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CAPITOLO 1 LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITÀ NELL’ERA DIGITALE

1.5 Pratiche identitarie e della socialità

Il Web 2.0 (O’Reilly, 2004) ha completamente trasformato la concezione del web così come era nato nel 1991: da ipertesto globale che connette prevalentemente documenti, esso è diventato un paesaggio sociale in cui le persone sono impegnate in una moltitudine di attività, prevalentemente relazionali (Benkler, 2006). Il Social Web rappresenta oggi l’ambiente digitale quotidiano di supporto alla costruzione delle identità e i social media in particolare sono spazi di espressione del sé e della socialità, dove si

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incontrano le pratiche della soggettività e dell’intersoggettività. Per studiare come e perché tali ambienti contaminano le dinamiche di costruzione dell’identità è quanto mai necessario, in accordo con Carmen Leccardi (2007, pp. 11-12),

«comprendere quali strategie vengono concretamente elaborate, e quotidianamente messe in atto, per dare spazio a quella ricerca di autonomia e di auto-governo ai nostri giorni terreno d’elezione delle costruzioni identitarie. Inoltre, poiché ogni identità rinvia, per definizione, a una stretta relazione con la differenza, appare utile comprendere attraverso quali vie, quali strategie, quali strumenti questa relazione concretamente si sostanzia».

L’accento posto sulle pratiche, dunque, permette di scandagliare le motivazioni, i bisogni, i vissuti e l’universo di significati che sono alla base della partecipazione ai social media. Più precisamente, le pratiche consentono di comprendere come tutti questi elementi si incarnano in azioni concrete di definizione del sé, che sono l’effettiva manifestazione dell’identità nell’era digitale. Nell’analisi delle pratiche più diffuse tra gli adolescenti nei social media ci si riferisce, in particolare, a quelle relative alla costruzione del sé e a quelle legate alla socialità. danah boyd e Nicole Ellison (2007) definiscono i social network sites sulla base di tre elementi distintivi: la possibilità di costruire un proprio profilo, di creare una rete o lista di contatti e di analizzare le sue caratteristiche. In riferimento al primo aspetto, la costruzione dei profili va intesa come un vero e proprio esercizio di costruzione dell’identità perché, come afferma Giovanni Boccia Artieri (2012, p. 108):

«Il “profilo” va inteso come forma espressiva di auto-rappresentazione pubblica, cioè un modo di ri-appropriarsi delle forme di rappresentazione di se stessi in pubblico, della propria immagine pubblica in un medium di potenziale comunicazione di massa».

I profili personali, infatti, caratterizzano i siti di social network come ambienti trasparenti, non più anonimi, che offrono ai ragazzi l’opportunità di rappresentare se stessi e molto spesso di enfatizzare alcuni aspetti della propria identità volti a raggiungere la desiderabilità sociale (Zhao et al., 2008). In questo senso, i social network sono spazi di elaborazione e

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sperimentazione identitaria in quanto consentono l’attivazione di meccanismi di selezione tra la molteplicità di identità possibili, fondati su logiche di imitazione o di differenziazione rispetto agli altri (Boccia Artieri, 2012). Le attività più frequenti su questo fronte sono la pubblicazione di post, foto, video, informazioni personali relative alla scuola frequentata, alle relazioni sentimentali, agli interessi e così via. In questo processo di presentazione del sé l’identità è un’entità dinamica. Come osserva Riva (2004), infatti, il sentimento di sé si forma progressivamente attraverso autorappresentazioni che si sviluppano nel corso della propria storia e tale processo si completa quando la percezione di essere se stesso si integra con la percezione del riconoscimento da parte degli altri. Secondo Sonia Livingstone (2009), rispetto alle pratiche di autorappresentazione dell’identità degli adolescenti, si possono notare essenzialmente due principali stili di presentazione del sé sui social network, definite “identità come esibizione” e “identità come connessione”. L’identità come esibizione mira a far emergere l’immagine del sé attraverso forme di narcisismo digitale e di vetrinizzazione della sfera privata. Secondo Livingstone, questa pratica è realizzata soprattutto dagli utenti più giovani (preadolescenti e adolescenti) che adoperano una costruzione del profilo stilisticamente molto elaborata, volta all’empowerment del sé (Riva, 2010). Nei social media, infatti, l’identità degli adolescenti si configura come “atto performativo” e si basa sulla gestione delle impressioni altrui (Goffman,1959) attraverso pratiche di lifting identitario, volte ad esprimere un sé desiderato e desiderabile (Napoli, 2015). L’identità come connessione, invece, mira a far emergere l’immagine del sé attraverso la mappa delle proprie relazioni sociali, come la cerchia di amici o i gruppi e le comunità di cui si fa parte, ponendo in primo piano la dimensione “connessa” del proprio sé (Networked Self). Questa pratica è adottata soprattutto dai giovani, non più adolescenti, che preferiscono avere un profilo sobrio a livello estetico. I social media favoriscono anche l’espressione e la narrazione del sé perché consentono agli adolescenti di esaudire il loro desiderio di emergere, di raccontarsi, di esprimere le proprie sensazioni, i propri stati d’animo, le proprie opinioni, ma anche di mettersi alla prova nella

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produzione di contenuti amatoriali (user generated content) mediante i quali manifestano le loro passioni e la loro creatività. Secondo Sonia Livingstone l’espressione dell’identità online degli adolescenti è, dunque, influenzata da tre elementi principali: le aspettative degli altri, il design delle piattaforme e le competenze mediali possedute.

Giovanni Boccia Artieri (2012) mette in evidenza che nei siti di social network si possono rintracciare anche nuove pratiche riflessive, poiché nella connessione del sé con altri sé l’identità si riflette e si riconosce. L’esperienza individuale, quindi, trova un proprio senso nella connessione sociale e la realtà del social web orienta all’applicazione di criteri di riflessività. Si tratta, secondo Boccia Artieri, di una nuova forma di “riflessività connessa”, che si riferisce alle forme intersoggettive e che prevede una nuova sensibilità degli individui verso la reciprocità, la condivisione e l’agire dell’altro.

Un secondo elemento distintivo dei siti di social network individuato da danah boyd e Nicole Ellison (2007) riguarda la possibilità per gli utenti di creare una rete o una lista di contatti e di analizzare le sue caratteristiche. Facebook e molti altri social network si basano, infatti, proprio sulla creazione di una rete di contatti on line e offrono ai propri utenti un motore interno per cercare i propri “amici”. L’adolescenza è un periodo della vita in cui la socializzazione con il gruppo dei pari e la scoperta dell’altro ricoprono un ruolo cruciale nella formazione della personalità e i social media sembrano offrire possibilità inedite rispetto al passato. Gli adolescenti, infatti, utilizzano i social network soprattutto per confrontarsi con i coetanei e per verificare le reazioni degli amici ai loro post, alle loro foto, allo storytelling della vita quotidiana. I feedback che ricevono, che possono assumere la forma di like, reaction e commenti, sono moneta relazionale e preziosi spunti per il loro agire online e offline (boyd, 2014). Secondo Lello Savonardo (2007; 2013) i social media svolgono il ruolo di “palestra” della socializzazione per i giovanissimi perché rispondono perfettamente ai loro bisogni sociali, culturali, ludici e affettivi. La fruizione di internet rispetto all’area della socialità è infatti costituita prevalentemente dall’uso dei social media. Le attività sociali svolte più frequentemente dai ragazzi nelle loro routines

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quotidiane sulle piattaforme di social networking sono essenzialmente rivolte alla ricerca di nuove amicizie e al mantenimento di quelle esistenti. Le reti dei contatti on line degli adolescenti, come rilevano tra gli altri Sonia Livingstone (2009) e danah byod (2014), non contengono solo “amici”, ma anche conoscenti diretti e indiretti e persone sconosciute. L’amico online, tuttavia, non sempre corrisponde alla definizione di amico nel mondo offline e in questo senso i social network hanno dato vita ad una nuova “semantica dell’amicizia” (Boccia Artieri, 2012). Va detto, però, che a differenza degli studi della prima fase di internet che evidenziavano una netta separazione tra i legami online e offline, ad esempio gli studi sulle comunità virtuali, oggi nei social media i ragazzi tendono ad integrare entrambe le dimensioni della socialità, rafforzando i legami con le persone che frequentano quotidianamente anche al di fuori degli ambienti del web e attivando di volta in volta nuovi legami con persone sconosciute. Anche la ricerca empirica condotta in questo lavoro mette ben in evidenza tale aspetto (cfr. capitolo 5). Un ultimo aspetto aspetto, di particolare interesse per questo lavoro, riguarda la predisposizione degli adolescenti alla socialità, ovvero il grado di apertura verso l’altro in rete. Lo schema classificatorio dei social media proposto da Kaplan e Haenlaein (2010) pone proprio l’attenzione sui concetti di “presenza sociale” e di “apertura sociale”, che possono essere riscontrati, ad esempio, in base alla scelta degli utenti di scegliere un profilo pubblico o privato e ad altre azioni che rimandano alla gestione della privacy. Piermarco Aroldi e Nicoletta Vittadini (2016), riprendendo il concetto di “socievolezza” di Simmel (1910), propongono un’interpretazione di tale predisposizione dei ragazzi, le cui azioni online possono essere orientate alla “privatezza” o alla “socievolezza”. La socievolezza indica un orientamento del sé ad essere pubblico in pubblico, connesso agli altri sé per puro piacere o per rispondere a bisogni precisi, esprimendosi secondo diversi livelli di presenza e coinvolgimento nelle relazioni online. La “privatezza” indica invece un orientamento del sé ad essere privato in pubblico, mantenendo un certo grado di distacco e riservatezza nei confronti degli altri, con una maggiore attenzione alla dimensione privata del sé. Anche in questo caso, il sé privato

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si esprime secondo diversi livelli di presenza o assenza e di coinvolgimento o distacco nelle relazioni online. L’affermazione di sé, la presenza sociale e l’apertura verso gli altri contribuiscono ad alimentare quella dialettica intersoggettiva accennata più volte. Tali indicazioni sono risultate particolarmente utili durante la ricerca empirica condotta nell’ambito del presente lavoro ed hanno consentito di trovare le coordinate per la costruzione di una tipologia di utenti, presentata nella seconda parte.

In conclusione, attingendo al percorso intrapreso in questo capitolo, è possibile affermare che nella networked communication (Castells, 1996; Cardoso, 2008; Rainie, Wellman, 2012) si apre un nuovo universo di possibilità per la costruzione del sé, dove dimensione oggettiva, soggettiva e intersoggettiva si influenzano e si co-producono (Crespi, 2004). Il ruolo giocato dalle piattaforme digitali e dalle loro affordances si fonde con i bisogni più intimi dell’individuo e con i condizionamenti che provengono dall’ambiente sociale. In questa dialettica, l’individuo deve negoziare di volta in volta i confini della propria esistenza (Sciolla, 1983), attingendo a nuove coordinate spazio-temporali e sviluppando nuove pratiche di autodefinizione e nuove forme di riflessività. Costruire la propria identità nell’era digitale, significa, infine, stabilire una nuova condotta in relazione alla dimensione pubblica e privata della Rete, mediante azioni di disvelamento e nascondimento del sé (Aroldi & Vittadini, 2016). Il capitolo successivo, dedicato alla privacy nell’era digitale, approfondisce nel dettaglio tale aspetto, con l’obiettivo di interpretare le dimensioni distintive della privacy nell’era digitale e le sue implicazioni sul piano della costruzione dell’identità.