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PARTE SECONDA: DOMINGO MURIEL, ULTIMO PROVINCIALE DEL PARAGUAY.

II.9. I FASTI NOVI ORBIS.

Nel 1776, presso lo stampatore veneziano Zatta, Muriel pubblicò un libro compendioso, il cui titolo completo è: Fasti Novi Orbis et ordinationum apostolicarum ad Indias pertinentium breviarium cum adnotationibus. Per la sua pubblicazione, Muriel usò per la prima volta lo pseudonimo di “Cyriacus Morelli”, del cui significato abbiamo già parlato; a conferma di quanto esso dovesse essere trasparente fin dall’intenzione, l’autore, a scanso di ogni equivoco, è anche qualificato come presbyterus, ovvero sacerdote, nonché olim in Universitate Neo- Cordubensi Tucumania professor, cioè “ex professore dell’università di Córdoba del Tucumán292: impossibile ogni equivoco. Il libro consta di due parti: nella prima, si

291 Cfr. M. Caffiero, La rhétorique symétrique. Discours et stratégies d'autolégitimation des jésuites, in P.A. Fabre-C. Maire (dir.), Les Antijésuites. Discours, figures et lieux de l'antjésuitisme à l'époque moderne, Rennes (Presses Universitairesde Rennes) 2010, pp. 197-220.

292 Muriel è tutt'oggi considerato una delle glorie dell'Università di Córdoba, come si evince dal tono elogiativo di N.C. Dellaferrera, Los jesuitas y la ciencia canónica, in Jesuitas: 400 años en Córdoba. Congreso internacional, 21 al 24

trova una sorta di elenco cronologico dei principali avvenimenti nella storia delle Americhe, a partire dalla loro prima scoperta da parte degli europei, lo sbarco di vichinghi norvegesi in Groenlandia nel 1248, e si conclude con l’occupazione britannica delle isole Falkland, ovvero Malvinas, nel 1770. La seconda parte dell’opera invece consiste in una raccolta in ordine cronologico di tutte le disposizioni di varia natura (decreti, bolle, risposte, come anche risposte vivæ vocis oracolo) emanate dalla S. Sede a riguardo delle Americhe.

Il libro dovette essere necessariamente terminato entro la prima metà del 1774, poiché al 16 giugno di quell’anno data il visto della censura veneziana. Di conseguenza, supponiamo che esso debba essere stato preparato grosso modo nell’anno intercorso fra la soppressione dell’ordine gesuita e tale data. In effetti, pare che Muriel aveva già scritto l'opera una prima volta, all'epoca del suo incarico di procuratore della sua Provincia a Madrid; poi, la redasse da capo in Italia. Sulla sua sotria editoriale le cronache ci raccontano una storia curiosa: Muriel inviò il suo manoscritto a Venezia per farlo stampare, ma esso cadde in mano dell'Inquisizione che, come avrebbe fatto più avanti per le sue opere, frappose degli ostacoli alla pubblicazione; in particolare, pare che l'oggetto dello scandalo fossero le opinioni dell'autore riguardo ai diritti sulle decime ecclesiastiche, rispetto ai quali Muriel pare sposasse le rivendicazioni regalistiche vigenti in Spagna. Forse, però, grazie a queste stesse opinioni Muriel si vide attribuire una pensione supplementare a partire dal 1787, a motivo del parere favorevole che a suo riguardo si era formato nel seno del Consejo de Indias293.

In effetti, sappiamo dai bibliografi che non tutta l’opera è attribuibile originariamente a Muriel, dacché nella sua prima parte, i Fasti per appunto, sono intervenute almeno due altre mani. Originariamente, questa parte fu tratta dalla Histoire et description générale de la Nouvelle France del gesuita Pierre Antoine Xavier de Charlevoix (1744); essa fu poi tradotta dal francese in latino dal p. José Sans, contemporaneo di Muriel e suo conoscente di lunga data294; ad essa si sommano alcune aggiunte,

Córdoba (Universidad Nacional de Córdoba) 2001, pp. 109-128. 293 Cfr. Furlong, Domingo Muriel, S.J., cit., pp. 35 e sgg.

294 José Sans nacque in Catalogna nel 1734. Di lì, seguì gli altri a Faenza, dove lo troviamo nel 1775, epoca in cui venne composta l’opera in esame (AHN Clero-Jesuitas 224,6), fino almeno al terzo trimestre del 1797. Morì a Roma

probabilmente dello stesso Muriel, che infatti ci informa nel prologo:

Placet ante juris Breviarium Fastos Novi Orbis, idest Breviarium factorum mittere in novam lucem: ut nempe jura et facta sibi invicem explicationi sint. Fastos Novi Orbis gallicé scripsit primum, deinde correctos et auctos edidit Charlevoix. Nunc tamen prodeunt novis correctionibus et accessionibus, quæ asteriscis interpunguntur, et interpretatione Latina cujusdam presbyteri rerum indicarum studiosi, et americanæ vineæ cultoris in voto295.

È chiaro che qui si allude proprio a Sans, a cui si riferisce il particolare di aver voluto, un tempo, essere missionario in Paraguay, ma di non aver potuto, ed esserlo quindi “in voto”296; sembra quindi un gesto delicato, quello di Muriel, di esprimere la propria gratitudine al suo collaboratore, rivolgendosi a lui come ad un missionario ad honorem e sanando così una condizione di oggettiva diversità rispetto ai gesuiti paraguaiani espulsi della sua generazione. È a Sans dunque che si debbono le integrazioni al testo di Charlevoix, oltre che la sua versione in latino.

I Fasti Novi Orbis, dicevamo, sono essenzialmente una cronologia delle esplorazioni europee nel Nuovo Mondo, come traspare dal titolo; tuttavia l’accezione che è data alla geografia di questo “mondo nuovo” è quanto mai dilatata: esso comprende anche le parti sconosciute del “mondo vecchio”, ovvero di quella porzione del globo terracqueo già noto, sia pure vagamente, dai tempi di Tolomeo. Così vi possiamo trovare anche la notizia della scoperta delle misteriose sorgenti del Nilo grazie alle buone entrature del gesuita Paëz presso l’imperatore abissino, come anche della scoperta delle fonti del Gange, degli altopiani del Tibet e della penisola del Kamčatka297. Tuttavia l’interesse preponderante di questo scritto è incentrato sulla

nel 1804 (Storni, Catálogo, cit., p. 262). Dalle ricevute conservate presso l’Archivo Histórico Nazionale di Madrid, sappiamo che fu tra quelli che, a Faenza, ricevevano i socorros extraordinarios almeno a partire dal 1787. Di lui i bibliografi ci tramandano pochi titoli, legati alla letteratura ecclesiastica e devozionale: una Dissertazione sulla

messa bassa e un poema “De proxima Bacchanalium abolitione”, perduti; e un’interessante Qui fidei hostes? […]Ordinis tum ecclesiastici tum politici incolumitati ac saluti aptata dissertatio, Faenza (Archi) 1792. Riguardo ai Fasti, è Furlong a darci notizia della sua collaborazione. Furlong, Domingo Muriel, S.J., cit., p. 38.

295 D. Muriel, Fasti Novi Orbis et ordinationum apostolicarum ad Indias pertinentium breviarium cum adnotationibus, Venezia (Zatta) 1776, p. VIII.

296 Infatti, faceva parte della spedizione di gesuiti che lo stesso Muriel aveva messo insieme e che stava per partire alla volta del Paraguay nel 1767, quando l’ordine di espulsione li sorprese a Cadice; dunque, la sua esperienza missionaria si ridusse soltanto alla beffa dell’attesa, in Spagna, della nave che avrebbe dovuto portarlo in America, e che invece lo avrebbe portato in Italia, dilatando così all’infinito la sua precaria condizione di indipeta. Cfr. Storni,

Catálogo, cit., p. 262.

scoperta europea delle Americhe, a partire dal 1248, anno in cui Charlevoix pone la prima notizia certa della presenza di vichinghi norvegesi in Groenlandia; ovviamente, fino al 1492, la storia delle esplorazioni europee riguarda soltanto le terre africane che si affacciano sull’Atlantico e le isole che vi si trovano in mezzo. L’andamento cronologico segue dunque l’espansione delle esplorazioni europee, che non vengono distinte dalla spinta colonialista, dal momento che sono frammischiate, senza differenza, notizie di scoperte geografiche e memorie della fondazione di città o insediamenti.

In mezzo allo scritto originario di Charlevoix, tuttavia, si trovano le frequenti aggiunte e integrazioni di Sans, sparse in tutta l’opera, con una cospicua appendice in coda, integrando cioè lo spazio di tempo intercorso fra la fine della cronologia di Charlevoix (1739) e gli anni ’70. Il loro contenuto è piuttosto vario; spesso sono nient’altro che correzioni o mere integrazioni della cronologia già esistente, come l’etimologia del nome delle isole Azzorre298; oppure, alla notizia del ritrovamento in Corea di cetacei trafitti da arpioni baschi, l’obiezione che ciò non significa la possibilità di un passaggio navale settentrionale fra Atlantico e Pacifico, visto che le balene non nuotano soltanto in superficie299. Vi sono poi vere e proprie aggiunte, voci completamente nuove, anch’esse di vario contenuto. Si va da Cabrera che, fondando Córdoba de Tucumán, pose in mezzo alla sua piazza una forca300, alla risoluzione a Quito nel 1742 del dibattito accademico sulla proporzione fra asse terrestre e diametro dell’equatore301. Tuttavia, in mezzo a tutto ciò, troviamo anche due generi di annotazioni che rimandano immediatamente al Paraguay gesuitico e alla memoria degli esiliati.

Da una parte, infatti, c'è la seguente notizia dell’apertura di vie di comunicazione lungo il fiume Paraguay, per collegare i territori del Perù e quelli del Paraguay e Rio de la Plata.

1767. P. Josephus Sanchez Labrador Hispanus S.J. Mbayarum ad septentrionem Paraquariæ

298 Ivi, p. 4 299 Ivi, p. 31. 300 Ivi, p. 27. 301 Ivi, p. 44.

missionarius viam tandem ad Chiquitorum missiones patefacit. Tentatum fuit olim iter hujusmodi per Paraquariæ boream anno videlicet 1715.; at cæsis per barbaros PP. Augustino de Arce, et Bartholomæo Blende, et neöphitorum comitatu dissipate eo magis obstructum est. Anno Dei 1763. eodem consilio, ut nempe facilior redderetur transitus a Chiquitis recta ad Paraguaim, profectus est P. Antonius Guasp, qui oppidum a Jesu Corde curabat, pagum quam posset proxime Paraguaim positurus, trucidatus tamen est a Guaicuruis septem cum neöphitis. Anno denique 1766. frustra tentatis aliis, compactus est 50. leucis ad Bethleem Mbajarum missionis boream pagus a S. Joanne Nepomuceno, Indorum Chanarum missio. Ex colloquio cum his habito expetita via nota, aperta constrata est.

Eodem tempore P. Josephus Jolis Hispanus ejusdem provinciæ socius quatuor mensium itinere a Chiriguanis ad Tobas viam aperit ab hominum memoria interclusam302.

I gesuiti citati in questo brano, José Sánchez Labrador e José Jolís, all’epoca della sua pubblicazione, erano entrambi ancora in vita, e di loro ci occuperemo ancora e più dettagliatamente nella terza parte di questo studio. Per il momento, basterà dire che il secondo era stato missionario a Macapillo, presso Salta, città dell’attuale Argentina posta ai margini del Gran Chaco, da cui fu espulso, con gli altri, nel 1767 per essere esiliato a Ravenna; nel 1789 avrebbe in effetti pubblicato un Saggio sulla storia naturale del Gran Chaco303. Anch’egli esiliato a Ravenna, José Sánchez Labrador fu

espulso dalla missione di Belén de Mbayás, nel Paraguay settentrionale, al di fuori dei confini delle trenta più famose Riduzioni guaranì304. Fra il 1766 e il 1767 affrontò l’esplorazione a cui è fatto cenno nel brano, grazie alla quale riuscì, con l’aiuto degli indios di alcune missioni del Chaco settentrionale, a fondare la nuova missione di San Juan Nepomuceno a poca distanza dalle paludi formate dal fiume Paraguay nel suo corso settentrionale – nell’odierna Bolivia. La constrata a cui si fa cenno non è certo una vera e propria strada di collegamento fra i due insediamenti, a unire le missioni a nord e a sud-est del Chaco; bensì si tratta di un sentiero fra la nuova riduzione e il fiume Paraguay, su cui, navigando, tornò al suo villaggio di Belén, aprendo così la nuova comunicazione di primaria importanza. Infatti, data la necessità di aggirare le impenetrabili paludi del Chaco, normalmente le comunicazioni fra i possedimenti

302 Ivi, pp. 45-46.

303 J. Jolis, Saggio sulla storia naturale del Gran Chaco, e sulle pratiche, e su’ costumi dei Popoli che l’abitano, Faenza (Genestri) 1789.

spagnoli del Perù passavano attraverso le Ande, per la città di Salta, ed erano assai difficoltosi; grazie alla scoperta del passaggio attraverso il fiume Paraguay, avrebbero potuto essere notevolmente agevolati.

Malauguratamente, la nuova scoperta ebbe scarsa efficacia, perché, pochissimi giorni dopo essere tornato a Belén, Sánchez fu prelevato ed espulso con gli altri suoi confratelli della provincia paraguaiana. Tuttavia, lasciò dell’esplorazione un rapporto, destinato ai suoi superiori, che accluse nel suo manoscritto del Paraguay católico305. La notizia di questa impresa potrebbe essere giunta a Sans in diversi modi: attraverso la lettura di un manoscritto di Sánchez; oppure grazie ai resoconti di Jolis, che a partire dal 1775 risiedette a Brisighella, vicino a Faenza, dove avrebbe agevolmente potuto informare Muriel e Sans, già intenti alla composizione dell’opera, della storica impresa di Sánchez; o anche grazie allo stesso rapporto che Sánchez aveva accluso nel suo manoscritto, ma che prima doveva essere noto ai suoi superiori. In ogni caso, la menzione di questa importante scoperta, sembra avere soprattutto lo scopo di alludere al danno che l’espulsione dei gesuiti aveva arrecato al regno spagnolo, perché grazie a loro e attraverso le loro missioni, se fossero potuti restare, si sarebbe aperta una nuova e migliore via di comunicazione attraverso il suo vastissimo impero coloniale.

Nello stesso senso dobbiamo intendere un altro ordine di aggiunte apportate da Sans al testo di Charlevoix, ovvero quando tratta della storia dell’insediamento portoghese della Colonia do Sacramento. Le vicende storiche di questa roccaforte portoghese posta di fronte a Buenos Aires erano del tutto ignorate dal testo di Charlevoix; d’altronde, è comprensibile che fosse così, prima che essa avesse acquisito un’importanza capitale per la storia della Compagnia di Gesù. Così, la troviamo menzionata per la prima volta all’anno 1715, quando tornò per la prima volta in mano portoghese; commentando questo passaggio, Sans riepiloga la storia travagliata di questo insediamento, fondato nel 1680 dai portoghesi, subito conteso dagli spagnoli, che l’assediarono, finché per decisione della S. Sede fu attribuita ai

305 Buona parte del Paraguay católico, che tratta della storia e della situazione delle missioni tenute dai gesuiti nella loro provincia del Paraguay, è conservato a Madrid, nella biblioteca della Real Accademia de la Historia, con la singolare mancanza della parte riguardante le missioni guaranì; RAH 9 2275.

primi. Nel 1705 fu di nuovo occupata dagli spagnoli e restituita successivamente; ma per una controversia sull’interpretazione delle clausole di restituzione, i portoghesi approfittarono per assediare la città spagnola di Montevideo, finché l’intervento di 4000 indios guaranì provenienti dalle Riduzioni non li mise in fuga; duemila di quei guaranì restarono poi a costruire un borgo fortificato sul luogo della battaglia306. In altre voci cronologiche riferite agli anni 1737 e 1762 sono poi seguite varie altre vicende della travagliata storia della Colonia do Sacramento, per molte volte assediata e occupata dagli spagnoli e altrettante restituita ai portoghesi, in seguito a trattati di pace e accomodamenti307. Nonostante nelle altre vicende menzionate non si citi alcun tipo di intervento da parte dei gesuiti o delle missioni paraguaiane, possiamo agevolmente comprendere che la volontà di Sans, e di Muriel, sia di mostrare come l’operato dei gesuiti e degli indios che erano loro affidati fosse stato del tutto a beneficio del regno spagnolo, che avevano addirittura soccorso in guerra da buoni sudditi. Si tratta insomma, pur nella secchezza dei dati non commentati, di un tentativo di ricostruire apologeticamente la storia delle Riduzioni paraguaiane, evidenziandone l’utilità per l’impero coloniale spagnolo.

A maggior ragione possiamo sostenerlo, se notiamo come nelle aggiunte ai Fasti riguardo agli anni successivi al 1744 e all’opera originale di Charlevoix, nonostante tutte queste notizie dettagliate, non si faccia alcun cenno al Trattato di Madrid del 1750 e al conseguente passaggio della Colonia do Sacramento dai portoghesi agli spagnoli, in cambio delle sette riduzioni transuruguaiane. La vicenda è nota: quello scambio di territori fra le due potenze coloniali originò la lunga guerra guaranitica, importante causa remota dell’espulsione dei gesuiti dal Portogallo e dalla Spagna. In effetti, la Colonia do Sacramento non cambiò di sovranità a causa del rifiuto portoghese di tenere fede ai patti e della lunga guerriglia con cui i guaranì impegnarono le truppe spagnole; tuttavia, è singolare l’assenza di ogni menzione di un conflitto così importante e così recente fra le due potenze coloniali, anche se il suo

306 «Lusitani […] ad radices Montis Videi sedem figunt, dum tamen sciunt ex guaranitis missionibus Indos ad quattuor mille discendere, loco cedunt. In derelicto loco duo Indorum millia remanent, per quos arx ædificata est, quæ deinceps accepit incrementum. Quo cum Canarienses familiæ aliquot deductæ fuissent S. Philippi urbs a Montevideo dicta fundatur», Fasti Novi Orbis, cit., p. 42.

unico effetto fu l’effimera occupazione portoghese del territorio al di là del fiume Uruguay, dopo che gli spagnoli ebbero avuto ragione della resistenza indigena. Con ogni probabilità, Sans e Muriel vollero qui evitare ogni riferimento a una vicenda ancora spinosa, che non avrebbe mancato di irritare il governo spagnolo; il ruolo effettivo dei gesuiti durante la rivolta degli indigeni era ancora troppo controverso per poterne fare soltanto la breve sintesi, che il genere stesso del testo richiedeva. In questo caso, sempre nella stessa logica apologetica, si è preferito eludere completamente la difficoltà, tralasciando ogni accenno controproducente, concentrandosi piuttosto sulle notizie che potevano essere date senza ambiguità e senza destare sospetti, e magari rimandando il tema del Trattato di Madrid a una trattazione più ampia, come effettivamente avvenne tre anni dopo, quando proprio Muriel pubblicò la Historia paraguajensis, traduzione e ampliamento della Histoire du Paraguay dello stesso Charlevoix.

Tutto ciò serve a rinforzare la tesi che emerge, implicita, dai Fasti, specialmente dalle aggiunte fatte da Sans e pubblicate da Muriel: il contributo dei gesuiti fu essenziale non soltanto all’ampliamento dell’impero coloniale spagnolo, grazie alle esplorazioni geografiche da essi compiute, ma anche alla sua difesa; di conseguenza, viene destituito di fondamento il provvedimento della loro espulsione308.

La seconda parte del libro, attribuibile interamente a Muriel, contiene, come detto, un breviario, cioè un elenco sintetico di tutte le disposizioni prese dalla S. Sede a riguardo delle Americhe e, più in generale, delle nuove cristianità nate con la spinta coloniale ed esplorativa europea; o per meglio dire, di tutte quella che Muriel aveva potuto raccogliere. Vi si trovano, per esempio, l’erezione di sedi episcopali, la divisione delle aree di influenza spagnola e portoghese, provvedimenti disciplinari sull’abito del clero, come anche i decreti sui riti cinesi e malabaresi, particolari indulgenze elargite alla diocesi di Buenos Aires, o anche la fondazione di università e chiese. Molte delle disposizioni riportate non riguardano affatto la Compagnia di

308 Si tratta di una tesi apologetica diffusa in diversi scritti degli espulsi paraguaiani, ma specialmente esemplare nella

Sinopsis di Miranda, forse scritto nella seconda metà degli anni ‘70, e di cui ci occuperemo con più diffusione nella

Gesù, anche se comprensibilmente vi si trovano persino alcuni provvedimenti presi a favore di alcuni gesuiti particolari, come il passaggio di qualcuno dalla Compagnia all’ordine certosino, ovvero indicazioni a proposito di ex gesuiti; come pure, d’altronde, si trova l’istituzione di devozioni tipiche dell’ordine ignaziano, come quelle di sant’Ignazio, san Francesco Saverio e dell’Immacolata Concezione. In generale, possiamo dire che la raccolta si presenta estremamente variegata, attraverso i suoi 605 titoli; fra essi si alternano, in ordine cronologico, disposizioni ecclesiastiche, civili e politiche, accomunate soltanto dal fatto di emanare dalla Sede romana. La prima menzionata è un breve del papa Martino V, di datazione incerta, con cui veniva concesso a Enrico il Navigatore, e con lui alla corona portoghese, il possesso di tutte le terre che avesse occupato dal capo di Boxador fino all’India309; con l’ultima, datata 10 settembre 1766, la Santa Sede prorogava di venti anni, a partire dal 1768, tutte le facoltà e privilegi concesse alla Compagnia di Gesù nelle terre di missione.

La caratteristica essenziale della raccolta consiste nel fatto stesso di essere proposta; l’intento di Muriel, infatti, sembra essere, neanche troppo segretamente, quello di ribadire il diritto della Sede romana a legiferare, in particolari casi, nelle Americhe. Lo scopo non è dichiarato, ma resta implicito nell’opera, per quanto alcuni indizi siano piuttosto significativi. Così, ad esempio, la rivendicazione del ruolo complementare del diritto regio rispetto alle leggi ecclesiastiche, a cui esso deve dare vigenza effettiva:

Notum est enim quantum conferat juris regii notitia ad ecclesiastici vim declarandam; nam sæpe Rex ejus executionem imperat […]; quod dum contigit, liquidum est, ecclesiasticum jus, cui regium sic suffragatur, propriam sortiri ex expeditam obligandi vim. Ea praescribit quandoque jus regium, ex quibus constare potest vel colligi, aliquam ordinationem apostolicam, postquam prodiit, esse revocatam vel confirmatam, post primam revocationem renovatam, vel post primam

309 Infatti, si giustifica Muriel nel prologo dell’opera, «Accipiuntur Indiæ seu Novus Orbis altissime pro regionibus