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Nella storia dello sviluppo economico dei due paesi si trovano varie coincidenze che in parte si possono far risali- re, con una sfasatura temporale di 15-30 anni in favore del- l’Italia, ad un ruolo di modello ideologico di questa. Seppure da non sopravvalutare, dunque, il tema sussiste e sopravvive al fascismo.72Una delle caratteristiche peculiari dei primi

due decenni dell’economia franchista è la sostituzione d’im- portazione.73Ivi l’autarchia spagnola è riconducibile all’a-

nalogo processo mussoliniano. Impostando genealogica- mente il ragionamento, va inoltre notato che, se il fascismo italiano giunge all’autarchia per gradi, il franchismo vi im- posta quasi d’immediato il proprio modello economico. La Spagna, non appena «pacificata», crea l’Istituto Nacional de Industria (INI), che è alla base della gestione autarchica del- l’economia. Ci ricorda molto da vicino la risposta fascista alla crisi del 1929, con la creazione dell’IMI (Istituto Mobi- liare Italiano) prima e dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) poi.74

zialmente negativa del binomio autarchia-dittatura non può nascondere lo sviluppo di alcune capacità produttive nei set- tori metalmeccanico e chimico. Queste si riveleranno strate- giche nel sostenere l’impatto con l’apertura postbellica. L’I- talia, nel trentennio 1930-1960, passa inizialmente da un’e- conomia che si autodefinisce «corporativa», nella quale la spinta all’autosufficienza economica si mescola ad altri ele- menti quali il nazionalismo e la repressione sindacale, al caos e alla distruzione bellica. Questa non la priva totalmente del- l’apparato industriale, ma ne mette a lungo in ginocchio il si- stema dei trasporti. Nel dopoguerra, si ritrova nelle mani li- beriste di Epicarmo Corbino e Luigi Einaudi. Questi per una breve stagione deviano l’economia italiana dallo stampo key- nesiano con il quale viene ricostruita l’intera Europa al di qua della cortina. Infine, sotto lo stimolo di personalità quali Enrico Mattei, dirige dallo Stato le necessità cangianti e la modernizzazione del paese. Come nel caso italiano, la spa- gnola INI interviene direttamente con partecipazioni nelle imprese, quando non ne assume il diretto controllo. Il caso FIAT-SEAT ne è, almeno ai nostri fini, esempio calzante di funzionamento. Soprattutto, va posto l’accento sul fatto che la presenza dell’economia italiana in Spagna, anche nel do- poguerra, non si limiterà né alla FIAT né a partecipazioni mi- nori. Al contrario: alcune tra le maggiori imprese italiane, proprio nel dopoguerra civile, troveranno facilitazioni per ra- dicare le loro posizioni. L’Hispano-Olivetti raggiunge una posizione dominante nel mercato delle macchine da ufficio e può contare su un regime che fa pensare a forme di monopo- lio per quanto concerne le commesse pubbliche. L’azienda iberica è pienamente nelle mani dell’industria di Ivrea.75

La Pirelli, anche in Spagna a capitale interamente italia- 49

no, tallona la Firestone nell’industria della gomma. L’im- portante industria metallurgica a maggioranza di capitale italiano, la Marconi, vede invece l’INI partecipare con una quota del 10%. Si riprodurrà anche in Spagna la concorren- za Vespa-Lambretta, sia pure in competizione con la Peu- geot francese e la NSU tedesca. Una delle presenze di lungo corso dell’industria italiana in Spagna, la SNIA Viscosa, che con il nome SNIACE ha i propri stabilimenti in Canta- bria, produce anche in Spagna quelle fibre artificiali che parte importante hanno nelle esportazioni italiane verso il paese.

Un discorso a sé va dedicato al settore assicurativo. Da inizio secolo traina gli interessi del capitale italiano in Spa- gna. Restano, con quote importanti di mercato, anche alme- no due delle varie assicurazioni di proprietà italiana, attive nel periodo prebellico: Generali e RAS.76L’INA (Istituto

Nazionale delle Assicurazioni) viene ammesso a operare in Spagna in condizioni del tutto eccezionali. Su disposizione di legge del febbraio 1941, emanata dal Consiglio dei Mini- stri iberico, in deroga alla legislazione spagnola del dopo- guerra, che stabiliva che nessuna nuova compagnia straniera di assicurazione sarebbe stata più autorizzata a operare in Spagna. Con l’INA vengono autorizzate le Assicurazioni d’Italia. Entrambe le compagnie entrano capillarmente nel sistema assicurativo spagnolo. Si capitalizzano così le stret- te relazioni esistenti all’epoca tra le due dittature.

Nel 1944 l’INA77ha già 25 agenzie e un fatturato che pas-

sa da 11.875.000 pesetas del 1942 a 26.463.000 nel periodo 1° gennaio-10 dicembre 1943. Ben oltre va l’ASSITALIA. La compagnia fattura 154 milioni di pesetas nel 1942 e rad- doppia con oltre 330 milioni nello stesso periodo 1° gennaio-

10 dicembre 1943. Si aggiungono ad altre quattro compa- gnie: le citate Assicurazioni Generali di Trieste e Venezia e Riunione Adriatica di Sicurtà oltre all’Anonima Infortuni, e l’Assicuratrice Italiana.78

Sono importanti le assicurazioni italiane in Spagna, pur se in un mercato particolarmente aperto e competitivo, ri- spetto ad altri settori economici dove il monopolismo impe- ra. La Compañia Adriatica de Seguros (Riunione Adriatica di Sicurtà) fondata nel 1838, autorizzata a lavorare in Spa- gna nel 1910, ha agenzie in tutti i capoluoghi e nel settore trasporti detiene il 13% del mercato. Le Generali, fondate nel 1831, lavorano in Spagna dal 1903, e controllando il Banco Vitalicio de España sono leader del settore vita dove detengono un quarto dell’intero mercato nazionale. Anche l’Anonima de Accidentes (Anonima Infortuni di Milano) fondata nel 1896, in Spagna dal 1903, va citata visto che de- tiene oltre il 10% del mercato nel ramo infortuni individuali.