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Evoluzione legislativa

Nel considerare l’evoluzione che, sul piano giuridico, ha caratterizzato la disciplina del bilancio, si deve attribuire all’anno 1673 un ruolo di particolare rilevanza, in quanto risale a quel periodo la prima forma di regolamentazione legislativa dell’inventario, la quale rappresentò la breccia verso l’emanazione di disposizioni concernenti specificatamente il bilancio. L’art. 8

dell’ordonnance de commerce colbertina del 1673 stabiliva, infatti: “entro il termine dei sei mesi, tutti i commercianti saranno tenuti a redigere l’inventario di tutti i loro beni mobili e immobili, e dei loro crediti; l’inventario sarà rinnovato ogni due anni”. Queste disposizioni, rimaste per oltre un secolo le uniche esistenti in materia, costruiscono la base del code de commerce francese del 1807. Tale codice, nonostante non avesse apportato delle innovazioni paragonabili al code civil, fu ugualmente giudicato di particolare importanza e, in quanto tale, fu ricalcato dalle legislazioni di numerosi Stati stranieri, fra i quali anche l’Italia. Il codice Napoleone non conteneva però ancora nessuna norma riguardante il bilancio in quanto, come l’ordonnance de commerce, si limitava solamente a fare dei riferimenti molto generali all’inventario.

In Italia il primo riferimento ai bilanci annuali d’esercizio si riscontra nel codice di commercio del 1865. In esso, infatti, si possono individuare degli accenni espliciti al bilancio delle società, precisamente negli artt. 147 (dove si stabiliva il divieto, gravante sugli amministratori, di votare nella seduta dedicata all’approvazione dei bilanci) e 121 (“se all’accomodante - l’articolo è riferito alle S.a.s - furono pagati interessi sul capitale promessi nell’atto sociale o quote di utili, egli non è tenuto a restituirli quando dai bilanci annuali fatti in buona fede, risultino benefici sufficienti al loro pagamento”). Il tenore di queste ed altre norme fa comprendere come “la regola del bilancio d’esercizio annuale non fosse ancora, a quell’epoca, del tutto chiara nella mente del legislatore”64.

Questa mancanza di regolamentazione giuridica del bilancio divenne decisamente inaccettabile nel corso dell’800, quando, cioè, ebbero forte sviluppo le prime grandi società per azioni che coinvolgevano interessi di un numero sempre maggiore di persone. Ci si attendeva, dunque, un deciso intervento legislativo in tema di società anonime e di bilancio, e finalmente, nel 1882, venne promulgato un altro codice di commercio, il quale, pur avendo il merito di aver disciplinato, per la prima volta in Italia, questo importante

64 Colombo, Il bilancio d’esercizio nelle S.p.A., Cedam, 1965, p. 73.

documento, non riuscì ad incidere - in maniera veramente profonda - sulla materia oggetto di regolamentazione65. Il legislatore del 1882, infatti, non ritenendo opportuno disciplinare in modo analitico l’obbligo di redazione del bilancio, si limitò a stabilire semplicemente che i bilanci delle anonime dovevano dimostrare “con evidenza e verità” gli utili realmente conseguiti e le perdite sofferte (art. 176 cod. comm.). Riguardo invece al contenuto e ai criteri di valutazione da seguire per la redazione dello stesso, il codice non specificava nulla66 e, di conseguenza, veniva fatto un completo rinvio in bilancio alle “buone regole della contabilità”.

L’assenza di una normativa organica riguardante in modo specifico il bilancio, favorì la redazione, da parte delle società, di prospetti compilati in modo estremamente sommario, i quali, conseguentemente, non potevano di certo essere considerati validi strumenti di informazione verso l’esterno67. Ben presto, però, il codice fu oggetto di vivaci critiche, anche perché il sistema normativo previsto dal legislatore del 1882 fu rapidamente superato dal progressivo sviluppo economico-industriale che si verificò in Italia. A soli 13 anni dall’emanazione del codice, venne creata la prima commissione, presieduta da Vivante, per la prima riforma della regolamentazione delle anonime. Tale riforma però, fu attuata solo nel 1942 e, di conseguenza, il codice di commercio del 1882 continuò a produrre i propri effetti anche nei primi decenni del 900.

Nel 1942 venne finalmente promulgato il nuovo codice civile. Tale normativa apportò delle sostanziali modifiche in materia di informazione societaria verso l’esterno in quanto - per la prima volta - si dettarono disposizioni giuridiche riguardanti sia il contenuto del bilancio (art. 2424) - o meglio, dello Stato Patrimoniale (omettendo invece qualsiasi regolamento riguardo al contenuto del Conto Economico) - sia i criteri di valutazione (art.

2425). Il codice si riferisce al bilancio con una terminologia incerta e variabile

65 Avi, Il bilancio come strumento di informazione verso l’esterno, cit., p. 24.

66 E’ da notare che in realtà l’art. 176 conteneva una norma riguardante il contenuto del bilancio, ma, effettivamente, tale disposizione era limitatissima in quanto disponeva solo che il bilancio dovesse indicare distintamente il capitale sociale realmente esistente e la somma dei versamenti effettuati e di quelli in ritardo.

67 Avi, Il bilancio come strumento di informazione verso l’esterno, cit., p. 26.

in quanto, mentre in alcuni articoli tale termine è usato inequivocabilmente per indicare lo stato patrimoniale e il conto economico, in altri, l’espressione

“bilancio”, è nettamente differenziata dal conto profitti e perdite, per cui, identificano il bilancio con la sola situazione patrimoniale. L’aver usato, da parte del legislatore, una così imprecisa terminologia ha come conseguenza l’impossibilità di dedurre dal codice una ben determinata nozione giuridica di bilancio d’esercizio. In base alla legislazione civilistica, i soggetti obbligati alla redazione del bilancio sono gli imprenditori commerciali e tutte le società, comprese le mutue assicuratrici e le imprese cooperative. È da sottolineare, però, che la disciplina di questo prospetto varia enormemente a seconda del tipo di impresa. Il codice stabilisce che il bilancio deve essere redatto annualmente, a seguito della chiusura dell’esercizio. Il bilancio risulta dall’opera coordinata di tre organi: gli amministratori, che provvedono a redigerlo; i sindaci che lo controllano e l’assemblea che lo approva. Il codice stabilisce inoltre che, assieme al bilancio, gli amministratori debbano stilare anche una relazione, ed impone che l’uno e l’altra siano fatti pervenire, almeno 30 giorni prima di quello fissato per l’assemblea, al collegio sindacale, il quale, a sua volta, deve stendere un’ulteriore relazione. Il legislatore infine, dispone che il bilancio venga depositato presso la sede sociale, con la relazione degli amministratori e dei sindaci, almeno 15 giorni prima della data fissata per l’assemblea, affinché i soci possano prenderne visione.

Da queste brevi considerazioni si può comprendere come il codice del 1942 abbia rappresentato un notevole passo in avanti nell’ambito della problematica della trasparenza aziendale. Per la prima volta, infatti, si riconobbe la rilevanza del bilancio come strumento informativo per i terzi. L’accoglimento del concetto che il bilancio rappresenta un mezzo di conoscenza per i terzi, fece sì che il principio informatore di tutta la disciplina normativa di tale documento fosse la tutela degli interessi dei soggetti esterni all’impresa68.

Passando ora al problema “del contenuto del bilancio”, si è già accennato sopra come il primo intervento in materia sia stato disposto dal legislatore del

68 Avi, Il bilancio come strumento di informazione verso l’esterno, cit., p. 31.

1942 il quale però, si limitò a disciplinare lo stato patrimoniale omettendo qualsiasi disposizione riguardo al conto economico. Le sole poste dello stato patrimoniale, pur mettendo in evidenza un dato importante qual è la composizione attuale del patrimonio, non fornivano notizie sull’andamento economico della gestione, in quanto, tali informazioni, possono essere attinte principalmente dal conto profitti e perdite. La mancanza di norme disciplinanti analiticamente la struttura di tale conto, consentì il radicarsi di prassi di estremo ermetismo dei conti economici pubblicati. Negli anni ’50 e ’60, infatti, molte aziende stilarono dei conti profitti e perdite estremamente sintetici, che ponevano in evidenza il reddito netto d’esercizio come somma algebrica tra il risultato lordo di gestione e pochissimi atri componenti di reddito distintamente indicati, con la conseguenza che era difficile, o addirittura impossibile, attingere da tali conti informazioni significative sull’andamento gestionale.

L’assenza di una disciplina analitica della struttura del conto economico rese quindi praticamente impossibile l’interpretazione del bilancio in quanto, così strutturato, questo documento non forniva alcuna informazione sull’andamento economico della gestione sociale. Tale lacuna era ulteriormente aggravata dalla circostanza che, in mancanza di una disciplina specifica riguardante la relazione degli amministratori, si era instaurata, presso le società, la prassi di redigere delle relazioni che non fornivano alcuna informazione sull’andamento gestionale dell’impresa.

Questa situazione, stante il carattere integrativo della relazione rispetto al bilancio, rese ancora meno intelligibile ai terzi il bilancio pubblico, documento, come sottolineato sopra, già caratterizzato dalla mancanza di un profitti e perdite significativo. Tali relazioni scarsamente espressive furono vivacemente criticate sia dagli aziendalisti69 che da una parte della dottrina giuridica70, la quale riteneva che la genericità dell’art. 2423 non giustificasse l’ermetismo delle relazioni in quanto la relazione sulla gestione, dovendo illustrare

69 Si vedano, Tremelloni, Alcune riflessioni sulla relaz. in Saggi di ec. az. in memoria di Zappa, cit., p. 1858; Amodeo, Il bil. della S.p.A. come strum. d’inf., in Rivista dei Dott.

Comm., A 5, 1970, p. 889.

70 Nava, Il bil. d’es. continuerà a dire poco o nulla in assenza di una relazione amministrativa che precisi con rigore tecnico le adattate stime di fine periodo, in Rivista dei Dott. Comm., 1972, p. 4.

l’andamento della gestione, non poteva prescindere dalla considerazione, ad esempio, dei diversi settori di attività della società, dell’apporto fornito dalle partecipazioni, degli investimenti, dei costi, dei prezzi praticati, e dei criteri seguiti nella valutazione dei beni. Tali elementi pertanto, secondo gli autori appartenenti a questa corrente dottrinale dovevano essere evidenziati nelle relazioni degli amministratori. A partire dalla seconda metà degli anni ’60 però, la prassi caratterizzata dall’ermetismo nell’informativa di bilancio cominciò ad incorrere in numerose sentenze sfavorevoli da parte della magistratura. L’effetto scaturito da tale indirizzo giurisprudenziale, fu sicuramente una prima spinta al miglioramento dell’informativa di bilancio.

Dottrina e giurisprudenza ormai davano chiari segnali di un’evoluzione che portava verso una disciplina analitica sia del profitti e perdite che della relazione degli amministratori.

Finalmente il legislatore, con la legge n. 216, intervenne, nel 1974, in materia di bilancio con due specifici articoli: il 2425/bis, che disciplinava il contenuto del conto economico; ed il 2429/bis che stabilisce, invece, le regole da seguire per la compilazione della relazione degli amministratori. Per quanto riguarda l’art. 2425/bis bisogna notare che lo schema di conto profitti e perdite a cui si è ispirato il legislatore è quello a costi, ricavi e rimanenze, il quale trova, a livello aziendalistico, la sua matrice nella dottrina di G. Zappa.

L’aver imposto un contenuto minimale al conto economico ha portato, in tema di informativa societaria verso l’esterno, un miglioramento ragguardevole in quanto l’art. 2425/bis, ha indubbiamente il merito di essere riuscito a far sì che anche ad operatori esterni all’azienda debbano essere fornite, in modo sistematico, delle informazioni sufficientemente dettagliate sul processo di formazione e sull’entità del risultato economico. La legge 216 ha apportato sostanziali modifiche in tema di informazione verso l’esterno, non solo disciplinando il conto economico (art. 2425) bensì stabilendo anche delle regole specifiche circa il contenuto obbligatorio della relazione degli amministratori. Secondo l’art. 2429/bis, la relazione annuale deve illustrare l’andamento della gestione nei vari settori in cui l’impresa ha operato anche attraverso società controllate, con particolare riferimento ai prezzi, ai costi e

agli investimenti; essa, inoltre, deve contenere non solo informazioni di tipo consuntivo ma anche indicazioni di carattere prospettico71. Il legislatore ha dettato quindi delle norme riguardanti la relazione ed il conto economico che potenzialmente permettono ai terzi di entrare in possesso di informazioni dettagliate riguardo l’andamento della gestione sociale.

Per garantire una corretta informativa societaria il legislatore del 1974, oltre a disciplinare il grado di analiticità del bilancio, introdusse anche delle norme (riguardanti in particolar modo le società quotate in borsa) mediante le quali impose un controllo pubblico sulle società al fine di apportare un ulteriore miglioramento in tema di trasparenza. Tale attività di controllo venne affidata ad un’apposita commissione creata ad hoc. Venne così costituita la CONSOB (commissione nazionale società e borsa), organo la cui opera è rivolta alla vigilanza sia delle società per azioni quotate in borsa, sia del mercato borsistico. Si è inoltre stabilito che essa debba attuare un controllo sulle società di tipo continuativo e permanente, e che parte dei poteri assegnatigli si riferiscono in modo diretto all’informazione verso l’esterno, mentre altri sono connessi specificamente al funzionamento della borsa valori. Occorre anche ricordare che la legge 216 è stata integrata e modificata nel 1983 dalla l. n. 77, e nel 1985 dalla l. n. 281. Nel 1983 si attribuì alla Consob la funzione di controllo su ogni forma di sollecitazione di pubblico risparmio. In tal modo si apportò in tema di “disclosure” un deciso miglioramento, facendo sì che la commissione divenisse il vero e proprio fulcro del controllo pubblico in relazione a tutto il settore del mercato dei valori mobiliari. Nel 1985, poi, il legislatore emanò la l. 281 mediante la quale, apportando sostanziali modifiche ed integrazioni alla l. 216, si riuscì a creare una situazione più favorevole per il corretto funzionamento della Consob e, contemporaneamente, si ottenne un deciso miglioramento in materia di trasparenza in quanto, molte delle limitazioni che la l. 216 presentava, vennero eliminate o comunque fortemente ridotte.

71 Caratozzolo, La relazione degli amministratori, in Rivista dei Dott. Comm., 1976, p. 661.