• Non ci sono risultati.

Il 28 settembre Jordana legge in privato a Franco il rap- porto dell’Asesoría Juridica, del quale abbiamo riferito nel paragrafo precedente. Franco risponde – e non a torto – che se fosse stato lui a chiedere un parere contrario a quello stesso organismo, avrebbe ottenuto il parere contrario volu- to.34 Una volta di più Jordana mette sul piatto le proprie di-

missioni. Il giorno dopo, in Consiglio dei ministri, Franco tiene una posizione neutrale. Secondo Javier Tusell, l’episo- dio mostra molto dello stile di Franco. Questi riesce a farsi passare come arbitro anche quando in realtà è costretto a su- bire decisioni indesiderate. Non per questo Franco è convin- to. Sul riconoscimento di Salò continuerà a fare pressioni e altrettante volte Jordana dovrà minacciare dimissioni.

Pochi giorni dopo l’armistizio, Paulucci incontra Jordana a San Sebastián, dove il governo si trasferisce tradizional- mente in estate. Il Ministero degli Esteri spagnolo rassicura sempre l’ambasciatore italiano sull’immutato riconosci- mento del suo governo dei rappresentanti di Sua Maestà il re d’Italia a Madrid. Anche Paulucci rileva che, se il rappor- to con Jordana è buono, è costante l’ostilità del caudillo. Il governo spagnolo, allo stesso titolo, risponde ad analoghe richieste degli ambasciatori degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. In realtà, anche se il merito giuridico risulta chia-

ro, sulla questione riconoscimenti è combattuta soprattutto nelle prime settimane, ma senza mai esaurirsi nel corso dei mesi, una guerra sotterranea. Le pressioni tedesche per il ri- conoscimento della Repubblica fantoccio retta da Mussolini sono fortissime. Anche l’ambasciata britannica non può non rilevare le diverse posizioni tra Franco e Jordana.35Secondo

Suárez Fernández,36lo stallo è rotto solo dalla decisione va-

ticana di non riconoscimento della RSI.

Montini ne fa comunicazione a Bárcenas il giorno 18. A richiesta precisa dell’ambasciatore tedesco, Jordana rifiuta di pronunciarsi. Franco, ad analogo sollecito, vincola in quella fase il riconoscimento del governo repubblichino a un suo consolidamento territoriale e militare. Quella tra Jor- dana e Franco è una soluzione di compromesso. Il ministro degli Esteri mette sul tavolo, come altre volte in quei mesi, le proprie dimissioni. Dalle carte britanniche a quelle italia- ne fino ai documenti dell’AFF citati da Suárez Fernández, tutte le fonti primarie sono quindi concordi nell’individuare divergenze pesanti tra Jordana e Franco anche in merito al riconoscimento italiano. La spaccatura, lungi dal rappresen- tare una debolezza, procura dei dividendi. In questo modo, infatti, quando Franco incontra Dieckhoff, può sostenere che la Spagna non riconosce ma tollera la rappresentanza badogliana e che in ogni caso quel che conta è che a Roma non vi è ambasciatore.

Secondo Deakin, tutta la gestione è condotta da Franco in maniera umiliante per Mussolini.37Per gli ex combattenti

del CTV che, come gli antifascisti dal canto loro, coltivano il ricordo delle imprese dei legionari in Spagna, è una delu- sione enorme. Così finisce che anche da parte fascista, nella propaganda e non, la Spagna resti in un angolo quasi a porre 167

l’accento, con un imbarazzato silenzio, su quella che si con- sidera un’imperdonabile ingratitudine del generalissimo.38

Di fronte alle resistenze a un pieno riconoscimento, la linea seguita dai vertici tedeschi è quella di prospettare uno scam- bio di rappresentanze non ufficiale, simile a quello già inter- corso con la Francia di De Gaulle e che suonerebbe ai tede- schi anche come compensazione a quel titolo.39 La politica

di continuità badogliana operata da Jordana, che è figlia del- la sua linea neutralista, resta contrastata e soprattutto non ha mani libere.

Del resto è lo stesso ministro che riferisce in confidenza a Paulucci40della sua impotenza verso pressioni, spesso in-

consulte, che giungono, oltre che da Hitler stesso, dalla componente falangista della dittatura. In realtà, all’interno del Consiglio dei Ministri, il solo ministro segretario della Falange, Arrese – che continua a illudersi su di un passaggio di Paulucci dalla parte della dissidenza –, è schierato per il pieno riconoscimento del governo repubblichino. Con l’av- vicinarsi della resa dei conti sul fronte occidentale la Falan- ge, che perde di peso tanto peggio vanno le cose per l’Asse, può puntare su iniziative eclatanti e sempre più velleitarie. Ne è un esempio quella per la pace immediata proprio alla vigilia dello sbarco alleato in Normandia. Al di là della scarsa praticabilità, tanto la Falange come la stampa da que- sta condizionata non si preoccupano di offrire una visione di chiara spaccatura all’interno della dittatura.

Le compensazioni alla Germania saranno infine minime: vi sarà il richiamo del console a Cadice Aloisi e il mancato gradimento del nuovo addetto navale a Madrid, Filiasi. Piut- tosto, nel corso delle settimane successive all’armistizio l’atteggiamento, solo in apparenza fermo, ha degli ondeg-

giamenti in ragione della capacità di consolidamento repub- blichina. Ancora una volta Franco, come per il mancato in- gresso in guerra, scegliendo di non scegliere farà che gli eventi gli indichino dove spiri il vento.

Gli ondeggiamenti, secondo Paulucci,41sarebbero favori-

ti anche dai media alleati. Questi contribuirebbero a dare un’idea d’instabilità del governo Badoglio. Il rallentamento e poi lo stallo delle operazioni militari in Italia contribuisco- no a rafforzare quest’incertezza anche in ragione delle sicu- re pressioni dei funzionari tedeschi su tutti gli ambienti go- vernativi franchisti. Col passare dei giorni vengono in realtà a galla posizioni distinte. Un alto funzionario del Ministero degli Affari Esteri, che Paulucci non nomina, e che s’inten- de a frutto di colloqui riservati, riferisce della preoccupazio- ne di vari e non meglio precisati «Stati neutrali» che stareb- bero riconsiderando la loro posizione in ragione della mancanza d’appoggio ufficiale da parte dei governi di Stati Uniti e Gran Bretagna al re e al regio governo come soli rap- presentanti legittimi dell’Italia.

Anche la politica del ministro degli Esteri spagnolo, per quanto tendente alla neutralità, non può quindi smettere d’essere quella dei due forni. Dopo la morte di Jordana, l’anno successivo, saranno evidentissimi i passi indietro in favore nuovamente dell’Asse. Testimoniano quanto poco solida sia ancora all’interno del regime, e soprattutto nel sempre ostile Franco, la scelta di abbandonare a sua volta chi gli ha permesso di vincere la guerra civile42e verso il

quale sente una piena comunanza ideologica. Ma qualcosa Jordana deve fare rispetto alla Repubblica Sociale Italiana. Il minimo possibile; ma qualcosa va fatto. Il 18 ottobre invia un telegramma a García Comín a Roma:43

[…] dovrà telegrafare al console a Milano perché faccia un viaggio a Brescia solo allo scopo di [...] manifestare che è incaricato di assicurare il contatto tra il governo na- zionale fascista e la Spagna; dovrà far sapere che non avrà neppure lo status di agente ufficioso né alcun carattere di- plomatico ma solo quello che corrisponde ad un console la residenza del quale continuerà ad essere a Milano. García Comín è presto considerato inaffidabile, dirottato su Bologna e dispensato dall’inviare irrealistici rapporti sui successi repubblichini. Il riferimento di Jordana continua a essere l’ambasciatore presso la Santa Sede, Bárcenas. Del resto la parola d’ordine per gli affari verso il Quirinale è ir

tirando (tirare a campare) limitando alla sola estrema urgen-

za i casi di visibilità. Inizialmente si pensa di inviare al Nord un funzionario da Piazza di Spagna. Poi il profilo si abbassa ancora ed anche far viaggiare qualcuno è evitato. Si opta per mantenere il solo console a Milano, Fernando Canthal. Istruzioni? Una sola: massima riservatezza.