• Non ci sono risultati.

giorni: l’inizio della fine del franchismo?

I giorni del Gran Consiglio

I 45 giorni: l’inizio della fine del franchismo?

Il console britannico a Siviglia Lee57scrive che la caduta

di Mussolini porta con sé il terrore, o la speranza, dell’inizio della fine della dittatura. Sarebbe il preludio all’avvento del comunismo. Il riflesso condizionato legato a tale prospettiva è l’iniziare immediato di forme di negazionismo di una filia- zione, quella nazifascista del regime franchista, fino al gior- no prima rivendicata. La stampa, in prima linea quella falan- gista, si distingue per l’elaborazione di linee difensive. Un fondo importante, alla vigilia dell’armistizio, lo scrive sul- l’Arriba58Eugenio Montes. Questi si prodiga nel calcolare

le distanze tra il fascismo italiano e i modelli a questo ispi- rato. Montes parla alla nuora portoghese perché la suocera franchista s’intenda ma resti sottintesa. Infine, puntualizza che il fascismo non è stato superato o confutato o rielabora- to, ma è stato solo vittima della sconfitta militare. Quello dell’incomparabilità tra franchismo e fascismo diverrà il leit- motiv politologico per gli anni a venire. La tensione è evi- dente. Franco si preoccupa in ogni occasione di precisare la diversità e l’incompatibilità delle due situazioni. Rispetto agli accadimenti italiani, l’atteggiamento della stampa, so- prattutto quella falangista, è d’incertezza per tutto il corso dei 45 giorni. Solo dopo il Gran Sasso l’astro di Mussolini torna a orientarne le simpatie in maniera sicura. Alle inquie- tudini della Falange si aggiunge, fin da primavera, l’attivi- smo del pretendente al trono, Don Juan, e dei circoli monar- chici: solo una restaurazione immediata può evitare il ritorno di Negrín, ovvero dei rossi.

Fino all’8 settembre, vigono però anche problemi d’altra natura. Non è univoco stabilire che atteggiamento tenere

verso l’Italia badogliana che continua il conflitto a fianco della Germania nazista. Della preparazione di quella che poi diviene Salò, l’ambasciata spagnola a Berlino sarebbe infor- mata fin dalla fine di luglio. Usiamo il condizionale perché l’unica fonte che attesti ciò è un memoriale di un membro del corpo diplomatico italiano a Berlino.59Secondo tale fon-

te, il 31 luglio sarebbe la rappresentanza spagnola nella ca- pitale del Terzo Reich a comunicare a quella italiana l’esi- stenza di piani antibadogliani. Questi presuppongono, per la radio tedesca, la necessità di due commentatori italiani in- condizionatamente fedeli a Mussolini. Il citato console Lee valuta in quei giorni che addirittura tra il 70 e il 90% della popolazione spagnola sia pronto a schierarsi contro la ditta- tura franchista e segnala un’ondata d’arresti preventivi in tutta la Spagna. L’anno dopo, con una corrispondenza da Barcellona, l’Avanti! sosterrà si fossero tenuti scioperi60

operai connessi con la caduta di Mussolini e manifestazioni di giubilo nelle galere franchiste. Entrambe le fonti ci offro- no delle stime esagerate. Stime che però ci testimoniano dell’incertezza che si vive in Spagna nell’estate del 1943, so- prattutto in riferimento ai fatti italiani.

Si è già fatto cenno agli auspici di Franco per una pace negoziata. La situazione d’euforia economica derivata dalla neutralità, e della quale beneficiano in Spagna le classi pri- vilegiate, se pure rappresenta un’occasione del tutto perduta dal franchismo per fomentare una crescita economica strut- turale,61 fa sì che una soluzione di compromesso sia quella

auspicata dalle élite iberiche. Questa, infatti, imporrebbe a tempo indeterminato la centralità dei paesi neutrali e della Spagna in particolare. Queste calcolano di poter così accre- scere gli spazi commerciali spagnoli e succedere all’Italia in 139

campo marittimo, ereditando una parte cospicua del traffico mercantile e sostituendola nelle sue posizioni politiche e militari nel Mediterraneo. Sono due condizioni che fino ad un certo punto appaiono compatibili: una pace negoziata combinata ad un’Italia dalle ossa rotte. Il primo punto, dopo Casablanca, si rivela improponibile.

In una nota manoscritta di Jordana per Franco, il mini- stro si domanda se anche l’uscita dell’Italia dal conflitto non sia pregiudizievole degli interessi spagnoli creando i pre- supposti per una vittoria troppo netta degli Alleati.62

Dalle fonti, tanto in Italia quanto in Spagna e in Gran Bretagna, è difficile ricomporre la materia inerente ai visti e all’ingresso di fascisti italiani verso la Spagna franchista. Con sicurezza, anche se con insoddisfazione storiografica, si può affermare che molta documentazione in merito, come per tutte le ratlines (vie di fuga) nazifasciste, sia stata occul- tata o distrutta. Prova ne è che la permanenza da rifugiato, per nove lunghi mesi, del ministro degli Esteri italiano Gua- riglia, all’entrata ancora in carica, presso la sede di Piazza di Spagna, non ha riscontri documentali e può essere ricostrui- ta solo attraverso le memorie di questo. Già il 30 di luglio Fernández Cuesta chiede al Ministero63quale atteggiamento

tenere riguardo a richieste di visti d’ingresso, ospitalità presso i locali dell’ambasciata, concessione di passaporti falsi. Su quest’ultimo fronte, anche per le pressioni inglesi, gli spagnoli restano freddi. Si lascia uno spiraglio solo ai ca- si d’imminente pericolo per l’incolumità personale. Proprio in quelle ore giungono le prime richieste, senza infine con- cretizzarsi, per la famiglia Ciano. Pochi giorni dopo Guari- glia chiede con insistenza un visto per Grandi. Le relazioni tra questi e l’ambasciatore inglese Hoare sono considerate

fondamentali per le illusorie speranze badogliane di pace negoziata. Paulucci a Madrid è fuori gioco. Ignora della ri- chiesta di visto per Grandi e non sembra avere alcun ruolo politico. Per denunciare i bombardamenti su Roma,64 l’am-

basciata fa stampare, con una spesa approvata per via telefo- nica dal Ministero di 3.160 pesetas, 20.000 volantini anoni-

mi. Scrive l’ambasciatore:

[…] durante il periodo intercorso fra il 25 luglio e l’8 set- tembre intensificai la mia azione per risolvere le questio- ni economico-commerciali pendenti, mentre mi sforzavo di dissipare in questi ambienti responsabili il senso di diffidenza che andava formandosi nei riguardi del nostro Paese. Nel contempo impartivo le opportune istruzioni ai Regi Consolati dipendenti per lo scioglimento dei fasci, il ritiro dei relativi archivi, l’intensificazione dell’attività delle Case d’Italia e dei contatti con le collettività italia- ne al fine di eliminare nell’animo di tanti connazionali il turbamento creato degli avvenimenti e alimentato dalla propaganda falangista.65

Sono segnali sia della prevista uscita dell’Italia dalla guerra, sia della contrarietà falangista e della propaganda af- ferente verso quella che subito si interpreta come una defe- zione e un tradimento. In tali condizioni d’attesa, è presso- ché impossibile delineare linee di propaganda credibile. Paulucci sceglie di seguire una linea il più appartata possibi- le già che in Spagna gli avvenimenti dell’ultima domenica di luglio in Italia hanno strascichi cruenti.

Nei giorni di quello che, più avanti, Ángel Pascual Canut chiama il colpo di Stato Badoglio,66vi sono pochi punti fer-

mi, sia interpretativi all’oggi, sia d’analisi politica per i pro- tagonisti dell’epoca. Uno di questi, per Jordana in particola- re, è il diplomatico di stanza a Roma, ben introdotto negli ambienti fascisti, Fernández Cuesta. Il 25 luglio, alle 23, il ministro è informato di tutto l’accaduto. A Roma, Fernán- dez Cuesta, già dalla mattina viene aggiornato da Gastone Gambara sul voto del Gran Consiglio prima ancora che Mus- solini fosse ricevuto dal re, congedato e poi arrestato. La percezione dell’ex ministro falangista è in primo luogo d’in- certezza. Ma a questa si affianca la coscienza dell’importan- za che riveste, per il franchismo, l’evoluzione tutta della cri- si italiana e il destino del regime fascista. Il giorno dopo Fernández Cuesta incontra l’uomo che considera centrale sia nella crisi, sia nell’immediato futuro italiano: Dino Grandi. Questi gli espone visioni di ritorno a un fascismo ri- voluzionario, «di rivoluzione senza dittatura» con la perma- nenza delle corporazioni ma con la possibilità di confronto con un altro partito che pensa cattolico. Anche sul fronte in- ternazionale Grandi disegna a Fernández Cuesta scenari im- probabili di continuità e di ripresa dell’Asse. Intanto, nei due campi si tende l’orecchio a quanto succede in territorio spagnolo a proposito dell’Italia. Il New York Times ne scrive ai primi d’agosto. L’ambasciatore spagnolo a Washington, Juan Francisco Cárdenas, è costretto a smentire il contenuto di un durissimo incontro tra Franco e Hoare. L’ex titolare del Foreign Office avrebbe minacciato il caudillo perfino con la possibilità di un riconoscimento del governo repub- blicano in esilio pur di ottenere un serio rispetto della neu- tralità67 da parte di un Franco che continua a giocare su più

tavoli.

nibile a partire per Madrid. Lì conterebbe di entrare in con- tatto con il suo amico personale Hoare e favorire i contatti per preparare l’armistizio. Dal punto di vista spagnolo, tali viaggi non sono visti di buon occhio. Lo stesso Jordana dà istruzione di non agevolarli. Grandi pretende a lungo una delega ufficiale a trattare o, in alternativa, essere nominato ambasciatore, magari a Buenos Aires. Ma Guariglia, che prende il portafogli agli Esteri nel nuovo governo Badoglio, pur convinto della possibile utilità di una missione, non cre- de che un personaggio così in vista come Grandi possa far parte di qualsiasi delegazione ufficiale. Veti incrociati bloc- cano a lungo l’ex ministro degli Esteri. Il governo spagnolo non è disposto a concedergli più di un visto di transito e so- lo in seguito, tramite Fernández Cuesta, con estremo ritardo, il visto è concesso. Intanto, il generale Castellano68– che ac-

cusa tanto Guariglia quanto Badoglio – è riuscito a partire con un treno diplomatico diretto a Lisbona via Madrid, ren- dendo inutile o meno stringente la necessità di una missione Grandi. Il capo di Stato Maggiore Ambrosio ordina a Ca- stellano di consigliare uno sbarco a nord di Roma e un altro a nord di Rimini per costringere i tedeschi a ripiegare a dife- sa dei passi alpini abbandonando l’Italia fino al Po.69 Sono

suggerimenti ottimisti ma che vogliono dimostrare la più ampia disponibilità italiana verso gli Alleati. A Madrid, di sua iniziativa, Castellano riesce ad avere un incontro con Hoare. La presenza di questi70e dello statunitense Carlton

Hayes, successore di Weddell a partire dal giugno 1942 e più utile del predecessore al supporto all’azione britannica,71

possono tessere la loro tela e favorire intendimenti tra Italia e Alleati. Se è noto che gli Stati Uniti siano più benevoli verso l’Italia durante il conflitto, all’interno del governo bri- 143

tannico perdono quota le posizioni di appeasement nei ri- guardi dell’Italia, sostenute da Churchill e da Hoare. Prevale la linea dura del titolare del Foreign Office, Antony Eden.

Quest’ultimo, considerato generalmente italofobico, nel 1938 si era dimesso per protesta proprio a causa della politi- ca morbida di Chamberlain nei confronti dell’Italia fascista. Chi però è il referente dell’ambasciatore italiano nei giorni dell’armistizio, è l’incaricato d’Affari statunitense Arthur Yencken. Paulucci è sempre fuori dei giochi di quei giorni. Il viaggio di Castellano dura un’enormità ed è di ritorno a Roma solo il 27 agosto. Tutti i tempi si allungano a manife- stare in che misura gli spagnoli – per quanto in loro potere – remino contro un armistizio. Hoare chiede di vedere Franco

con urgenza il 30 luglio. Il caudillo lo riceve solo dopo 20

giorni.72Solo da allora i tempi verso Cassibile si accelerano.

All’incontro di Madrid con Hoare, visto come frutto di un’i- niziativa personale di Castellano, lo stesso generale attribui- sce la decisione degli Alleati di accettare la cobelligeranza e non il disarmo dell’esercito regio come in un primo momen- to stabilito.73Non è dello stesso avviso Guariglia e la pensa

come lui il segretario di Stato nordamericano Cordell Hull: definisce poco importanti i colloqui iberici.74Il ministro de-

gli Esteri sottrae valore all’incontro di Madrid e a quelli di Lisbona. Considera persi i 15 giorni d’attesa. È d’accordo il generale Carboni. Questi ritiene Castellano «leggero e infi- do e che è partito per mettere la pelle al sicuro e cercare di arricchirsi».75

Dalle memorie di Castellano, Guariglia, Grandi, Carbo- ni, emerge un corto circuito di rivalità personali che dà colpi esiziali alla credibilità dei vari punti di vista.76 I fattori che

no e Hoare sono due. Vi è la posizione morbida dell’amba- sciatore inglese. Ma vi è anche l’andare oltre le consegne da parte di Castellano. Questi mette sul piatto non solo la vo- lontà italiana di firmare la resa e la richiesta di uno sbarco il più a nord possibile ma anche il fatto nuovo della volontà italiana a collaborare con gli Alleati. È una versione che sposa anche Elena Aga Rossi.77Dino Grandi è nel frattempo

partito il giorno 18. In ottobre lo stesso Grandi, scrivendo a Churchill, attribuisce proprio alla mancata concessione del visto la perdita di giorni preziosi per la firma dell’armisti- zio. Vola su Siviglia dove, come segnala il consolato britan- nico in Andalusia,78è accolto a Jerez dall’infante Alfonso

d’Orléans. Gli stessi diplomatici inglesi si domandano sen- za risposta a che titolo avviene l’incontro. In ritardo su Ca- stellano, con Hoare che ha già lasciato la Spagna, Grandi raggiunge il 26 agosto Lisbona da dove è però già ripartito il generale che firmerà a Cassibile. Da quel momento Grandi si attribuisce – ma ne parla solo lui79– il ruolo concordato di

specchietto per le allodole tedesche in terra iberica onde far proseguire ad Algeri delle trattative armistiziali. Grandi è segnalato in Andalusia l’8 settembre. Sarebbe in partenza per gli Stati Uniti. A quanto afferma nelle sue memorie, per quattro anni non si muoverebbe da Monte Estoril in Porto- gallo. Resta misterioso il perché, il 7 di febbraio 1944, Jor- dana disponga che: «Non si deve autorizzare l’ingresso in Spagna dell’ex ministro italiano Dino Grandi che vive a Monte Estoril facendosi chiamare Domenico Galli e che sembra tenti di venire».80

Nel frattempo Fernández Cuesta lascia Roma per Ma- drid il giorno 25 agosto. Non vi ritornerà. Jordana conside- rerà l’assenza dell’ambasciatore addirittura provvidenziale. 145

L’assenza di un ambasciatore al momento dell’Armistizio rende più facile il non compromettersi al riconoscimento pieno in nessuna delle due direzioni. Anche a lui il freneti- co Guariglia, che non smette di inviare emissari agli Allea- ti, continuando a tenere i migliori contatti possibili con i tedeschi, chiede di trovare intermediari presso gli angloa- mericani.

La direttiva del ministro degli Esteri spagnolo alla noti- zia dell’8 settembre, all’incaricato d’Affari García Comín, è di trasferire immediatamente tutti i dipendenti all’ambascia- ta presso la Santa Sede in Piazza di Spagna. Solo un funzio- nario viene lasciato in quella presso il governo italiano.81

L’incaricato d’Affari riceverebbe il compito di preoccuparsi della sorte dei documenti sulle relazioni ispano-italiane tra il 1936 e il 1943, temendo che potessero finire in mani tede- sche.82

Secondo Tusell,83l’attitudine attendista del governo spa-

gnolo porta a tal punto il livello di precauzioni che Franco giunge a rifiutare di ricevere il suo ambasciatore di ritorno dall’Italia. A Roma intanto, datisi alla fuga il re e Badoglio, resta, per motivi da lui stesso non compresi, Raffaele Guari- glia. Badoglio non riuscirebbe ad avvertire il suo ministro degli Esteri, a causa di un non spiegato disguido, pur avendo questi passato la notte al Ministero. Il terzo principale accu- sato di tradimento dai nazisti rischia così l’arresto e la vita. È, infatti, l’uomo che più d’ogni altro è costretto a mentire a von Ribbentrop nell’incontro di Tarvisio84 del 4 agosto. Lì,

per ore, aveva sostenuto il continuismo italiano nel conflit- to. Dollmann parla di caccia a Guariglia.

Questi, dopo una serie d’avventurose riunioni del Consi- glio dei Ministri, che si protraggono fino al giorno 12 set-

tembre, trova rifugio con la moglie presso l’ambasciata spa- gnola alla Santa Sede.85Lo accoglie Domingo de las Bárce-

nas nel Palazzo di Spagna. Jordana non può non autorizzare. Vi resta nove mesi, ospite dell’alloggio del ministro Teixi- dor. La radio annuncia la sua cattura e fucilazione sottraen- do pressione alla caccia. In ottobre, rammenta Guariglia, trovano rifugio a Palazzo di Spagna anche la principessa Isabella Colonna e un illustre ortopedico, il dottor Zuco. Se- condo Suárez Fernández,86 durante tutto il periodo dell’oc-

cupazione, Bárcenas si adopera per salvare persone nei loca- li dell’ambasciata. Si tratta per lo più di aristocratici ricercati dai nazifascisti. Anche Gambara, che a Salò resta fedele, chiederebbe a Bárcenas il rifugio per alcuni cittadini di reli- gione ebraica. L’ambasciatore è costantemente in contatto con il segretario di Stato vaticano Maglione e con i suoi più stretti collaboratori, Tardini e in particolare Montini. Un pri- mo treno di profughi spagnoli con 150 persone a bordo par- te dalla stazione Termini il giorno 28 settembre. Un secon- do, con circa 200 persone, riesce a lasciare Roma, tra enormi difficoltà il 23 ottobre. Più avanti, alla Liberazione, altri cittadini spagnoli – i collaborazionisti – dovranno eva- cuare con un treno organizzato dal nuovo ambasciatore presso il Quirinale, José Antonio de Sangróniz. Tra questi vi sono 12 combattenti del Bunker di Berlino fatti passare co- me sfuggiti ai campi di concentramento. Solo molti mesi dopo si dispone87che al Brennero e a San Candido vengano

interrogati tutti i cittadini spagnoli in entrata. Qualora ne sia accertata l’appartenenza a SS o altri corpi collegati con la Germania, questi devono essere messi a disposizione del co- mando alleato. Tornando al 1943, Bárcenas e Maglione, ri- ferisce sempre Suárez Fernández, presentano più volte pro- 147

teste congiunte all’ambasciata tedesca per detenzioni, fuci- lazioni e deportazioni. Di lì a poco l’ambasciatore tedesco si nega perfino ad accettare le proteste. Almeno in un caso, in dicembre, la polizia fascista non rispetta il diritto d’asilo nella sede diplomatica detenendo una sessantina di persone. Anche a Madrid la situazione è caotica. A lungo Pauluc- ci attende comunicazioni da Badoglio nel mare di voci in- controllate. Si danno per morti, a turno o tutti insieme, il re, Umberto e Badoglio. Quindi si alimenta la notizia dell’ine- sistenza di un governo nelle zone liberate. Il ritardo infor- mativo accresce il pericolo della formazione di autorità riva- li. Ognuno, a partire dal regio ambasciatore deve decidere da che parte stare.

Note

1. AGA, Presidenza, SGM Servicio Exteriores, Caja 186, da Agustín de Foxá, Jefatura Provincial a Roma a Delegado Nacional del Servicio Exte- rior de FET y de la JONS, Roma, 8 aprile 1940. Foxá, appena giunto a Ro- ma si dedica ad un compito pietoso, la compilazione di un elenco di circa 3.300 caduti del CTV italiano le sepolture dei quali sono state censite fino a quel momento. Fornisce grado, nome, unità di appartenenza, data di morte e cimitero di sepoltura. Cfr. AGA, Presidenza, SGM Servicio Exteriores, Caja 168, A. de Foxá, Jefe de la Falange en Italia, Cementerios y tumbas de

los legionarios caidos en tierra de España - Tumbas controladas hasta el mes de abril de 1940 - Lista preparada por la Jefatura de Falange españo- la tradicionalista y de la J.O.N.S. en Italia, Roma 1940.

2. AGA, Presidenza, SGM Servicio Exteriores, Caja 49, 1939-42, dal Segretario Provinciale della Falange a Roma, Pascual al Delegado Nacional a Madrid, Roma, 21 aprile 1941; ASMAE, AP, Spagna, 1942, busta 60; AGA, Presidenza, SGM Servicio Exteriores, Caja 49, 1939-42, da Ramon Serrano Súñer, ministro degli Esteri e Presidente della Junta Politica ad Agustín de Foxá, Madrid, 24 aprile 1941.

3. R. García Pérez, op. cit., p. 315.

4. PRO FO- 371-31284, C6477, da Samuel Hoare, ambasciatore a Ma- drid a Foreign Office, San Sebastián, 16 giugno 1942; ASMAE, AP, Spa- gna, 1942, busta 60, n. 5481/1863, da Fracassi, Ambasciata a Madrid al mi- nistro degli Esteri Ciano, Madrid, 30 giugno 1942.

6. ASMAE, AP, Spagna, 1942, busta 60, n. 7793/2485, da Pedrazzi a ministro degli Esteri Ciano, Madrid, 16 settembre 1942.

7. G. Ciano, op. cit., p. 648.

8. ASMAE, AP, Spagna, 1942, busta 60, n. 8716/2816, da Pedrazzi a ministro degli Esteri Ciano, Madrid, 15 ottobre 1942.

9. G. Ciano, op. cit., p. 648.

10. X. Tusell, G. García Queipo de Llano, Franco y Mussolini..., cit., p. 172.

11. M. Ros Agudo, op. cit., pp. 239-248.