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La forza del farmaco nella pratica diagnostica

V. Modelli diagnostico-terapeutici a confronto …

5.1 Modello riduzionista-sequenziale …

5.1.1 La forza del farmaco nella pratica diagnostica

La forza del farmaco, soprattutto per quanto riguarda la DE, viene esplicitata all'interno di questa impostazione a partire dalle stesse pratiche di diagnosi. Questi farmaci si impongono, infatti, come “la” soluzione prima mancante, una soluzione così risolutiva, semplice e immediata al punto che oggi gli specialisti possono decidere di avvalersi dei farmaci orali quasi come se fossero uno strumento diagnostico, dal momento che “sono farmaci efficaci, sono farmaci ben studiati e con davvero pochissime controindicazioni che [possono essere dati] con una certa facilità diagnostica proprio perché, se ben dati, se ben amministrati, permettono di soddisfare il paziente” (Intervistato 10, urologo con competenze andrologiche). Si parla non a caso di “Viagra-test”, inteso come risparmio di tempo ed energie sia per il medico che per lo stesso paziente:

Esiste il test al Viagra, quindi, il paziente alla prima visita gli puoi prescrivere dei farmaci, se funzionano vuol dire che hanno la disfunzione endoteliale e quindi non hanno problematiche ormonali, non hanno problematiche vascolari serie e quindi, si puo arrivare anche a fare un minimalismo diagnostico (Intervistato 9, urologo con competenze andrologiche).

In questo senso dunque si segue una “goal oriented diagnosis” (Basile Fasolo, 2004: 90), ossia un iter diagnostico ridotto al minimo in cui far provare come prima cosa il farmaco. In caso di scarsi risultati si passa ad un’altra terapia, completando in un secondo momento, o spesso evitando, indagini strumentali ed esami diagnostici complessi come “gli esami ormonali o gli esami doppler penieno dinamici che dimostrano una buona vascolarizzazione” (Intervistato 9, urologo con competenze andrologiche). Tali esami vengono infatti considerati obsoleti, “iperspecialistici” (Intervistato 13, urologo con competenze andrologiche) e “anche seccanti” come il “rigiscan notturno [che] adesso non fa quasi più nessuno” (Intervistato 3, andrologo) dal momento che non sembrano in realtà fornire informazioni importanti ai fini diagnostico-terapeutici e che verrebbero somministrati sia “senza [una vera] logica” ma “solo per montare un po' la panna” per usare una espressione colorita di un uro-andrologo (13) intervistato, o semmai “in maniera quasi forzata per dimostrare loro [ai pazienti] che problematiche [organiche] non ne hanno” 189

(Intervistato 9, urologo con competenze andrologiche):

Dal punto di vista diagnostico stai a sentire il paziente che ti dice, somministri il farmaco e vedi l'azione, vedi se insomma c'è stata una risposta o meno […] diciamo che per certi versi ci ha facilitato la vita, per altri versi, soprattutto per certi andrologi che prima vivevano molto sulla diagnostica complessa - giri, rigiri il paziente e poi comunque somministravi un po’ di papaverina - e quindi diciamo che puo semmai aver un po' tolto una fetta di lavoro, una fetta di mercato ecco [...] abbiamo anche degli strumenti con cui possiamo misurare l'efficacia dell'erezione, tipo Rigiscan, l'ecodoppler dinamico del pene, poi non so, la valutazione biochimica, gli esami, il colesterolo, la glicemia, quindi ci sono, c'è anche, a differenza dell'eiaculazione precoce, c'è tutto un aspetto strumentale che magari veniva più utilizzato prima che arrivasse il Viagra. Ora lo si utilizza di meno perché spesso a seconda di chi hai davanti puoi anche iniziare a dare la pastiglia in attesa di fare analisi più approfondite e vedere se risolve, cosa che succede spesso (Intervistato 12, andrologo, urologo).

/Questi farmaci secondo il suo punto di vista hanno facilitato anche il lavoro diagnostico del medico?/ Si, si [..] ci hanno risparmiato tantissimi esami e cose, in alcuni casi se ti rendi conto che il paziente non presenta particolari problemi, ma magari glielo dai e vedi se risolve cosi. Ma se poi per esempio pensiamo al periodo pre Viagra, quando si usavano i farmaci iniettivi, papaverina prima e prostaglandina dopo, sicuramente hanno contribuito a conoscere meglio i meccanismi dell'erezione, pensiamo soltanto alla messa a punto degli ecodoppler dinamici per esempio, no? prima facevi l'ecodoppler basale e che vedevi? Eh, vedevi la pulsazione delle arterie, non vedevi altro, chiaro che alle arterie il sangue ci arriva, cade per terra se non ci arriva eh! Quindi, ancora oggi si vede qualcuno che fa ecodoppler basale, ma non serve a niente (Intervistato 30, andrologo, endocrinologo).

Gli sforzi diagnostici principali sembrano quindi concentrarsi sull’anamnesi, ovvero il colloquio con il paziente, fase centrale in cui l’andrologo, oltre alle domande di rito rientranti in una anamnesi fisio-patologica standard, si cala nei panni di un “confessore” che entra “anche un po' nella parte più intima per capire se queste problematiche ci sono con la moglie, se c'ha l'amante, se non c'ha l'amante” (Intervistato 12, andrologo, urologo). Fondamentalmente, quindi, sostiene un urologo intervistato, “l’andrologo è un prete” (Intervistato 13, urologo con competenze andrologiche) che deve pero anche avere la capacità di capire se il paziente dice o meno la verità dal momento che “il giudizio finale non è poi corretto se si sono tenute nascoste delle cose specificamente legate a quel problema lì, cioè ci si gioca quasi tutto sull'anamnesi. In questo lavoro, bisogna saperci fare, se il paziente poi non si apre diventa difficile impostare da subito una terapia efficace” (Intervistato 2, endocrinologo con competenze andrologiche).

In un contesto in cui la sincerità del paziente è una componente necessaria, pena l’efficacia stessa della proposta terapeutica, il medico ammette di preferire un’impostazione 190

diagnostico-terapeutica individualizzata che sembra comunque corrispondere alla stessa deontologia medica che impone al professionista di prendersi carico del paziente singolo. Questioni deontologiche a parte, pero, per quanto si sostenga che i problemi sessuali maschili abbiano un chiaro impatto nella vita relazionale e siano spesso infatti interpretabili come “problemi di coppia”, si propende per la presa in carico del singolo paziente senza procedere ad una reale gestione congiunta che, includendo anche il partner in tutte le fasi del processo diagnostico-terapeutico, vada in qualche modo a scavare nella crisi della coppia. Quella che viene definita come un’esigenza del paziente maschio di “gestire da sé” queste problematiche per motivi di pudore, imbarazzo o segretezza, si sposa così con una esigenza pratica del medico il cui lavoro non viene facilitato da una partner che ha bisogno di troppe spiegazioni o rassicurazioni o che potrebbe addirittura intralciare l’utilizzo e l’efficacia dei farmaci:

Questo è un grosso dibattito all'interno della comunità andrologica, se curare il paziente e curare la coppia, sicuramente noi come medici dobbiamo curare il paziente, questo è il nostro obiettivo deontologico […] è una questione di sensibilità, cioè il paziente di solito viene da solo, non viene quasi mai in coppia [...] Il disastro è quando viene in coppia e la partner si comporta, come spesso capita in quei contesti, in cui dice la frase terribile per noi “Mah, se per te va bene, ma per me va bene anche così”, ecco, allora in quei casi lì bisogna dividere la coppia perché se no io ho una persona che non risponde più alla terapia. Se sei venuto è perché così non va bene, se il partner ti dice una roba del genere o tu c'hai un'altra partner e pero lì non me lo puoi dire, oppure tu quello che mi dici è castrato da questa cosa. Quindi generalmente il paziente si visita individualmente e viene individualmente, quando viene in coppia bisogna capire, e questo bisogna capirlo da noi com'è quella coppia e non è per niente facile! Perché in mezz'ora non so nulla di questa cosa, pero lo dobbiamo fare per poter dire “La prossima volta ci vediamo noi da soli” oppure “Va bene, venite tutti e due”. Capisce già che da quanto le ho detto la situazione per me migliore, mi spiace dirlo, ma è avere a che fare col paziente da solo. Sono rari i casi di persone davvero davvero affiatate, e qui invece eh, bisogna che ci sia assoluta confidenza nel dire le cose come stanno, no? Come stanno e come si vorrebbero! E questo raramente si puo fare davanti ad una compagna, con tutto l’amore del mondo, eh, per carità, non dico che, pero questa è una parte, la (enfasi) fase fondamentale! Insomma, se volete, io dico “Parlatene”, ma la cura e le decisioni sono del paziente e basta, io comunque è a lui che do la terapia, che do il farmaco, se lui vuole usarlo da solo è più che legittimo, anzi spesso ha i suoi buoni motivi che possono anche essere che magari non ha una compagna fissa, ha altre relazioni e quindi in questo caso è totalmente affar suo, no? Se invece vuole affrontare la cosa con più disclosure allora io sono anche apertissimo a parlarne anche con lei eventualmente, per fugare ogni dubbio. Ma è più una chiacchierata, diciamo, che si fa ex-post quasi anche perché poi molto spesso le donne sono quelle che si fanno più problemi, “Ah, ma se ti serve questo allora non ti piaccio più” e quindi in sostanza tu le devi rassicurare (ride) […] fondamentalmente su 100 pazienti, io ne vedo 90 da soli e 10 in coppia, cioè che si presentano in coppia, ma non invito mai il paziente a dire “Venga in coppia”, al paziente dico “Venga pure, prenoti, venga lei”, poi se viene in coppia non gli dico di no ecco (Intervistato 10, urologo con competenze andrologiche).

La gran parte [dei pazienti] vengono da soli, quando vengono in coppia nella gran parte dei casi è lei che ha preso l'iniziativa, lei che dice 'Ti porto da'. Pero nella gran parte dei casi è un problema che il paziente preferisce gestire da sé, e anche quando si propongono gli esercizi possono essere esercizi di coppia o, nella maggior parte dei casi il paziente preferisce fare esercizi da solo, è un problema che si vuole gestire da solo […] certamente la cosa migliore è quando la coppia affronta insieme il problema, questo senza dubbio, c'è come dire, innanzitutto hai due persone motivate, quindi se uno crolla un po' l'altro magari la spinge no?, sicuramente è un terreno migliore, pero sono una minoranza quelli che vengono in coppia, anche per la disfunzione erettile eh, e comunque io ho studiato, mi sono perfezionato anche per addentrarmi un pochino di più nel discorso più ampio della coppia, va bene e anzi secondo me dovrebbero farlo tutti, pero, il mio lavoro, il mio servizio è rivolto al paziente e alle esigenze del paziente singolo prima di tutto, anche perché ci sono i farmaci che ti permettono di avere questa libertà insomma no? Diciamo che per le coppie in crisi la porta da bussare non è la mia (Intervistato 30, andrologo, endocrinologo).