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I. I confini mutevoli della diagnosi …

1.5 Innovazioni della biomedicina e nuove proposte definitorie …

1.5.1 La farmacologizzazione …

Per quanto, come si è già accennato, la necessità di uno “svecchiamento” del concetto di medicalizzazione si sia palesata già a partire dagli anni '90, è solo nell'ultimo decennio e prevalentemente nel contesto anglosassone, ci ricorda Tognetti Bordogna (2013), che si sono sviluppate diverse prospettive di studi attorno al fenomeno della farmacologizzazione (Williams, Seale, Boden et al. 2008; Williams, Gabe, Davis, 2008; Abraham, 2010; 2011; Williams, Martin, Gabe, 2011a; 2011b; 2012; Bell, Figert, 2012; 2015)

Indubbiamente, l'industria farmaceutica è cresciuta ad un ritmo impressionante soprattutto a partire dagli anni '80 e '9025, confermandosi come uno dei settori più redditizi al mondo. L'industria biotech farmaceutica è, infatti, una delle principali industrie transnazionali, con una sfera di influenza globale, i cui introiti a livello mondiale superano di gran lunga il prodotto interno lordo di molti paesi (Murray, 2009: 203; Busfield, 2006; 2010), tanto che si è arrivati a definire quella attuale come “era farmaceutica” (Loe, 2004: 14). Come indicano i dati di Ims Health26, le vendite globali del settore sono passate dai 503 miliardi di dollari del 2003, ai 956 miliardi di dollari del 2011, fino al superamento dei 1000 miliardi nel 2014 (Bell, Figert, 2015: 27).

Il fenomeno della farmacologizzazione della società è pero molto più articolato della 25 Non a caso il termine blockbuster drugs, riferito ai medicinali il cui fatturato supera il miliardo di dollari l'anno, è apparso solo dopo il 1984 con il lancio dello Zantac, l'antiulcera della Glaxo, il primo vero farmaco best-seller che l'industria abbia conosciuto e un vero modello per tutti gli altri che seguirono (Law, 2006: 35-39).

26 Ims Health, società specializzata in informazioni, analisi e servizi di consulenza-marketing per l'industria farmaceutica. Fonte: http://www.imshealth.com

semplice constatazione della crescita della spesa e dell'uso dei prodotti farmaceutici, precisa Abraham (2010: 606), uno dei primi a fornirne una definizione nei termini di “processo attraverso cui condizioni sociali, comportamentali o fisiche vengono trattate o considerate come bisognose di trattamento farmaceutico, sia da medici che dai pazienti” (Abraham, 2010: 604). Per Williams e colleghi, invece, la farmacologizzazione è da intendersi come “la trasformazione di condizioni, capacità, e comportamenti in opportunità di intervento farmacologico, sia in termini di cura che di potenziamento” (Williams, Martin, Gabe, 2011a; cfr. 2011b; 2012; Williams, Seale, Boden et al. 2008; Williams, Gabe, Davis, 2008). La farmacologizzazione si caratterizza, quindi, come un processo socio-tecnico complesso ed eterogeneo che include diverse dimensioni e dinamiche che ruotano attorno alla scoperta, lo sviluppo, la commercializzazione, l'uso e la regolazione dei prodotti farmaceutici (Williams et al., 2011a). Di fronte a questo fenomeno così articolato diversi autori hanno cercato di individuarne meccanismi e attori, fornendo notevoli contributi per la sua comprensione.

Secondo Busfield (2006; 2010), per esempio, per comprendere la farmacologizzazione è necessario focalizzare l’attenzione sulle relazioni fra i suoi attori principali - le case farmaceutiche, i medici, il pubblico, i governi e le compagnie di assicurazione - analizzati in termini di “countervailing powers” (Busfield, 2010: 935). Con questa lente critica, una volta descritte le diverse azioni attraverso cui le multinazionali farmaceutiche dimostrano di essere guidate più da logiche di mero profitto che dal bene comune della salute - dalle strategie per estendere i brevetti dei farmaci blockbuster alla forte influenza nel campo della ricerca scientifica, passando per il disease mongering – Busfield spiega come mai gli altri attori presi in considerazione non possono (o non riescono) a controbilanciare l'espansionismo farmaceutico. Per esempio, sottolinea la particolare attitudine “interventistica” dei medici accompagnata dalla pressione dei pazienti ad ottenere una prescrizione; la poca trasparenza dei gruppi di advocacy di pazienti o ancora il ruolo del governo che, pur avendo fra gli obiettivi il controllo dei costi della spesa farmaceutica pubblica, è allo stesso tempo limitato dal forte potere lobbistico delle case farmaceutiche.

Anche Abraham (2010), alla ricerca sia di elementi di espansione che di contrazione del fenomeno, si concentra su diverse dimensioni tra loro interrelate: il biomedicalismo, il marketing farmaceutico e i media, la stessa medicalizzazione, il consumerismo e le politiche

di de-regolamentazione governative. Per esempio, mette in evidenza il ruolo ambivalente del consumerismo, motore della farmacologizzazione quando le associazioni di pazienti promuovono una collaborazione “access-oriented” con le case farmaceutiche e invece causa di una sua notevole riduzione nel caso siano invece motivate da una “injury-oriented adversity” (Abraham, 2010: 610). L'autore è inoltre fortemente critico con la tesi esplicativa, di stampo quasi positivista, del biomedicalismo secondo cui la crescita dell'uso farmaceutico sarebbe il semplice riflesso del progresso scientifico e la risposta a oggettivi bisogni di salute: “The weakness of biomedicalism as an explanation for growing pharmaceuticalization and the magnification in scale of drug injury cases are not only of academic interest. They reveal that increased pharmaceuticalization is not fuelled primarily by growth in pharmaceutical provision to meet, and advance, health needs. Rather, the sociological factors of consumerism, deregulatory state policies, industry’s commercial priorities and product promotion, and medicalization have been expanding pharmaceuticalization in ways that are largely out- side such provision” (Abraham, 2010: 616-617).

Di particolare interesse è il confronto/scontro con la tesi della medicalizzazione, spiegazione che, secondo Abraham, preserva i suoi punti di forza, per esempio, nel caso dell'espansione diagnostico-terapeutica nel campo della salute mentale e del lifestyle27. La medicalizzazione è dunque un motore della farmacologizzazione ma, allo stesso tempo, quest'ultima se ne discosta poiché puo facilmente verificarsi anche in assenza di una espansione della giurisdizione medica su ambiti ad essa esterni. L'applicazione di nuove cure farmacologiche puo essere, infatti, riferita anche a situazioni patologiche già ampiamente assodate senza quindi la concreta creazione di nuove categorie mediche, come testimoniato dal caso dell'obesità o dei disturbi di attenzione per i quali ormai si preferisce intervenire farmacologicamente e non optare per altre vie di risoluzione (Abraham, 2010: 603-617; cfr. Tognetti, 2013; Johnson et al., 2016). La farmacologizzazione, continua Abraham (2010: 605) riferendosi al lavoro di Fox e Ward (2008), si sottrae alle maglie strette della medicalizzazione poiché sempre più spesso il ruolo di gatekeeping degli specialisti è bypassato nella scelta, nell'acquisto e nell'uso dei prodotti farmaceutici. La fase attuale sembrerebbe infatti caratterizzata dalla simultanea farmacologizzazione della vita domestica e dall'addomesticamento del consumo farmaceutico (Fox, Ward, 2008: 856; cfr. Tognetti, 2013; Johnson et al., 2016):

27 “I refer to this mutually reinforcing two-way causality as the 'medicalization-pharmaceuticalization complex'” (Abraham, 2010: 608)

“First, there is a domestication of pharmaceutical consumption, with drugs available via home computers, and marketing of pharmaceuticals that focuses upon private or personal conditions and addresses domestic activities such as sex and cooking. Secondly, there is a pharmaceuticalisation of everyday life as the pharmaceutical industry introduces profitable medicines for a range of daily activities and pharmaceuticals come to be seen by consumers as a ‘magic bullet’ to resolve problems of daily life”.

Oltre agli interessi economici e politici delle case farmaceutiche, in questa prospettiva si tiene in considerazione l'interazione tra gli effetti dei farmaci sul corpo e sulle menti delle persone, la legittimità della condizione in oggetto e la volontà degli individui di utilizzare un dispositivo farmacologico come soluzione ai loro “lifestyle problems” (Fox, Ward, 2008).

Di questo avviso sono anche Williams e colleghi (2011a, 2011b, 2012) secondo i quali è necessario prestare attenzione sia al livello macro concernente allo sviluppo, alla promozione, alla circolazione e alla regolamentazione dei farmaci, sia al livello micro della loro prescrizione e uso nella pratica medica e nella vita quotidiana. Seguendo le loro indicazioni emergono almeno sei dimensioni sociologiche da valutare per analizzare l'impatto, le tendenze e le trasformazioni della farmacologizzazione nella società: la ridefinizione o riconfigurazione dei problemi di salute come passibili di soluzione farmaceutica; il cambiamento delle forme di governance; la costruzione e la copertura mediatica sia dei problemi di salute che delle relative soluzioni terapeutiche; la creazione di nuove identità tecno-sociali e la mobilitazione dei gruppi di pazienti/consumatori; l'uso di farmaci per scopi non terapeutici e la relativa creazione di nuovi mercati di consumo; l'innovazione bioscientifica e la colonizzazione farmaceutica delle prospettive future di salute (Williams et al., 2011: 710; cfr. Tognetti, 2013; Johnson et al., 2016).

La loro analisi della copertura mediatica del Modafinil, farmaco per i disturbi del sonno venduto col nome di Provigil, pur riconoscendo il ruolo portante dei media nelle azioni di disease mongering, ne mette in luce anche la forza come strumento che lascia spazio alla critica, spesso tendente all'opposta demonizzazione dell'uso farmacologico, soprattutto in relazione alla scoperta di effetti collaterali indesiderati o alla percepita illegittimità di un uso non strettamente terapeutico su soggetti sani:

“Media treatment of medicines and drugs then […] demonstrates a tendency to idealise or stigmatise, creating oppositional extremes [...] Whilst ‘new’ media such as the Internet, moreover, may provide spaces or forums to challenge or resist these processes, they may equally provide new avenues or channels for the medicalisation or pharmaceuticalisation of daily life (Williams, Seale, Boden et al., 2008: 840).

Il Modafinil, da farmaco inizialmente prescritto e commercializzato per i problemi di narcolessia è oggi una delle più famose “smart drug”. Nel giro di pochissimo tempo, secondo la ricostruzione presentata da Williams&co., il suo utilizzo è stato accompagnato da un'espansione diagnostico-terapeutica tale da fargli superare il confine (labile) della legittimità terapeutica e sconfinare nell'uso (e abuso) per fini potenzianti. Il caso del Modafinil, entrato quindi ormai all'interno del campo della psicofarmacologia cosmetica del miglioramento cognitivo (Rose, 2008: 125-164), risulta quindi esemplare, secondo la prospettiva del gruppo di lavoro di Williams. Trattasi infatti di un esempio capace da solo di segnare un ulteriore distacco dal concetto di medicalizzazione, sollevando allo stesso tempo importanti questioni più generali, anche di carattere etico, circa la legittimità terapeutica e il futuro utopico e distopico allo stesso tempo (Williams, Seale, Boden et al., 2008: 852) -dell'uso dei dispositivi biotecnologici, farmaci compresi, per scopi potenzianti:

“As with a range of other so-called ‘enhancement’ technologies designed to make us ‘better than well’ or ‘better humans’, if not ‘better than human’, Modafinil therefore raise some intriguing if not disturbing social and ethical questions, which in this particular case translate into debates over the prospects and possibilities of a world in which wakefulness, for better or worse, can be more or less readily conjured at will or medicated/manufactured on demand” (Williams, Seale, Boden et al., 2008: 841).