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I. I confini mutevoli della diagnosi …

1.7 Tecnologie del Sé …

Mai come in quest'epoca dunque il complesso sistema di sapere-potere della medicina arriva a mettere in discussione l’idea di una naturalità dei limiti della vita stessa e di come possa essere vissuta:

“in passato sembrava che la vita fosse indissociabile dal meccanismo naturale dei processi vitali. Tutto cio che poteva auspicare la medicina era di arrestare l'anormalità, di ristabilire la norma vitale naturale e la normatività del corpo che la supportava. Ma queste norme non sembrano più ineluttabili, queste normatività paiono aperte al cambiamento. Una volta che si sia stati testimoni degli effetti dei farmaci psichiatrici nel riconfigurare le soglie, le norme, la mutevolezza delle emozioni, della cognizione, della volontà, è difficile immaginare un sé che non sia aperto alla modificazione per tale via. [...] Una volta che si siano viste le norme dell'invecchiamento femminile modificate dalla terapia ormonale sostitutiva, o le norme della sessualità del maschio anziano modificate dal Viagra, il 'normale' processo di invecchiamento sembra soltanto una possibilità in un campo di scelte, almeno per il cittadino del ricco Occidente” (Rose, 2008: 26; cfr. Bronzini, 2013).

Riassumendo le argomentazioni di Rose, sarebbero dunque le biotecnologie odierne a permettere l'ingresso degli individui nel dominio della decisione e della scelta, modificando quindi gli stessi obiettivi a cui si puo aspirare, non più (solo) la guarigione, ma la correzione e il potenziamento psico-fisico (Rose, 2007/2008). Non si possono certamente affrontare in questa sede introduttiva tutti gli aspetti relativi al miglioramento umano anche perché è difficilmente analizzabile come tema a sé stante dal momento che, come si è visto, esso è profondamente intrecciato con dei meccanismi patologizzanti e con la creazione di bisogni indotti. Anche i più convinti sostenitori del Why not the best?, per esempio nel campo del miglioramento cognitivo, ammettono infatti l'esistenza di questioni cruciali di chiara

pertinenza bioetica, dalle perplessità circa la sicurezza dei farmaci in termini di effetti collaterali e di dipendenza alle critiche circa la disuguaglianza nell'accesso potenziale a questo tipo di risorse e l'imparzialità che rimanda ad evidenti analogie col doping nell'agonismo sportivo (Caplan, 2006: 39; Conrad, 2007: 70-96; Greely et al., 2008, Maturo, 2009: 31-32;Giglio, 2016).

Ma se Rose per certi versi sembra parlare di apertura dell'orizzonte di possibilità che si staglierebbe davanti agli individui contemporanei, diverse dimensioni si manifestano alla congiuntura fra potenziamento, espansione diagnostica dell'underperformance e dei quality of life-distresses. Tale congiuntura è ormai culla degli standard di normalità sulla base dei quali vengono prodotte e giudicate soggettività e relazioni di genere, sempre più spesso naturalizzate e reificate proprio in virtù di una loro collocazione all'interno di pratiche disciplinari e regimi discorsivi (bio)medico-riduzionistici che “sistematicamente danno forma agli oggetti di cui parlano” (Foucault in Barad, 1998: 103; cfr. Butler, 1990; Mullany, 2004: 293; Milani, 2011; 2015).

Ruolo centrale in questa congiuntura è senza dubbio giocato dal complesso della biotecnologia. In questo contesto è quindi innanzitutto assolutamente necessario superare quella che Lock e Nguyen (2010: 20) descrivono come “Standard View of technology” (Lock, Nguyen, 2010: 20), una credenza di senso comune sull'uso della tecnologia nella società contemporanea che si compone di due prese di posizione tacite. Da una parte, una sorta di “sonnambulismo tecnologico” (Lock, Nguyen, 2010: 21) che comporta la tendenza ad una accettazione del tutto irriflessiva delle innovazioni tecnologiche e, dall'altra, un determinismo che conduce a considerare la tecnologia scientifica come un “powerful and autonomous agent, inherent to progress, and therefore by definition an unquestionable good” (Lock, Nguyen, 2010: 21). A questa visione che rappresenta i dispositivi tecnologici, farmaci compresi, come dei meri artefatti materiali moralmente neutrali, bisogna appunto contrapporre un approccio critico che utilizzi un concetto ben più ampio di (bio)tecnologia, non come strumento ma come “attante non umano” (Asdal, Brenna, Moser, 2007; Johnson et al. 2016: 77) dotato di agency che si struttura e si muove all'intersezione tra natura e cultura, salute e malattia, esperti e pazienti-consumatori (cfr. Haraway, 1991; Casper, Koenig, 1996; Barad, 1998) o altresì come quell'insieme di conoscenze, strategie e pratiche che sviluppano e costruiscono oggetti

materiali nel mondo fisico, strutturano il mondo e mediano la nostra relazione con esso e i suoi significati (Gavey, 1993: 97) e ne sono a loro volta mutualmente costituite. A cio si riferisce Rose quando parla di “hybrid assemblages of knowledges, instruments, persons, systems of judgment, buildings and spaces, underpinned at the programmatic level by certain presuppositions and assumptions about human beings” (Rose in Lock, Nguyen, 2010: 23).

Le biotecnologie sono dunque, in questo caso, veri e propri oggetti culturali, al contempo prodotti da (e produttori di) cultura, che riflettono, nei modi in cui vengono prodotte, commercializzate, prescritte e consumate determinate implicazioni ideologiche solitamente implicite che, per quanto plurali, mutevoli e soggette a resistenze, sottendono in maggioranza canoni fisico-performativi in linea con gli standard dominanti. Esse sono dei nodi materiali e semiotici in cui produzioni discorsive e identitarie si intrecciano e si danno vicendevolmente forma (Johnson et. al, 2016: 88; cfr. Haraway, 1991; Rose, 2007/2008). Esempio emblematico di questa concezione è quello dei cosiddetti lifestyle drugs, farmaci indicati per i disturbi più comuni come le allergie, il bruciore di stomaco, la calvizie, l'insonnia, la disfunzione erettile, l'ansia etc., condizioni reputate non tanto come potenzialmente mortali ma piuttosto vissute come limiti nella vita quotidiana (Mamo, Fishman, 2001: 16; Loe, 2004: 15; Conrad, 2007: 134). Considerata la severità variabile di questi disturbi, cio che questi farmaci sembrano avere in comune, secondo Mamo e Fishman (2001), è la promessa, non solo di alleviare il disturbo fastidioso in tempi veloci, ma di agire sulle soggettività individuali, costruendo o rafforzando supposte identità, migliorando le relazioni e la qualità della vita in generale. In questo senso rientrano perfettamente in quelle che Foucault definisce “tecnologie del sé”:

“[dispositivi che] permettono agli individui di eseguire, coi propri mezzi o con l'aiuto degli altri, un certo numero di operazioni sul proprio corpo e sulla propria anima – dai pensieri, al comportamento, al modo di essere – e di realizzare in tal modo una trasformazione di se stessi allo scopo di raggiungere uno stato caratterizzato da felicità, purezza, saggezza, perfezione o immortalità” (Foucault, 1992: 13; cfr. Mamo, Fishman, 2001: 17).