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Del primo e unico incontro tra Mussolini e Franco si può parlarne solo come di un fallimento. Mussolini, che ci cre- desse o no, che lo volesse o no, ha l’incarico di convincere Franco ad entrare in guerra e non vi riesce. Avviene il 12

febbraio 1941, fuori tempo massimo per ogni pretesa seria di cambiare il corso degli eventi, che sono maturati in dire- zione di un non intervento spagnolo almeno dall’ottobre precedente. Negli stessi circoli militari spagnoli si conside- rerebbe già l’incontro un modo platonico per aiutare l’Italia, sdebitandosi dell’aiuto nella guerra civile.108Suárez Fernán-

dez109sostiene come tra Hendaye e Bordighera vi sia un

cambiamento fondamentale. Giungono a Franco una serie di rapporti dettagliati, dalla Francia, da Roma, e dai servizi di spionaggio. Contengono le minute delle conversazioni al- l’interno dell’ambasciata britannica a Madrid e rivelano in maniera chiara e definitiva l’inesorabilità della sconfitta ita- liana. Questo dato è interessante, credibile e vi fa cenno già nel 1992 Matthieu Séguéla.110Per Suárez, quindi, il vertice

con Mussolini sarebbe una copertura per l’incontro più im- portante, quello col Maresciallo Pétain. Rafforzare il vec- chio governante di Vichy significherebbe evitare un mag- gior avvicinamento tra Germania e Francia, preconizzato da Laval. È un obiettivo che secondo Suárez è molto più im- portante per Franco rispetto all’incontrare Mussolini.

La posizione dell’agiografo di Franco è tutt’altro che con- vincente.111Se Pétain fosse più importante di Mussolini per

Franco, ciò vorrebbe dire che la tempesta sarebbe già passata per la Spagna e che le pressioni tedesche non farebbero più paura. Ma la questione dell’entrata in guerra continua ad es- sere per la Spagna più impellente della pur complessa situa- zione degli equilibri franco-tedeschi e franco-spagnoli. È po- co credibile, quindi, che l’unico a non saperlo sia proprio Hitler che manda Mussolini a Bordighera e contemporanea- mente mantiene migliaia di uomini in Spagna con lo scopo di controllare il paese. Ammesso, ma per nulla concesso, 93

che Franco non la desiderasse, la tempesta, ovvero un coatto ingresso in guerra, questa non è passata per la Spagna, alme- no al 12 febbraio 1941. Sta passando, ma non è passata. An- zi, forse Franco la teme più che mai. Con le informazioni che ha in mano, sa infatti che un ingresso in guerra, per amo- re o per forza – anche la forza non appare da escludersi – sa- rebbe votarsi a un massacro nello stile che si sta profilando per l’Italia, e non sedersi ad alcun tavolo della pace. Franco in modo strumentale, fin dalla sconfitta della Francia, affer- ma con gli Alleati di temere le divisioni tedesche ai Pirenei. L’allarme appare spinto oltre un’effettiva quantificazione della pericolosità strategica, e oltre ogni corretta analisi sul- lo sviluppo del conflitto mondiale.

La realtà è che l’Asse, ovvero la Germania, prima non vuole e poi non è in grado di contrapporre garanzie, in ter- mini di carburanti e grano alla Spagna. S’è visto nel para- grafo anteriore: la Germania può offrire 100.000 tonnellate di grano e gli Alleati replicano con 500.000. Approvvigio- nare la dittatura spagnola suscita il timore degli Stati Uniti che gli spagnoli rivendano, come in molti casi fanno, carbu- rante alla Germania.112Ma l’evoluzione bellica resta il fatto-

re decisivo insieme con il controllo alleato del Maghreb e dello stretto ed una ben dosata concessione dei navicert per il trasporto di grano e petrolio, soprattutto da Canada e Ar- gentina. Che esista un comune interesse della Francia di Pé- tain e della Spagna di Franco113nel resistere alle pressioni

tedesche è, anche in quella fase, un fatto assodato. Ma sup- porre una priorità del canale francese significherebbe dare ad un Asse Vichy-Madrid una forza contrattuale nei con- fronti tedeschi assolutamente irreale. Esisterebbe un abboz- zo d’intesa tra Francia, Spagna e la stessa Italia, del quale si

sarebbe parlato a Montpellier tra Franco e Pétain per un controbilanciamento a lunga scadenza del potere tedesco. Séguéla, e noi con lui, lo colloca nell’ordine dei fatti molto

improbabili. Oltretutto Franco non terrebbe per ulteriori 19

lunghi mesi un ministro degli Esteri interventista quale Ser- rano Súñer. Il totalitarismo e il pronazismo di questi è giu- stificato, nelle stesse pagine dall’agiografo del franchismo, come un’esuberanza giovanile. A meno di non pensare, ma non vi è nulla di logico in questo, né alcuna fonte o testimo- nianza che possa farci esplorare questa via, che Serrano Súñer sia per Franco solo uno specchietto per l’allodola Hi- tler. Non lo è. Resta dunque il führer la principale contro- parte per Franco. E il tramite verso questi è Mussolini e non certo Pétain. Quello stesso führer dal quale Franco, quando gli farà comodo, continuerà a temere un’invasione fino a 1945 inoltrato. Anche a Pétain Franco risulta indigesto: «Quest’uomo pensa di essere il cugino della Vergine Ma- ria».114E va ricordato, a chi vede già al 12 febbraio 1941 un

Franco proiettato oltre l’Asse, che di fronte all’impeccabile saluto militare del vecchio maresciallo francese, il generale spagnolo risponde con quello romano.115

Bordighera – torniamo a una lettura forse più tradiziona- le degli eventi – è fuori tempo massimo anche rispetto alle attese di Hitler. Questi esigeva l’incontro per l’ultima setti- mana di gennaio e quindi vede i suoi progetti rinviati di ulte- riori due settimane. Ne è conscio prima di tutto Mussolini.116

Questi esprime da tempo a Hitler le sue perplessità sul- l’impossibilità per un paese nelle condizioni della Spagna di entrare in guerra. Paul Preston definisce Bordighera «in-

consequential» (ininfluente)117e ricorda come Mussolini,

tre giorni prima, avesse definito a Vittorio Emanuele III il 95

vertice «inutile». A Pietromarchi, il duce afferma: «Come posso convincere ad entrare in guerra un paese con riserve di pane per un solo giorno?» Alcuni storici, Tusell e García Queipo de Llano118 tra questi, considerano con eccessivo ri-

lievo un timore del duce di una concorrenza da parte della Spagna di Franco nello scacchiere mediterraneo. Secondo questi studiosi tale timore condizionerebbe anche la consi- stenza del tentativo di Bordighera da parte di Mussolini, do- po aver influenzato anche la precedente fase. È possibile – ma improbabile – che ciò abbia consistenza fino agli incon- tri prearmistiziali con la Germania a Monaco e quindi fino al giugno del 1940. In seguito l’elemento che mi sembra de- cisivo è proprio il mite comportamento armistiziale del du- ce verso la Francia. Strategicamente il punto fermo per Mussolini è lo Stretto di Gibilterra per il quale si attende proprio dall’alleato Franco un ruolo di garante. Se questi esige un prezzo troppo alto in termini territoriali e di aiuti, è la Germania e non l’Italia a non volerlo o poterlo elargire. Ma quella per Gibilterra ed il Marocco è una partita a tre, tra Vichy, Madrid e Berlino, nella quale l’Italia ha come unico interesse che si arrivi ad un accordo. A Mussolini, in- fatti, non importa contendere agli Alleati l’Africa nordocci- dentale. L’incontro in riviera si protrae per l’intera giornata. Avviene secondo i canoni dei precedenti contatti; comune cieca fiducia nella vittoria dell’Asse, critiche spagnole per la rigidezza tedesca, certezza italiana della pronta soddisfa- zione delle esigenze spagnole – da parte di Hitler – e quindi intervento iberico.119Ma Franco – è la chiave di tutto – por-

ta con sé un foglietto manoscritto: España no puede entrar

por gusto. Canarias Sahara Guinea aviación gasolina tran- sportes trigo y carbón (La Spagna non può entrare per ca-

priccio. Canarie Sahara Guinea aviazione benzina trasporti grano e carbone).120

Dopo Bordighera, il dittatore spagnolo attende altre due settimane per rispondere ad Hitler. Questi dal 6 febbraio lo invitava all’immediatezza di decisioni irrevocabili. Franco, forse sottile, forse ingenuamente furbo, inizia la risposta di- cendo di rispondere immediatamente data l’importanza. Quindi si preoccupa che la lettera sia materialmente conse- gnata a Hitler solo il giorno 6 di marzo. Questi, già il giorno 22, aveva ordinato a von Stohrer di allentare la pressione. Posposto l’attacco a Malta e Gibilterra a causa del diniego spagnolo, il Terzo Reich si lancia verso l’operazione Barba- rossa e l’Unione Sovietica.

Al di là dello schema ripetitivo dei contatti di quei mesi, favorito dalla grande mobilità dei tre ministri degli Esteri, Ciano, Ribbentrop e Serrano Súñer, e della sostanza del mancato intervento spagnolo, quanto c’interessa è il ruolo svolto dall’Italia nel mancato ingresso in guerra della Spa- gna franchista. Le aspirazioni imperiali dei due paesi medi- terranei appaiono un libro dei sogni, un’illusione o una sorta di partita a Risiko. La concezione soprattutto mediterranea che del conflitto ha il duce del fascismo porta al susseguirsi di una molteplicità di visioni del ruolo della Spagna. Que- sta oscilla tra l’essere considerata supposto satellite, prete- so alleato o vigilato rivale nello stesso scacchiere. Sogno della guerra mussoliniana è sostituirsi all’Inghilterra nel controllo del Mediterraneo, colpendo il cuore del potere britannico, l’Egitto. Arrivare a Suez vuol dire aprirsi una via al petrolio iracheno e forse anche persiano e ricongiun- gersi da padrone all’Africa Orientale Italiana, le sorti della quale si stanno decidendo in quei giorni. Il negus Hailé Se- 97

lassié rientra il 6 aprile ad Addis Abeba, dopo appena cin- que anni d’esilio.

Gibilterra ha un valore strategico decisivo. Ma non vi è nessuna rivalità verso la Spagna. È strategicamente rilevante avere lo Stretto in mani amiche, non nelle proprie. Allo stes- so tempo, al di là degli africanismi di un Franco o di un Beigbeder, queste mani amiche, senza dimenticare la riva- lità ispanotedesca, per essere confortate nella decisione, hanno bisogno di contare su alleati seri. Soprattutto se que- ste mani amiche sono quelle della Spagna stremata da tre anni di guerra civile. L’unica cosa che invece l’Italia fascista sa proporre alla Spagna per suffragare la propria credibilità è l’avventurismo propagandista in Grecia.

Al momento dell’incontro di Bordighera, la raffazzonata offensiva contro la Grecia si è già trasformata in un disastro. Graziani è stato sconfitto a Bengasi. Le truppe inglesi hanno occupato l’intera Cirenaica. Il proposito italiano di giungere al Nilo è ormai irrealizzabile. L’Africa Orientale Italiana sta seguendo la stessa fine. Suárez Fernández,121ventila come da

parte inglese si ritenesse che motivo principale dell’incontro fosse la necessità di Mussolini di mediare tra Franco e Pé- tain, peraltro senza risultati,122per la creazione di una zona

franca controllata da truppe spagnole. Questa doveva esten- dersi da Tangeri a Tunisi e vi si sarebbero rifugiate le truppe italiane in ritirata dalla Libia. Inoltre, i mesi di maggiore euforia bellica a Madrid, il citato periodo giugno-settembre 1940, coincidono con la non sfruttata superiorità di forze ita- liana proprio nello scacchiere nordafricano. Azzardare che un diverso andamento della guerra in quei mesi, che avesse confermato la sensazione di un Asse inarrestabile anche nel Mediterraneo, avrebbe infine convinto gli spagnoli non è

campato in aria. Tutto ciò non avviene, l’Italia fascista, che pure prepara lo sfondamento a est della Cirenaica, non solo non sfonda ma è sfondata. E quando Franco pretende di con- tendere ai tedeschi l’agognato Marocco, il gatto è tutt’altro che nel sacco. Ciò senza contare le paventate perdite degli arcipelaghi delle Canarie e delle Baleari. In quest’ottica il non intervento spagnolo può essere interpretato non solo in termini di politica interna ma anche di geopolitica mediterra- nea soprattutto alla luce delle difficoltà italiane. Dopo Bordi- ghera il capitolo Spagna, al tavolo dell’Asse, perde con rapi- dità d’importanza. Il 22 giugno Hitler aggredisce l’Unione Sovietica che diviene lo scacchiere più importante nel con- flitto. Vi partecipa, con 47.000 uomini comandati da Agustín Muñoz Grandes, anche la División Azul spagnola.123

Considerazioni finali sulla rinuncia