CAPITOLO 2 LA PRIVACY NELL’ERA DIGITALE
2.3 Privacy e social media
Il rapporto tra privacy e social media è uno dei temi più dibattuti negli ultimi anni nell’ambito dei social media studies, quella particolare area di studi che assume i social media come oggetto dell’indagine teorica e della pratica di ricerca (Vittadini, 2018). La specificità dei social media, che si configurano come ambienti di relazione e di espressione identitaria nel panorama mediale contemporaneo, sembra aprire nuovi snodi nella riflessione più generale sul rapporto tra la privacy e le tecnologie della comunicazione digitale, contribuendo ad arricchire il quadro delle questioni sin qui esposte e a fare ulteriore chiarezza nel dibattito. Nei siti di social network, infatti, la maggior parte delle persone rivela sempre più informazioni su di sé, adottando comportamenti diversi a seconda della loro propensione verso un regime di pubblicità o di privatezza, collocando le proprie esperienze online in quella zona grigia al confine tra pubblico e privato. Proprio per questo, la privacy assume tratti e significati peculiari nei social media, soprattutto se si pensa, fa notare Vittadini, alle opzioni di controllo delle informazioni personali fornite dalle piattaforme, alle pratiche di gestione della visibilità dei contenuti in relazione alle audiences da parte degli utenti o ancora alla gestione della web reputation (reputazione online) che dipende dalle informazioni esplicitamente dichiarate dagli altri sul proprio conto. Provando a sintetizzare l’ampio dibattito che si è sviluppato intorno al tema della privacy nei social media, è possibile rintracciare alcuni filoni di studio più o meno consolidati.
Il punto di convergenza di tutti questi approcci, condivisibile da vari punti di vista, è la constatazione che nei media di relazione digitali e in particolare nei siti di social network non si può intendere la privacy come riservatezza tout court, concependola come il “diritto di essere lasciati soli” secondo la definizione proposta da Warren e Brandeis (1890). Come spiega a tal proposito Nicoletta Vittadini,
«l’essere lasciati soli implica un’astensione dall’uso di piattaforme fondate sullo scambio di contenuti e sul disvelamento di informazioni su se stessi» (Vittadini, 2018, p.132).
La condivisione e lo scambio sono, infatti, i presupposti della partecipazione ai social media e spesso il concetto di riservatezza in tali ambienti è visto più come un controvalore che come una necessità. Il significato assunto dalla privacy all’interno di tali piattaforme è più simile, piuttosto, alla definizione proposta da Westin (1967), ovvero come diritto dell’individuo ad esercitare il controllo sulla diffusione delle informazioni che lo riguardano. L’accento posto sul controllo delle informazioni da parte dell’individuo attribuisce all’utente un ruolo attivo nella gestione della propria privacy e allo stesso tempo la responsabilità della pubblicazione dei suoi o degli altrui dati in rete. Assumendo l’autodeterminazione informativa dell’utente come nucleo centrale, tale concezione della privacy può essere interpretata nell’ambito dei social media sia in relazione ai processi di costruzione dell’identità in rete, che all’uso delle informazioni personali da parte di terzi. Un primo filone di studi si riferisce, infatti, alla cosiddetta social privacy (Raynes-Goldie, 2010) o expressive privacy (Tufecki, 2008), per indicare le forme di tutela e gestione della privacy legate alla rappresentazione della propria identità online e che riguarda le relazioni interpersonali “orizzontali” tra gli utenti dei social media; un secondo filone di studi fa riferimento, invece, all’institutional privacy (Raynes-Goldie, 2010) o informational privacy (Tavani, 2008; Nissembaun, 2010; Acquisti, Brandimarte, Loewenstein, 2015), per indicare, come abbiamo visto in precedenza, le forme di tutela e gestione della privacy che riguardano le relazioni “verticali” tra gli utenti e i provider dei servizi web e altri attori istituzionali. Questa importante distinzione è alla base delle
peculiari configurazioni che la privacy assume oggi nei social media. Da un lato, infatti, la gestione della privacy nella sua dimensione sociale ed espressiva è un processo dinamico, in cui gli utenti controllano la circolazione delle informazioni che li riguardano attraverso la definizione dei confini e dei limiti di accessibilità nei confronti degli altri utenti con cui entrano in relazione (Altman, 1975); dall’altro, la gestione della privacy nella sua dimensione istituzionale e informativa si realizza attraverso quelle azioni volte alla definizione dei confini tra pubblico e privato, per controllare il trattamento e la diffusione dei propri dati sensibili, al fine di mantenere un’identità inviolata nei confronti degli apparati istituzionali (Pohle, 2012). All’incrocio tra i due tipi di gestione della privacy, si colloca il tema della sorveglianza digitale, che nei social media assume forme inedite. Fausto Colombo (2013), riprendendo le riflessioni di Focault, sostiene che nei social media la nuova sorveglianza digitale non è attuata solo dalle istituzioni tradizionali, ma anche e soprattutto dalle agenzie non istituzionali che operano su internet, come Google, Facebook, Yahoo, e dagli utenti stessi. Più precisamente, nell’analisi di Colombo la sorveglianza passa da una modalità “verticale”, basata su fini repressivi secondo il modello one to many, tipico della modernità, ad una modalità “orizzontale”, basata sulla partecipazione di tutti i soggetti attivi del potere, secondo una logica many to many. Si crea così una struttura tecnologica di controllo in cui i dati vengono forniti spontaneamente dagli utenti connessi alla Rete e utilizzati dai tre soggetti attivi nella sorveglianza. Questa nuova forma di sorveglianza è definita interveillance e rappresenta l’esatta condizione che si presenta nelle piattaforme digitali come i social media. La sorveglianza istituzionale e la sorveglianza sociale, infatti, esprimono quella reciprocità di sguardi che regola il gioco dell’essere pubblici connessi in pubblico (Boccia Artieri, 2012). Un terzo filone di studi che analizza la privacy nei social media pone, invece, l’accento sulle caratteristiche tecniche delle piattaforme e sulle affordances che abilitano in relazione alla gestione della privacy. Secondo Vittadini (2018), attraverso lo sviluppo tecnologico dei social media nel tempo, si può leggere come siano cambiate le modalità che consentono agli
utenti di gestire gli account e i contenuti e, dunque, come le piattaforme abbiano incorporato le istanze sociali e le pratiche d’uso relative alla privacy. Dal punto di vista tecnico, i social media possono essere distinti in due grandi famiglie: i social media statici, basati sui profili-utente, e i social media dinamici, basati sui contenuti e sulle conversazioni. I social media statici, come Friendster, LinkedIn, Myspace e Facebook (nella prima fase del suo sviluppo), consentono di scegliere tra una comunicazione pubblica o privata attraverso le impostazioni di visibilità della pagina dell’utente: è possibile, infatti, attivare un profilo pubblico, ovvero visibile a tutti, o un profilo privato, cioè visibile solo ad una certa rete di utenti con i quali si è entrati in contatto. Secondo Vittadini, questa modalità di controllo implica tre conseguenze: la prima è che l’impostazione pubblica o privata del profilo, una volta scelta, è relativa a tutta la gamma di attività di comunicazione dell’utente; la seconda è che il controllo sui flussi di comunicazione si stabilisce a priori e si esprime attraverso la delimitazione del contesto sociale in cui si può svolgere la comunicazione; la terza è che il confine tra pubblico e privato si definisce in base alle relazioni di reciprocità con gli altri utenti. Nei social media dinamici, come Twitter, Instagram e Facebook (dopo il 2010), è possibile invece gestire la visibilità di ogni singolo post, che può essere impostata come pubblica o privata. Questa modalità di controllo ha due caratteristiche distintive: la prima è che il confine tra pubblico e privato è relativo al singolo contenuto e non all’intero account, mentre la seconda è che tale confine si definisce in base alle audiences che accedono al singolo contenuto, che possono essere indifferenziate o ben precise. In particolare, osserva Vittadini, in queste piattaforme la privacy, intesa come privatezza dei contenuti, viene considerata come contro-valore e anche se dal punto di vista tecnico è possibile impostare l’account in modalità privata, nella maggior parte delle pratiche degli utenti questa opzione non viene considerata. In base alle opzioni di privacy offerte dalle piattaforme sembrano emergere, dunque, tre idee di privacy differenti nel corso dello sviluppo dei social media:
• una “privacy di rete”, basata su relazioni private connotate dalla reciprocità tra utenti dei social media;
• una “privacy di diffusione”, basata sulla circolazione dei contenuti su cui si può esercitare un controllo e che raggiunge audiences predefinite;
• una “privacy di flusso”, basata su conversazioni che coinvolgono pochi utenti rispetto a quelle che seguono la logica one to many o many to many.
La gestione della privacy nei social media, con le sue specifiche configurazioni, diventa nell’esperienza quotidiana un processo dialettico di negoziazione dei confini, una continua di ricerca di un punto di equilibrio, una vera e propria triangolazione (Papacharissi e Gibson, 2011) tra il sé, la socievolezza e quella zona grigia tra la dimensione pubblica e privata. Come si vedrà nel prossimo paragrafo, gli adolescenti sono immersi in queste dinamiche nei social media e attraverso le loro pratiche ridefiniscono nuovi confini del proprio sé attraverso una “paradossale” concezione della privacy (Barnes, 2006).