II. La medicalizzazione della sessualità …
2.1 La patologizzazione dell'underperformance maschile …
2.1.4 Nuovi scenari farmaco-mediati …
Sulla base di quanto è stato delineato rispetto ai processi di medicalizzazione farmacologizzata delle disfunzioni sessuali maschili, si è d'accordo con Lauretti e colleghi (2016: 154) nel puntualizzare come “il progresso scientifico e farmacologico fornisca continuamente al medico nuovi e potenti strumenti di diagnosi e soprattutto di cura e, nello stesso tempo, infonda naturalmente nella persona malata (e non), speranze ma anche nuove sollecitazioni e interrogativi”.
Eppure, si è visto, la farmacologizzazione figlia del modello biomedico, da sola non sembra bastare per fornire una risposta adeguata e sufficiente a queste nuove sollecitazioni, speranze e interrogativi. Iniziano quindi ad intravedersi delle falle all'interno del modello biomedico caratterizzato da una cura disease-centered iperspecialistica e tecnologica che pone principalmente l'attenzione alla malattia come stato fisico dell'organismo e assegna al malato un ruolo sostanzialmente passivo. Il suo orientamento rigidamente riduzionistico viene considerato sempre più inadeguato a cogliere tutti gli aspetti influenti nei processi di salute e malattia.
Un tentativo di sopperire a queste fragilità, in ambito sessuologico, è rinvenibile nella proposta di rivalutazione del cosiddetto paradigma bio-psico-sociale, fondato negli anni '70 dallo psichiatra americano George Engel (1977; cfr. Giarelli, 2003: 112-113; Turchi et al., 2007: 29) che, ispirandosi alla teoria dei sistemi, sviluppo un approccio olistico definibile
come “centrato sul paziente” e non più esclusivamente sulla malattia.
Il paradigma biopsicosociale, rifacendosi al paradigma sistemico, ritiene infatti che sia l'interdipendenza dei fattori biologici, psicologici e sociali, a condizionare la salute del paziente, senza limitarsi, come avviene per il paradigma biomedico, ad un'analisi riduzionista della malattia e ad un conseguente intervento semplicistico sulla stessa. Tale modello esplicativo è già alla base, del resto, della nozione di salute fornita dall'OMS80 (1948; 1978; 1986) come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non soltanto come assenza di malattia organica. Anche l'essere umano, in questa prospettiva, andrebbe dunque concepito in maniera olistica come un sistema funzionale. Nello specifico, la sessualità è inquadrata come un fenomeno complesso nel quale convergono e interagiscono diverse componenti, dagli aspetti biologici a quelli intrapsichici, relazionali, sociali e culturali. Si tratterebbe quindi di una prospettiva olistica in grado di ricomporre la scissione cartesiana tra mente e corpo, integrando nella logica diagnostica e di cura elementi di provenienza psicologica e sociologica (Giarelli, 2003: 112; Melocchi, Tousijn, 2004: 44; Simonelli, 2006; Turchi, Della Torre, 2007).
Le traduzioni pratiche di tale modello sembrano pero essere ancora molto variabili e rispecchiano una situazione di fluidità e dinamicità rispetto all'autorità giurisdizionale che, quantomeno nel contesto della cura delle disfunzioni sessuali maschili, non sembra prospettare interventi concreti nel livello “socio-culturale” che pure trova spazio, nominale, nel suddetto paradigma.
Lungi dal mettere in discussione gli standard eteronormativi che il processo di medicalizzazione ha contribuito a creare, la posta in gioco del modello biopsicosociale sembra infatti declinarsi in una ristrutturazione della chiave patologizzante della sessualità che apre le porte a nuovi, o per meglio dire rinnovati, professionalismi (Furedi, 2004; Tousijn, 2004; 2013).
L'ingresso dei farmaci orali, si è visto, aveva effettivamente contribuito a mettere in ombra il bagaglio di spiegazioni e strumenti terapeutici della professione psicologica a favore di una gestione medicalizzata ipoteticamente quick-fix nelle mani della categoria dei medici 80 Per una disamina approfondita del concetto di salute così come viene definito dall'Organizzazione Mondiale
uro/andrologi. Tuttavia, negli ultimi dieci anni almeno, la sola figura del medico prescrittore di farmaci si è rivelata appunto insufficiente per un intervento davvero incisivo, anche se questa incisività è stata spesso giudicata rispetto alla compliance del paziente verso i farmaci stessi. E proprio la fragilità dimostrata da un eccessivo affidamento sulla sola opzione farmacologica, che sembra aver aperto nuovi spazi di azione-legittimazione per un rinnovamento professionale e terapeutico orientato in senso multidisciplinare. Infatti, proprio in virtù di spiegazioni eziologiche multifattoriali, viene sostenuta l'istanza che il sintomo sessuale, sia nella diagnosi che nella terapia, sfugga a a schemi terapeutici singoli e convenzionali. In alternativa viene proposto un lavoro di équipe che reintegra la figura professionale dello psicologo all'interno di un approccio di cooperazione con il medico che prevede dunque l'integrazione di approcci teorici e strumenti clinici diversi, sia medici che psico-sessuologici.
Sebbene le specifiche impostazioni dei questo protocollo integrato dipendano in larga misura dal background degli specialisti coinvolti (Simonelli, 2006; Cacchioni, 2015) le principali declinazioni terapeutiche che si trovano in letteratura di tale orientamento diagnostico sembrano prediligere una combinazione di farmaci orali, counseling sessuale e interventi psicoterapeutici brevi e focalizzati sul sintomo, solitamente rivolti alla dimensione relazionale della coppia. Sarebbe proprio tale combinazione ad assicurare l'efficacia di interventi terapeutici (e di professionalità) che da soli, invece, si sono dimostrati insufficienti, come si è visto nella breve ricostruzione storica delle tappe della patologizzazione della inadeguatezza sessuale maschile. Solo un approccio integrato sarebbe dunque funzionale per garantire, per esempio, la compliance di un paziente maggiormente disposto ad accettare di legarsi ad un farmaco sintomatologico dopo aver usufruito di una consulenza sessuologica educativa; o di una coppia che, coadiuvata da un farmaco che blocca momentaneamente il sintomo disfunzionale, puo più facilmente eseguire gli esercizi sessuali cognitivo-comportamentali solitamente orientati al completamento di un coito penetrativo orgasmico per entrambi (Althof, 2002; Simonelli, 2006; Metz, McCarthy, 2007; Cormio et al. 2015; Frith, 2015).
In questo senso, si è in linea con le osservazioni critiche di Cacchioni (2015; cfr. Potts, 2000b; Tiefer, 2004; 2007; Cacchioni, Tiefer, 2012; Gupta, Cacchioni, 2013; Cacchioni,
2015; Frith, 2015) che, riprendendo il concetto di “tailorizzazione del sesso” di Jackson e Scott (2010), sottolinea l'aspetto paradossalmente disciplinante che comporta il riuscire a performare una sessualità adeguata e competente nell'attuale contesto etero-normativo/normativizzante all'interno del quale agli individui viene insegnato come “deprogrammarsi e riprogrammarsi” (Cacchioni, 2015) sessualmente attraverso modalità che comportano il sottoporsi ad un training specialistico (Jackson, Scott, 2010), spesso farmaco-mediato:
“Of all the types of sex work, [...] discipline work is the option sex experts are most likely to advocate. Jackson and Scott have pointed to the inconsistency in messages from sex experts who frequently suggest that sex should be 'spontaneous' even though they require 'working harder and practicing in order to achieve the best possible outcome'. Whether the practitioners were employed in fields relating to mental or physical “health,” they shared the goal of disciplining mental and physical sexual responses, but emphasized different aspects depending on their disciplinary background […] [the] basic strategy was to alter the [men and women's] mental and physical reactions to certain types of sexual activity, rather than to alter social expectations of heterosexual sex” (Cacchioni, 2015)
In questa cornice eteronormativa e terapizzata, all'interno della quale una eterosessualità di successo richiede uno sforzo disciplinante, “l’aspirazione alla norma fallica” dunque sembra ancora configurarsi, nonostante tutto, a tutti gli effetti come “imperativo” (Magaraggia, Blatterer, 2012: 197) poiché sia il benessere sessuale maschile che la stessa maschilità sono spesso tradotti (e ridotti) in termini di efficienza peniena, a cui dedicare letteralmente anima e corpo (Cacchioni, 2015) in vista dell'ottenimento di una performance ottimale che sembra avere la precedenza su visioni alternative della sessualità più aperte alla negoziazione e ad una costruzione contestualizzata, più flessibile e paritaria, delle forme del desiderio e del piacere (Ferrero Camoletto, Bertone, 2012; 2016).