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Benito Mussolini, all’ammainare della bandiera repub- blicana, spera di poter guardare alla Spagna come una sorta di giardino di casa. Sono due le necessità della politica fa- scista1 nell’immediato dopoguerra spagnolo che coinvolgo-

no il governo amico, dato come sicuro alleato nel prossimo conflitto mondiale. Da un lato vi è la comune necessità di guadagnare tempo. La decisione di entrare in ogni caso in guerra è presa, ma il duce sogna che il conflitto possa slitta- re almeno fino al 1942. Franco penserebbe a tempi ancora più lunghi. L’altro punto, perfino più importante, è che Mussolini punta a una politica d’allargamento e riequilibrio dell’Asse. In questo il «satellite» mediterraneo è decisivo. Contemporaneamente, infatti, persegue una politica d’avvi- cinamento a paesi dell’Europa Orientale, che ha come sco- po allentare e riequilibrare l’influenza tedesca. Le posizioni di Giappone e Spagna in primo luogo, unite a quella unghe- rese, e seguite da quella bulgara prima e da quella jugoslava poi, sono al centro dell’interesse del duce. La firma del Pat- to Anti-Comintern dà rassicurazioni sul merito spagnolo. Franco anela all’ammissione al consesso dei tre dittatori che 59

dovrebbero smantellare l’egemonia anglo-francese non solo in Europa. Inoltre ha specifici interessi in termini di modello e organizzazione sociale del regime fascista da traslare nella

Nuova Spagna del dopoguerra. Come conseguenza naturale

della volontà franchista di prendere posto tra le potenze del- l’Asse, a Burgos, il 27 marzo 1939, è ratificata l’adesione al Patto Anti-Comintern. La notizia diviene pubblica il 6 apri- le. A firmarlo sono il ministro degli Esteri, Francisco Jorda- na, l’ambasciatore italiano, Guido Viola, quello del Terzo Reich, Eberhard von Stohrer e il ministro giapponese Mako- to Yano. Se per l’ambasciatore spagnolo a Lisbona, Nicolás Franco2è la rappresentazione di una professione di fede po-

litica e una trasparente dichiarazione di politica futura, in colloqui con esponenti inglesi e portoghesi, già il conte di Jordana, come lo stesso Franco, tendono a sminuire l’im- portanza dell’atto. È l’inizio di una politica dei due forni che prosegue fino alla fine della guerra mondiale, sei anni dopo, e alla sparizione dell’Asse come soggetto politico e militare.

Anche per la Spagna l’Italia è un alleato decisivo. Franco sa già che la sua posizione dipende da quanto saprà restare in equilibrio tra le diverse componenti del regime, tra le quali la Chiesa cattolica è senz’altro fondamentale. Il cau- dillo quindi coltiva entrambe le sponde del Tevere. I buoni rapporti con il PNF guardano al partito, mentre quelli con il Vaticano sono indispensabili verso il clero e l’aristocrazia.

Il 10 febbraio 1939 muore Achille Ratti. Pio XI non è considerato particolarmente amico della Spagna.3Il succes-

sivo conclave porta all’elezione del cardinal Pacelli, in quel momento gradita ai paesi democratici e sgradita alla Spa- gna. Il primate di Spagna, cardinal Isidro Gomá y Tomás,

gli nega il voto4in conclave e Serrano Súñer alla notizia del-

l’elezione pronunzierebbe frasi irripetibili.5 Al contrario

delle attese Pacelli dà alla dittatura spagnola inaspettate soddisfazioni,6e ne diviene presto uno degli amici più fidati.

Già il messaggio dell’appena consacrato Pio XII alla Radio Vaticana del 16 aprile, pone compimento all’identificazione tra la Chiesa e il caudillo, difensore della fede. Non lo ab- bandonerà mai, fino a quando il 20 dicembre 1953,7l’anno

della firma del Concordato,8non gli concederà l’Ordine Su-

premo di Cristo, la massima onorificenza concessa dal Vati- cano.

Dieci giorni dopo la firma spagnola del Patto Anti-Co- mintern, l’Italia invade l’Albania. Il caudillo, nonostante la grave situazione del paese e del suo esercito, appena uscito da tre anni di guerra, sente di dover rincorrere Italia e Ger- mania sul piano dell’escalation militare. L’8 maggio ritira la Spagna dalla Società delle Nazioni. Due settimane dopo, al- la firma del Patto d’Acciaio tra Germania e Italia, ha sussul- ti di bellicosità antibritannica con coreografici spostamenti di truppe verso Gibilterra. Al di sotto di entrambi gli atti, ne è convinto già l’ambasciatore italiano Viola, si combatte un’aspra battaglia tra il partito, facente capo al ministro de- gli Interni Serrano Súñer, fortemente pro-Asse, e quello che preme per un riavvicinamento a Francia e Gran Bretagna.

Questo ha come principale esponente il ministro degli Esteri Jordana, che trova sponda tra l’altro nell’ambasciato- re a Roma Pedro García Conde, e in buona parte del corpo diplomatico. Tra la firma del Patto Anti-Comintern e il ritiro dalla Società delle Nazioni, il 18 aprile Franco vive il suo trionfo madrileno. È una sfilata di 25 chilometri in un Paseo de la Castellana ribattezzato a suo nome, nella quale sfilano 61

tra gli altri la banda dei Carabinieri e un battaglione di cami- cie nere con le daghe levate nel saluto romano. Mussolini intanto ha già detronizzato re Zog e offerto al Savoia la co- rona di re d’Albania dopo quella d’imperatore d’Etiopia. Ma l’esteriorità delle sfilate militari e dei discorsi dei capi sui comuni destini dei due paesi non riescono ad oscurare gli episodi dove immediatamente la Spagna franchista ab- bassa il livello pubblico di riconoscenza verso l’Italia fasci- sta.9Dietro una facciata di fratellanza, anche le polemiche di

natura economica, le piccole frizioni, non tardano a manife- starsi.10Il gioco è scoperto. Una volta «pacificato» il paese e

arrivati al potere, i franchisti vedono, nella riconoscenza verso l’Asse, una forma ingombrante di deminutio dei loro meriti guerreschi.