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Ultime pressioni su Franco

Il 25 luglio visto dalla Spagna

Quando Paulucci arriva a Madrid, alla metà dell’aprile 1943, trova un’ambasciata nel caos e con bilanci faraonici in cronico e grave rosso economico. A libro paga della pletori- ca sede diplomatica figurano ben 483 persone che prendono stipendi per un totale mensile a bilancio pari a 2.230.000 pe- setas. È un confronto che non sfigura con i tedeschi38che ten-

gono a Madrid oltre 500 persone e hanno 38 consolati in Spagna e 4 in Marocco. Un anno e mezzo dopo, nell’ottobre del 1944, il bilancio è ridotto ad un terzo, 750.000 pesetas. Nel campo dell’istruzione e cultura, al luglio del 1943,3939

tra maestri e professori italiani prestano servizio presso l’I- 129

stituto Italiano di Cultura o l’Università. 10 professori e 16 maestri sono distribuiti tra scuole medie ed elementari di Madrid e Barcellona. L’Istituto Italiano di Cultura ha ben 7 sedi e 13 delegazioni. Dopo la ristrutturazione, sopravvivono la sola sede di Madrid, le sezioni staccate a Barcellona e Sa- lamanca e la delegazione di Oviedo.

I racconti che giungono al pubblico filogovernativo spa- gnolo su Roma e sul duce, pur filtrati, sono desolanti. Quel- lo che più colpisce, lo annota lo stesso Jordana, è la prostra- zione dei vertici fascisti di fronte all’inevitabilità della sconfitta. Non è però un effetto di 25 luglio e 8 settembre il deteriorarsi dell’immagine italiana tra le classi dominanti iberiche. È un crescere d’inimicizia in qualche maniera reci- proco dovuto in parte ai rovesci bellici italiani e in parte al- l’attenuarsi dell’immagine italiana dopo l’apporto dato alla causa franchista. Già in maggio il console generale a Bar- cellona, Silvio Camerani,40pone l’accento, con toni ironici e

sprezzanti, sulla disistima verso la borghesia catalana in re- lazione alla guerra. Camerani descrive l’arrochirsi delle pa- role prima cortesi, il raggelarsi dei gesti fino allora cordiali. Serve ad attestare il logorarsi di un rapporto, quello italo- spagnolo, visto dal prezioso punto d’osservazione di Barcel- lona. La città vanta anche nella Spagna dei primi anni di dit- tatura alcune peculiarità non trascurabili soprattutto dal punto di vista della composizione socio-economica. Pochi mesi dopo – ma di mezzo ci sono il 25 luglio, l’8 settembre e la divisione dell’Italia – Camerani ritorna sulle sue analisi.41

La capitale della Catalogna vanta una classe di commercian- ti, industriali, professionisti, intellettuali, borghesi, che si di- stacca per vari tratti dal resto della Spagna e viene conside- rata più spregiudicata in fatto di religione rispetto al resto

del paese. Basta questo ad allentare un filo verso l’Italia, in- tesa come luogo del Vaticano, che resta invece decisivo per l’aristocrazia. Si rivolge dunque alla Francia soprattutto, co- sì poco amata in altre componenti della società spagnola, e resta, in buona parte, sempre secondo le informative che ispirano Prunas, antifalangista e monarchica.

Tutti i partiti – afferma un non benevolo Camerani – pur conservando le antiche divisioni e sovrapponendovi le nuove, in una confusione di privilegi di casta, di pre- potenza capitalistica e di intrigo politico e che non riu- scivano ad amalgamarsi nel nuovo partito unitario per incertezza di dottrina e di fede, avevano trovato provvi- soriamente un accordo nel desiderio unanime di sottrar- re il paese al Conflitto Mondiale e nella smania di con- servare la neutralità al prezzo di ogni rinuncia ideale. La nota furberia gallega del caudillo era tutta intesa a man- tenere questa unanimità e a convincere che egli solo fosse in grado [di applicare un] programma di contenuto esclusivamente negativo: non disgustare l’Asse e non di- sgustare gli Alleati.

Per il console a Barcellona, il gioco riesce alla «furbizia gallega» di Franco, fintanto che il vantaggio è dalla parte dell’Asse. Con il ribaltarsi delle sorti della guerra, gli appa- re difficile l’equilibrismo franchista. Tanto più, con la pa- ventata prospettiva di un’occupazione militare delle colonie africane, o addirittura di parte della penisola. Ciò è in qual- che maniera funzionale a provocare uno stato di continua tensione tra le classi dirigenti, nell’indifferenza del popolo «assopito nella nostalgia dell’Epoca Rossa», che non ha 131

avuto quel miglioramento di condizioni promesso dalla Fa- lange al momento della «Vittoria Nazionale». «Falange, esercito, clero, aristocrazia, borghesia della Catalogna e del- le Regioni del Nord hanno però tutti, in Spagna, un punto di contatto e di solidarietà: il timore del comunismo. Si tratta proprio di timore, di paura; paura, si potrebbe dire quasi, fi- sica. Paura di chi? Paura del popolo», sono significative, e quasi politicamente sospette, le espressioni del console, «di quel popolo spagnolo di pastori, contadini e operai, di mina- tori, pescatori e marinai che ancora oggi continua a vivere nelle condizioni più misere e più arretrate e che nella guerra civile è esploso con tutta la violenza e l’odio accumulatosi per secoli di infinite ingiustizie e sofferenze.»

Sono le più disparate le voci che nella Spagna alla metà del 1943 – che vive le avanzate bolsceviche a est con malce- lato terrore – circolano, con alterne fortune di diffusione, e che la censura blocca per quanto può. A tutti sembrano in ogni caso imminenti sviluppi in relazione a uno sbarco statu- nitense. Per Camerani vi è il paradosso che la paura di un eventuale ingresso in guerra, che farebbe cessare immediata- mente i privilegi materiali – ritenuti a torto eccezionali – go- duti dall’aristocrazia e dalla borghesia catalana, dovuti dalla rendita di posizione della neutralità, possa essere più forte di quanto non fosse stata la paura della Rivoluzione. In realtà, studi recenti sull’economia spagnola durante il conflitto cir- coscrivono di molto i vantaggi della non belligeranza, a lun- go esaltati oltre il dovuto. In particolare, la crescita industria- le nel periodo 1940-45 si attesta su di un modesto 0,7% annuo, a fronte di un 3,7% in Portogallo e un 4,1% in Svezia, per citare due paesi rimasti, come la Spagna, neutrali.42