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Repertori diagnostico-terapeutici come strumenti euristici …

I. I confini mutevoli della diagnosi …

1.8 Repertori diagnostico-terapeutici come strumenti euristici …

In un libro di recente pubblicazione Bell e Figert (2015) notano come il termine “medicalizzazione” abbia ormai raggiunto l'olimpo dei concetti sociologici più famosi, quasi al pari della burocrazia weberiana e dello stigma di Goffman. Eppure, come delineato nei paragrafi precedenti, il dibattito circa la sua attuale efficacia interpretativa non sembra volersi esaurire in tempi rapidi. Come qualsiasi dibattito che prevede l'uso del concetto di post-modernità, c'è chi dipinge la medicalizzazione come un concetto moderno inadatto alle sfide della contemporaneità (Clarke et al. 2003) e chi dubita invece che la contemporaneità sia effettivamente del tutto post-moderna (Bell e Figert, 2015). A questo proposito Conrad (2005: 12), sottolineando la difficoltà di valutare la biomedicina come un'istituzione appunto “post-moderna”, data la sua base di conoscenza scientifica e la sua struttura ancora fortemente burocratica, commenta:

“The claim that the biomedicalization change represents a shift from modernity to postmodernity depends entirely on what one considers as postmodern. As Anspach (2003) points out, 'Efforts to rationalize health care through data banks and practice guidelines may actually represent new forms of bureaucratizaton, a quintessentially modern, rather than post-modern, phenomenon'”

Posizionarsi quindi all'interno del dibattito fin qui tratteggiato tra i sostenitori della medicalizzazione, della farmaceuticalizzazione o della biomedicalizzazione sembra un'impresa titanica e forse uno sforzo per certi versi anche inutile. Effettivamente i cambiamenti avvenuti, sia all'interno del complesso della medicina contemporanea che quelli ad essa riferibili sembrano aver segnato un importante giro di vite tale da richiedere nuovi strumenti interpretativi. Allo stesso tempo, basta guardare anche solo al confine così labile che intercorre fra terapia e potenziamento per vedere quanto la “questione definitoria” descritta da Conrad sembra essere ancora in grado di adattarsi a tali cambiamenti e di descrivere le “mutevoli spinte” (Conrad, 2009; 2005), in termini di meccanismi e attori propulsori del rinnovamento nel campo della salute e della medicina contemporanea.

Pur senza arrivare a definire il modello attuale nei termini di “biocapitalismo farmacopornografico” come fa Preciado (2008/2013), oggi più che mai la definizione e la riproduzione incorporata di standard performativi e normativi di adeguatezza circa il sesso, la sessualità, i rapporti e le identità di genere appare profondamente regolata dall'uso di

specifiche (bio)tecnologie che, più o meno implicitamente, richiedono un continuo (auto)monitoraggio e (auto)posizionamento al confine tra il normale, l'anormale e il costantemente migliorabile. Siamo infatti, seguendo ancora una volta l'interpretazione di Rose (2007/2008: 37), “individui somatici”, la cui soggettività è, in larga parte, sancita dalla nostra “esistenza corporea” e quindi esperita e giudicata attraverso il linguaggio (e le pratiche) di saperi biotecnologici, soprattutto di carattere medico e psicologico.

Ci si chiede dunque se non sia il caso, almeno per il momento, di lasciarsi alle spalle tale dibattito e introdurre gli strumenti concettuali che verranno applicati allo studio della tematica che si è scelto di approfondire in questo lavoro, ovvero i processi di co-costruzione (Casper, Koenig, 1996; Haraway, 1991; Barad, 1998; Lock, Nguyen, 2010) che caratterizzano e sorreggono l'espansione diagnostico-terapeutica delle principali problematiche sessuali maschili. Arrivati a questo punto sembra infatti doveroso provare a trovare un filo conduttore capace di tenere insieme le diverse dimensioni che spaziano dalla costruzione sociale della salute e della malattia fino ai processi di incorporazione, passando per le strategie di professionalizzazione delle categorie di esperti. In quest'ottica si vuole rimarcare innanzitutto come la questione definitoria dei principali disturbi della sessualità maschile sia intrinsecamente legata ai dispositivi terapeutici, principalmente artefatti farmacologici, che su (e attraverso) quest'ultima fondano la loro ragion d'essere e la loro capacità di azione in quanto tecnologie del sé. Non solo quindi ci si trova di fronte ad una relazione mutualmente co-costitutiva fra queste due categorie congiunte, ma si intende sottolinearne anche la profonda interrelazione con diverse dimensioni che sembrano fondarsi su tali repertori diagnostico-terapeutici e, mutualmente, ne garantiscono l'adattamento e la continuità in una circolarità che ne evidenzia, quindi, il carattere situato e costantemente prodotto e riprodotto.

In questo contesto tali repertori sono interpretabili come configurazioni ricorrenti, contestuali e relazionali, di affermazioni normative circa dei fatti scientifici, in questo caso aventi a che fare con la diagnosi e la cura delle disfunzioni sessuali maschili. A livello concettuale il repertorio riprende, o per meglio dire incorpora, sia la nozione di Fleck di “stile di pensiero” inteso in particolare come paradigma circolante all'interno di un “collettivo di pensiero” esoterico di specialisti (Fleck, 1935/1983; Bucchi, 2004) che quella di “logica” di Mol (2009: 8), ovvero“cio che è appropriato o logico da fare in un contesto o in una

situazione, e cio che non lo è, alla ricerca di una locale, fragile e tuttavia pertinente coerenza”. Come sottolinea Mesman (2005: 52) che utilizza proprio il termine di “repertorio”, esso suggerisce un'enfasi particolare sullo stile di ragionamento come modalità di mettere in ordine e di classificare, permettendo allo stesso tempo di criticare l'assunto per cui la struttura fondamentale delle pratiche mediche sia costituita da principi deduttivi e protocolli decisionali forti e invariabili. Infatti, continua Mesman (2005: 58) un repertorio, “rather than fixing all that is said or done in a given context, it determines what actors view as relevant, and which factors, means or arguments they feel matter most. It indicates what is central or peripheral in a particular situation of condition”.

In questo senso tale concettualizzazione permette dunque di mantenere l'idea di un paradigma scientifico di riferimento senza per forza scadere nella sua idealizzazione in un sistema unificato che spinge l'azione in una direzione univoca e sistematica, rappresentando quindi, in affinità con la visione di Swidler (1986), i repertori oggetto di analisi come dei “tool kit” (Swidler, 1986: 277) utilizzati in maniera strumentale, operazionale e contestuale dagli esperti medici e psicologi.

Dal momento che, infatti, nella “definizione della malattia” è contenuta la definizione della figura professionale legittimata ad occuparsene (Tousijn, 2000; 2009; Vicarelli, 2010), l'intento è quello di muoversi da una prospettiva di conoscenza situata (Haraway, 1991: 590) saldamente ancorata al punto di vista dei professionisti andrologi e psicosessuologi, e riuscire a mettere in luce i meccanismi di “mutal shaping” tra questi saperi-esperti e il campo più ampio della salute sessuale maschile che essi intendono amministrare.

Con questo obiettivo in mente si é quindi deciso di affidarsi allo strumento euristico dei repertori diagnostico-terapeutici, dispositivi al contempo materiali e semiotici (Haraway, 1991; Johnson et al., 2016) analiticamente intesi come un “prisma attraverso il quale produrre la diffrazione necessaria per destrutturare l'apparente compattezza del discorso scientifico” (Haraway, 1997/2000; cfr. Johnson et al., 2016: 314).