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IL RITORNO IN SPAGNA: CASI DI FUGA DALL'ESILIO.

Se anche il tema del ritorno dell’esiliato alla patria lontana e della sua nostalgia è vecchio quanto il mondo, non è frequentato dalla letteratura scientifica sui gesuiti spagnoli espulsi. Quel poco che si trova, è riferito soltanto all’ambigua riammissione del 1798, di cui molti approfittarono, e che peraltro non pochi tralasciarono orgogliosi o scettici85 . Sul periodo precedente, a nostra conoscenza, non è stato pubblicato niente: né crediamo di poter spingere il nostro contributo molto più in là di questa segnalazione.

Tuttavia, nell’Archivio della Real Accademia de la Historia di Madrid, detentore di un fondo di carte gesuitiche la cui vastità rimane ancora molto inesplorata, abbiamo avuto la fortuna di trovare alcune carte che, pur senza dirci molto sul fenomeno generale, possono costituire un buon sondaggio dell’argomento. Naturalmente, non possiamo qualificare in nessun modo il valore scientifico di questa operazione, la cui estrema circostanzialità non lascia inferire conclusioni per la storia generale degli espulsi, ma piuttosto sembra tendere all’aneddotica. Eppure, nell’ambito della demografia storica dei paraguaiani in esilio e a partire dal vuoto

85 Riguardo a questa effimera e contraddittoria riammissione in patria degli espulsi, cfr. Guasti, L'esilio italiano, cit., pp. 93 e sgg.; J. Pradells Nadal, La cuestión de los jesuitas en la época de Godoy: regreso y segunda expulsión de

los jesuitas españoles (1796-1803), in Giménez López (a cura di), Y en el tercero, cit., pp. 531-560; J. Pradells

Nada-I. Fernández Arillaga, El regreso del exilio: la imagen de España en el diario del P. Manuel Luengo (1798-

1801), ivi, pp. 561-586; I. Fernández Arillaga, La persecución de los jesuitas que no juraron la constitución de Bayona, ivi, pp. 587-609.

storiografico che abbiamo segnalato sull’argomento, crediamo non inutile trattare anche di queste vicende, se non altro perché possono aiutare a dare volto a personaggi di cui, altrimenti, percepiremmo soltanto la tipicità; in fondo, anche senza assecondare il paradigma metodologico della microstoria, lo storico – orco di Bloch – subisce la seduzione del vissuto, quando lo trova come cristallizzato in carte, come quelle che vado a presentare dopo questa modesta apologia dello storico.

Dicevamo, che il fondo gesuitico dell’archivio della Real Accademia de la Historia sembra poco esplorato: sarebbe meglio dire che mancano indicazioni di bibliografi ed archivisti che si siano assunti il lavoro improbo di scartabellare quei centosessanta faldoni – più o meno -, molto eterogenei quanto a età, argomento e provenienza; i più furono assemblati in quel fondo dall’ammasso degli archivi gesuitici al momento dell’espulsione del 1767, principalmente nella Provincia di Castiglia. L’apertura di uno di questi legacci può riservare qualche sorpresa, e lo studioso non può esattamente prepararvisi, neanche ascoltando i suggerimenti e le intuizioni del personale dell’archivio, spesso non inutili. Così, può capitare di trovarsi di fronte a processi riguardo ad ex gesuiti che erano rientrati in patria nonostante il divieto.

Sappiamo che il governo spagnolo, dopo l’espulsione, emanò ordinanze piuttosto severe affinché nessuno dei gesuiti esiliati tornasse sul suolo iberico: nonostante le promesse fatte ai primi secolarizzati, fin dalla fase corsa dell’espulsione, nessuno, per nessun motivo fu riammesso a calcare il suolo d’origine 86. Sulla pietà e sulla giustizia, prevaleva il sospetto verso gli ignaziani e i loro fiancheggiatori, ritenendo impossibile la distinzione fra individuo e ordine, fra gerarchia e soggetti; talvolta, il sospetto di qualche funzionario periferico, timoroso che qualche gesuita sotto mentite spoglie si infilasse nel territorio del regno, aveva per conseguenza la cattura di un individuo losco.

86 L'obiettivo del governo spagnolo, fin dall'emissione del decreto di extrañamiento, fu infatti quello di isolare il più possibile gli espulsi e di impedire loro vanamente – ogni contatto con i sudditi del re di Spagna che ancora risiedevano nella madrepatria o nella colonie; in effetti, al centro del provvedimento, c'era il sospetto che tutti i gesuiti, in generale, facessero parte di una congiura ai danni della monarchia spagnola: perciò tutti i membri di questa supposta cospirazione dovevano essere resi inoffesnivi. Cfr. Guasti, Lotta politica e riforme, cit., p. 250.

È quel che accadde a Pamplona il 7 dicembre 1776, quando fu arrestato uno strano personaggio che andava in giro dicendo di essere un gesuita fuggito dall’Italia: dichiarava di chiamarsi Francisco Betancourt. Nella sua cella tuttavia trovarono documenti relativi a don Nicolás Villa, ex gesuita paraguaiano, il quale aveva ottenuto la secolarizzazione fin dal maggio del 1771 ed era stato incardinato come sacerdote nella diocesi di Imola. Indagini successive attestarono, grazie alla testimonianza dello stesso Villa e del console spagnolo a Genova, Juan Cornejo, che quei documenti erano stati rubati al loro legittimo proprietario nella stessa Dominante. Non sappiamo se quel tale Betancourt fosse realmente un gesuita; certo, il furto dei documenti lascia supporre in lui piuttosto un ciarlatano, che potrebbe aver pensato di trarre qualche vantaggio ammantandosi dell’aura nera del gesuita. Se non altro, la sola presunzione della sua condizione di gesuita comportò un dilungamento delle pratiche giudiziarie che lo riguardavano. Simili stratagemmi, da parte di vagabondi senz’arte né parte, non dovevano d’altronde essere infrequenti, se fin dal 1770 giaceva nelle carceri di Toledo un tale José Michilena, che asseriva, senza produrne documentazione, di essere un gesuita del Paraguay87; morì nella sua cella nel luglio del 1775, senza che se ne potesse determinare l’identità, oltre la constatazione dell’assenza del suo nome dalle liste dei gesuiti paraguaiani espulsi nel 176788. Non possiamo sapere nient’altro di quest’uomo, ma forse la sua vicenda ci può dare indizi importanti: prima di tutto, che soltanto il millantare l’identità gesuitica comportava da parte delle autorità il ricorso a una cautela straordinaria, determinata dal sospetto che gli espulsi avessero ancora degli infiltrati nel territorio del regno; in secondo luogo, il tentativo patetico di Michilena, forse nient’altro che un povero vagabondo, ci dice qualcosa su quanto profondamente operasse nella popolazione spagnola il mito del gesuita, specialmente paraguaiano. E’ esagerato supporre che un pover’uomo, vagando per città e villaggi della Spagna, cercasse di farsi forte agli occhi di altri sventurati millantando di venire dal famoso Paraguay dei gesuiti, che aveva tenuto in scacco gli eserciti di Spagna e Portogallo pochi decenni

87 In effetti, il suo nome è assente dal Catálogo di H. Storni.

prima e di cui si favoleggiavano il potere e le ricchezze? Malauguratamente, qualcuno fece la spia all’autorità pubblica, e il poveretto finì i suoi giorni in galera.

Una cella in qualche fortezza militare era infatti il più frequente ospizio che, prima del permesso di tornare del 1798, lo stato spagnolo offriva a chi avesse contravvenuto all’ordine di bando. Così accadde a quell’uomo che, giunto a Barcellona, si presentò al comandante della piazzaforte militare il 18 gennaio 1780, per mettersi al servizio del re nel suo esercito; l’ufficiale, chiedendogli le generalità, venne a sapere di trovarsi di fronte a Sebastian Díaz, ex scolaro gesuita: immediatamente lo fece recludere nella torre “di San Giovanni” della fortezza89; agli ufficiali che lo interrogavano, Díaz diede una spiegazione piuttosto curiosa, che qualcuno ebbe cura di riferire a Madrid per avere istruzioni:

Sebastian Diaz, Nat. de la Villa de los Infantes, Provincia de Toledo, venido de Parma en el transporte que llegó á este Puerto en 14 de los corrientes, á declarado de su motu proprio que dice aver executado igualmente al Comisario de la Corte de Parma al tempo de filiarle[?]; aver sido espulso de este Reyno quando á la edad de 16 anos se hallava ser escolar de la que fue Comp.a de Jesus; y que avendo contraido matrimonio en la Ciudad de Genova con Clara Zoppi, con la que este sujeto residia, y recibia por cuenta del Rey la pencion mensual, pasó á la de Parma en busca de su muger que se ausento, y avendo tenido aviso que aquella se avia venido a España, tomó partido de soldato para el servicio de este Reyno, por ver si podia con este medio encontrar con el tiempo à su esposa; todo lo qual alega, por no incurrir en el R. Desagrado90.

Questa volta abbiamo un vero ex gesuita: Sebastian Díaz, nato il 19 gennaio del 1747 nella regione di Ciudad Real, entrato nella Compagnia nel 1765, nel marzo del 1767 si preparava a raggiungere il Paraguay, quando l’ordine di espulsione lo trovò a Siviglia91; da lì, come gli altri appartenenti alla provincia paraguaiana che si trovavano in madrepatria, fu portato a Cadice, ad aspettare l’arrivo dei confratelli dall’America, e cogli altri si imbarcò per la Corsica dove, come risulta dalle sue dichiarazioni del novembre 1780, prese la decisione di secolarizzarsi e si stabilì a

89 Il fascicolo sul caso di Sebastian Díaz si trova in RAH, leg. 97328. 90 Ivi.

Roma. Questo episodio non trova conferma nel racconto che Peramás fece del viaggio di espulsione; a proposito del passaggio in Corsica, nell’estate del 1768, degli espulsi provenienti dai territori ultramarini, accenna sì ad alcuni soggetti che, fin dalla partenza da Cadice, avevano manifestato scontento, ma fra loro non figura Díaz 92. Questi poi affermava, nella succitata dichiarazione, che fu ad Ajaccio che prese la decisione di lasciare la talare: proprio ad Ajaccio, cittadina da cui effettivamente passarono i paraguaiani per qualche giorno intorno alla metà di luglio del 1768, manca ogni accenno da parte di Peramás a qualsiasi defezione93. D’altronde, la vicenda corrisponde molto bene agli studi che sono stati fatti sul periodo corso dell’espulsione, che vide l’acme delle secolarizzazioni, soprattutto per l’intervento fattivo degli agenti del governo spagnolo, i quali cercarono in tutti i modi di favorirle, anche con la promessa – menzognera – di un prossimo ritorno in patria94. Questi stessi studi confermano che nel biennio 1768-1769 si ebbero alcune secolarizzazioni anche fra gli scolari paraguaiani, in particolare nel 176895. Effettivamente, possiamo anche spiegare il silenzio totale di Peramás con quell’intento apologetico che già cominciava a dare ai suoi scritti e che è stato ben evidenziato dalla bibliografia scientifica che lo riguarda96: troppo contrastava col suo scopo la menzione delle defezioni. Cosicché, sebbene non abbiamo un riscontro documentario all’affermazione di Díaz, possiamo credergli, perché il suo racconto corrisponde alle note vicende di molti fra coloro che cercarono la secolarizzazione, scoraggiati dalle prove che l’espulsione e l’esilio imponevano. Quindi comprendiamo abbastanza chiaramente il motivo del suo viaggio a Roma, dove questa categoria di persone andava a cercare la riduzione allo stato laicale presso la Penitenzieria Apostolica o

92 J. M. Peramás, S.J., Diario del destierro, Córdoba (EDUCC – Editorial de la Universidad Católica de Córdoba) 2004, pp. 151-153.

93 Ivi, pp. 168-172.

94 E. Giménez López – M. Martínez Gomis, La secularización de los jesuitas expulsos (1767-1773), in E. Giménez

López (a cura di), Expulsión y exilio de los jesuitas españoles, Alicante (Publicaciones de la Universidad de Alicante) 1997, pp. 259-303

95 Ivi, pp. 296-302. Pare che dei 72 scolari paraguaiani, soltanto 7 scelsero la secolarizzazione, in tutto il periodo di sopravvivenza istituzionale della Compagnia di Gesù; proporzionalmente, è una delle cifre più basse fra tutte le province dell’Assistenza spagnola.

96 Cfr. E. Giménez López – M. Martínez Gomis, La llegada de los jesuitas expulsos a Italia según los diarios de los

presso la Curia generalizia della Compagnia di Gesù: a questo scopo, ad Ajaccio aveva ricevuto 30 pesos da parte dei commissari reali La Forcada e Coronel. Dopodiché passò cinque anni a Roma, il rifugio dei secolarizzati, che era frequente incontrare nella zona intorno all’ambasciata di Spagna97. Dopo questo periodo, si trasferì per qualche mese a Bologna, infine a Genova, dove si sposò con una certa Clara Zoppi. Alla fine di aprile del 1780 le autorità giudiziarie e il Consejo extraordinario riuscirono a stabilire che effettivamente l’ex scolaro Sebastian Díaz, residente a Genova, risultava presente nella città ligure alla distribuzione del quarto trimestre di pensione del 1779, ma assente alla distribuzione del primo del 1780, il 3 gennaio. In questo periodo deve essere collocato, presumibilmente, l’abbandono da parte della moglie e il suo inseguimento per mezza Italia; finché avuta notizia della sua partenza per la Spagna, ovvero per l’unico paese d’Europa a lui proibito, decise di rientrarvi in qualche maniera. Dunque si imbarcò per la madrepatria, presumibilmente da Genova, speranzoso di ritrovare con un po’ di fortuna sua moglie e arrivato a Barcellona si presentò per arruolarsi nell’esercito, forse perché ormai senza più mezzi per vivere.

Sappiamo che assistenza ricevette dalla sorte: nella torre “di San Giovanni” passò ancora lunghi mesi. Infine, dopo complesse consultazioni e ripensamenti, il Consejo extraordinario prese una risoluzione a suo riguardo, decretando che fosse nuovamente espulso dal regno; cosicché il 30 giugno 1781 il malcapitato fu tratto finalmente dal carcere, accompagnato alla frontiera francese e lì lasciato libero, con una dotazione di 30 pesos perché raggiungesse nuovamente Genova, il più presto possibile. In effetti, dopo più di un anno di lontananza dalla sua città di residenza, e di conseguenza altrettanto tempo senza riscuotere un soldo di pensione, la mancanza di denaro doveva costituire, nelle intenzioni delle autorità spagnole, un sufficiente stimolo a raggiungere l’Italia rapidamente.

In effetti di Díaz non sapremmo altro, se non fosse per la sua situazione economica disastrosa: aver passato quasi due anni lontano da Genova, per di più

senza ricevere un soldo di pensione, aveva riempito la sua casa di debiti. Quindi, non sappiamo a che data, lo troviamo ancora a scrivere al Consejo extraordinario per avere soccorso, dicendo di se stesso:

Que hallandose el Supp.e casado en Genova, con dos hijos, al mismo tiempo oprimido de algunas deudas, se me ausentó mi Muger de Genova; porto que me fue preciso el ir en su seguimiento á Venezia, en donde me dijeron se hallaba; y como no la encontré faltó de consejo, y de dinero, para poder alimentarme; pues el dinero el trimestre del año setenta y nuebe, lo gasté en el viaje que hize, y hallandome en Parma é ignorando las penas en que incuria, el ir á Espana, la misma necesidad me obligó á que sentarse plaza el servizio de mi Soberano; y luego que llegué á Barcelona me delate por Jesuita, y estado preso diez y ocho messes en la R. Torre de la Ciudadela, con el conto pre[ill.] de un R. devellon, y vuelto a mi destino á Genova, y hallandome con la obligacion de satisfaccion a los acreededores y no tener modo de cumplir, portanto:

A V. Ex. supp.ca sentitamente sea de su agrado servirse mandar que del abraso de las pensiones denegadas, que S.M. C. servicio conceder á los individuos de la extincta Comp.a y el tempo que estaba preso ó á lo menos alguna cossa para poder satisfacer mi deudas; pues el Ex.mo Senor D Juan Cornejo, Ministro en Genova de S.R.M.C. en savidor de mi pobreza; Gracia que el supp.e espera ancanzar de su piadoso corazon, por lo que recevire merced98.

La situazione che emerge da questo biglietto, espressa in un curioso grammelot, specie di mistura fra il castigliano e l’italiano, è drammatica: mentre Díaz passava diciotto mesi chiuso in carcere a Barcellona, dopo aver speso tutto il suo patrimonio alla ricerca della moglie, la sua famiglia per vivere fu costretta a coprirsi di debiti, che lui immancabilmente si trovò a dover onorare una volta tornato a Genova. Tuttavia, grazie anche all’appoggio del console spagnolo a Genova, Cornejo, che con una lettera allegata a questo biglietto attestava la sincerità del supplicante, Campomanes accordò, a nome del Consejo extraordinario, di rifondergli la pensione non riscossa per appianare i debiti99.

La strana avventura di Díaz ebbe ancora delle conseguenze nel seno dello stesso Consejo. Incuriosì la situazione di un ex gesuita che, pur continuando a

98 RAH leg. 97328.

riscuotere la pensione da chierico della Compagnia soppressa, aveva completamente abbandonato la sottana e si era addirittura sposato. La discussione generata da questo fatto fece prendere coscienza che buona parte dei secolarizzati sposati si trovavano in uno stato economico simile: le stesse ricerche storiche recenti hanno in effetti provato che il numero dei figli erodeva esponenzialmente la già misera pensione dei secolarizzati, a cui non bastava l’esercizio di un mestiere per compensare la perdita. Cosicché, mentre ancora Díaz giaceva nella sua cella di Barcellona, in una seduta del 28 maggio del 1781, Campomanes espose al Consejo la sua idea di far rientrare i secolarizzati sposati in Spagna: il fatto che avessero messo su famiglia era considerata una garanzia del loro abbandono dello “spirito gesuitico” che tanto preoccupava il governo; per di più, suggeriva il Fiscal, si poteva utilizzare queste famiglie prolifiche per ripopolare le regioni più abbandonate della Spagna, come la Sierra Morena o le isole del Mediterraneo100. Tuttavia quest’idea di Campomanes, ispirata al più tipico popolazionismo settecentesco – e come non ricordare quel che Voltaire scriveva dell’Abbé nel 1765? - dopo aver animato per qualche tempo i dibattiti del Consejo, rimase infine senza attuazione.

Díaz rappresenta un caso particolarmente sfortunato: i sospetti nei suoi confronti lo portarono a vivere, recluso, una situazione di incertezza per molti mesi, per poi trovarsi di nuovo in Italia, peggio di quando era partito. Il caso di Julián Nieto fu per certi versi migliore, poiché il suo tentativo di tornare in patria, sia pure frustrato, non incorse in eccessivi sospetti da parte delle autorità spagnole e, se non altro, la sua vicenda si risolse con maggior rapidità.

Di Nieto sappiamo già qualcosa di più. Nato ad Orgaz nel 1748, divenne gesuita nel 1763 e, dopo il noviziato, fu incorporato nella Provincia del Paraguay, verso il quale si imbarcò; giunto a Montevideo con altri giovani gesuiti il 25 luglio del 1767, ebbe immediatamente coi compagni notificato l’ordine di espulsione. Non fu permesso loro nemmeno di scendere dalla nave: dopo aver passato l’Atlantico, dovettero attraversarlo di nuovo per tornare in Spagna e di lì in Corsica, infine in

Italia101. A differenza di Díaz, perseverò nella Compagnia fino allo scioglimento, risiedendo prima a Faenza, poi a Genova102. Nel corso dei suoi anni a Faenza ebbe anche modo di farsi notare con un libercolo di argomento ecclesiastico103.

Nella notte dell’11 gennaio del 1784 fece ritorno nella sua Orgaz, si presentò alla famiglia e, subito dopo, andò a denunciare la propria presenza all’alcalde. In uno dei giorni successivi scrisse una lettera all’indirizzo del Consejo extraordinario, per supplicare l’autorità di lasciarlo restare nella sua città natale; in essa, dopo aver riassunto molto brevemente la storia del suo esilio, espone con tono patetico le sue ragioni:

Entre todos sus desconsuelos ha estimado por el mayor el que le ha resultado de la noticia que posteriormente hubo de una prolungada y peligrosa enfermendad de su pobre anciana Madre, y sus ansias, y angustias de morir sin ver a su hijo, el esponente, despues de tan larga ausencia; y el desconsuelo incomparabile de quitar su pobre anciano Padre, y tres pequeñas Hermanas en el mayor desemparo: esta humana y natural piedad, y la consideracion de la innata y singular Real benignidad del Rey N.S. le movieron eficazm.te de venir en esta Villa su Patria con el dissimulo, y cautela, que discurriò a fin unico de tener siquiera el consuelo de darsele a [ill.] su Madre, y recibir su altissimo abrazo y bendicion; y juntam.te con la idea de deletarse, y confessar sencillam.te a V. SS. I. esta determinacion y arroso; confido tambien en que por ventura hallaria suavizadas las R. ordenes, y por lo mismo mas facil de conseguirse la tolerancia aun sin exemplar de un individuo de la citada Compania extinguida104.

Nieto era uno dei meglio inseriti fra gli ex gesuiti: aveva preservato la sua identità gesuitica e aveva vissuto peraltro in uno degli ambienti dove questo poteva essere più facile, o meno difficile, la comunità di Faenza, sotto la tutela di quel campione