americana, introdotto nel 1787:

«Il diritto dei cittadini ad essere assicurati nelle loro persone, case, carte ed effetti contro perquisizioni e sequestri non ragionevoli, non potrà essere violato, e non potranno essere emessi mandati se non su motivi probabili, sostenuti da giuramenti o solenni affermazioni e con una dettagliata descrizione del luogo da perquisire e delle persone o cose da prendere in custodia».6

È importante evidenziare che il diritto alla privacy non è espressamente menzionato nella Costituzione americana: ciò può essere comprensibile perché reali violazioni della privacy si sono presentate solo più tardi rispetto all’emanazione del Quarto emendamento, cioè quando lo sviluppo dei mass media e delle telecomunicazioni hanno reso concreta la lesione di tale diritto7.

5 Fonte: Accademia della Crusca, <http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-

italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/privacy-riservatezza>.

6 Fonte: <http://www.dircost.unito.it/cs/docs/stati%20uniti%201787.htm>.

7 Ad oggi però, il Quarto emendamento non ha subito modifiche: esso tutela

gli individui da ogni tentativo del Governo di introdursi, senza invito, tra le loro mura domestiche per cercare, analizzare o prendere oggetti personali, a meno che non vi sia un mandato del tribunale o un esplicito permesso del proprietario. L’esposizione volontaria dell’individuo, attraverso la

Indagando il contesto socio-economico, politico e giuridico in cui sono maturate le condizioni per l’affermarsi del diritto alla privacy, Stefano Rodotà (1974) fa risalire la nascita del concetto di riservatezza al disgregarsi della società feudale. Secondo quest’interpretazione, la privacy si configura come un bisogno nuovo, tipico della classe borghese emergente, che trova il suo terreno fertile nelle trasformazioni legate alla rivoluzione industriale. In tale contesto, la privacy non è un diritto naturale di ogni individuo, ma un privilegio delle élites borghesi. Nell’Ottocento, la borghesia era la classe sociale più colpita dalle innovazioni tecnologiche: la stampa scandalistica e la fotografia esponevano alla pubblica divulgazione ogni attività dei personaggi più in vista dell’alta società e questa nuova forma di sorveglianza mediatica era ritenuta ingiustificata e aggressiva (Westin, 1967). È proprio in reazione a questi attacchi alla riservatezza, resi possibili dalle tecnologie dell’epoca, che emerge l’esigenza di una tutela della sfera privata dell’individuo. Nel 1890, Warren e Brandeis, giuristi attenti ai progressi sociali e tecnici del loro tempo, studiarono una serie di casi in cui le nascenti tecnologie della comunicazione, ad esempio la fotografia, potevano violare la riservatezza dell’individuo, disseminando in pubblico dettagli e particolari della vita privata. Ne scaturì un saggio, The right of privacy, che ebbe il merito di dar inizio a una sistematica discussione sul concetto di riservatezza. Nella riflessione di Warren e Brandeis, il diritto alla privacy è definito come right to be let alone, ovvero il “diritto di essere lasciati da soli”, conferendo all’individuo la facoltà di privare gli estranei dalla conoscenza di notizie a lui riferite, che rappresenta il desiderio di ogni individuo di essere lasciato in pace e di essere rispettato nella propria intimità. Warren e Brandeis individuarono in quest’aspirazione un vero e proprio diritto, meritevole di un

condivisione di informazioni o l’accettazione che esse vengano consultate, costituisce un’eccezione al Quarto emendamento e legittima l’intervento dello Stato. Se da un lato la vaga definizione del concetto di riservatezza ha reso il Quarto emendamento adattabile ad ogni cambiamento tecnologico nel corso del tempo, dall’altro essa ha ampliato il numero di situazioni in cui le garanzie costituzionali sono messe fuori gioco dagli interessi prevalenti.

riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico e di una disciplina che ne valutasse i limiti e lo proteggesse dalle violazioni. È possibile affermare, dunque, che le origini della privacy come diritto risalgono al lavoro di Warren e Brandeis, grazie al quale il principio di riservatezza viene disciplinato da leggi specifiche e diventa diritto esigibile. Attraverso l’analisi delle differenti forme di tutela che hanno protetto la riservatezza nei diversi sistemi nazionali nel tempo, è stato man mano possibile attribuire alla privacy un ruolo appropriato, sia nell’ordinamento giuridico che nella percezione sociale (Prosser, 1960). Se in un primo momento il diritto alla riservatezza era una prerogativa delle élites borghesi, in seguito la privacy è stata invocata da tutte le classi sociali come fondamento di una società rinnovata, democratica e pluralistica. Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) proclama la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, in cui è riconosciuto anche il diritto alla privacy, espresso nell’articolo 12:

«Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni»8.

Da questo momento, la privacy diventa un diritto universale e si configura come presupposto fondamentale per l’esercizio di molti altri diritti di libertà, tra cui quelli di opinione e di espressione. Si tratta di un riconoscimento storico, ma allo stesso tempo molto complesso perché, coinvolgendo onore e reputazione, tocca la sfera più intima e sensibile della dignità umana. Secondo Rodotà (1974), tale riconoscimento ha democratizzato il diritto alla privacy, che si allarga da un ambito personale ad uno sociale, spezzando il suo nesso con i privilegi della classe borghese ed estendendosi a tutti i cittadini al fine di promuovere la parità di trattamento contro l’autoritarismo e le forme di discriminazione basate sulle opinioni politiche. Un ulteriore sviluppo del concetto di privacy è stato sollecitato dalla riflessione di Westin (1967), considerato uno dei maggiori esperti sul tema negli Stati Uniti. Egli definisce

la privacy come “diritto e potere”, ovvero una pretesa legittima di ogni individuo di decidere in che misura e con che modalità condividere una parte di sé con gli altri. Descrivendo la privacy come “relazione zero” tra due o più individui, Westin afferma che non esiste nessun tipo di relazione tra le persone e nessuno scambio di informazioni, a meno che esse stesse non decidano il contrario. In quest’ottica, il diritto alla privacy si configura come esercizio dell’agency individuale e, più precisamente, come diritto dell’individuo ad esercitare il controllo sulla diffusione delle informazioni che lo riguardano. Rientrano in questa definizione una serie di possibilità per il soggetto, che vanno dall’esercizio dell’anonimato, al prendere in proprio decisioni di carattere intimo, al divieto di usare informazioni personali altrui e di produrre effetti pregiudizievoli sugli altri (Focarelli, 2015). La definizione di Westin anticipa numerose questioni che caratterizzano la privacy nell’era digitale. Come si vedrà nel paragrafo successivo, la nascita delle ICT e di Internet apre nuovi scenari caratterizzati da una maggiore articolazione della privacy come concetto e come diritto, che si modella progressivamente in base ai principali cambiamenti politici, economici, tecnologici e sociali degli ultimi decenni (Fioriglio, 2008).