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LA SOPPRESSIONE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ.

PARTE SECONDA: DOMINGO MURIEL, ULTIMO PROVINCIALE DEL PARAGUAY.

II.7. LA SOPPRESSIONE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ.

Domingo Muriel, in qualità di Provinciale del Paraguay, era consapevole da tempo di quale esito ci si potesse aspettare dalle pressioni che le corti borboniche facevano per l’estinzione della Compagnia di Gesù; e abbiamo visto come, in attesa che la loro politica raggiungesse lo scopo, avesse preparato e fatto diffondere quella

sua Carta, in cui suggeriva ai suoi come far sopravvivere, in qualche modo, l’identità gesuitica alla catastrofe finale dell’estinzione canonica. Non sappiamo se fosse venuto a conoscenza prima di altri dell’emanazione del breve Dominus ac Redemptor, con cui Clemente XIV il 21 luglio 1773 soppresse canonicamente l’ordine ignaziano; certo è possibile, data la sua attenzione a ciò che avveniva a Roma e ai suoi rapporti istituzionali coi vertici della Compagnia. A quel che sappiamo, pochi giorni dopo l’emanazione del Dominus ac Redemptor, il vescovo di Faenza convocò nel suo palazzo tutti gli ignaziani presenti in città, circa trecento, compreso Muriel; in tale occasione, diede lettura del breve, che fu accolto con un silenzio tombale. A quel che ci dice Miranda, Muriel si dimostrò ancora sereno e non pronunciò, né allora né mai, alcuna parola contro il breve o contro il papa che lo aveva emanato241.

Da questo momento, come avvenne per tutti i gesuiti, anche i paraguaiani dovettero abbandonare le case in cui avevano ricostituito una forma di vita comunitaria, e disperdersi in una moltitudine di case private; lo stesso Muriel, cessato ovviamente il suo mandato di Provinciale a causa del venire meno dell’esistenza canonica dell’Ordine, elesse a domicilio una stanza nella casa Fanelli, che aveva sino ad allora svolto le funzioni di curia e di collegio per la Provincia. Da allora, le notizie su di lui si fanno sempre meno numerose e significative, sia perché non ricopriva più alcun ufficio che lo mettesse il luce per le sue azioni, sia perché da allora la sua vita sembra eclissarsi quasi completamente.

Infatti, portò all’estremo la riservatezza che aveva caratterizzato la sua condotta almeno a partire dall’esilio: difficilmente usciva in pubblico, se non per dire la messa e per qualche breve passeggiata. Non possiamo certo dubitare dell’intento penitenziale di questo ritiro, se ebbe persino l’abitudine di chiamare “tomba” la propria camera, tanto che sul suo epitaffio curarono di annotare che visse instar sepulti, quasi come sepolto; e l’informazione acquista ancor più valore per essere stata scolpita sul suo stesso sepolcro. Il ritiro dal mondo come anticipazione della morte, tale fu l’interpretazione che i contemporanei che gli erano più vicini diedero del suo comportamento. Certo, di nuovo, un’interpretazione non originale, perché con

un intento celebrativo evidente e perciò strettamente vincolata dalle categorie agiografiche esistenti, tratte dalle miriadi di santi che vissero in meditazione della morte, ritirandosi dal mondo in una sorta di deserto. Tuttavia, non credo che si debba vedere soltanto una categoria della letteratura agiografica nei documenti che ci descrivono Muriel diafano e infreddolito, chiuso nella sua cella a pregare e studiare, quasi che la sua vita fosse il centone in qualche misura immaginario della vita di qualche santo penitente.

Al di là delle esagerazioni di Miranda e dell’iperbole del suo epitaffio, non abbiamo alcuna ragione di dubitare che Muriel abbia effettivamente condotto una vita estremamente ritirata e quasi misera, a partire dall’estinzione della Compagnia e fino alla sua morte. Innanzitutto perché è in fondo quel che proponeva ai suoi stessi sottoposti come modello di vita, nella famosa Carta del 1773, che abbiamo analizzato: quale maniera migliore per vivere secondo quello spirito e, non secondariamente, dare l’esempio, che chiudersi in una cella monastica in cui menare una vita di estremo rigore? In fondo, era pienamente nelle sue convinzioni personali, per quel che si può ricavare dai suoi scritti, che di fronte alla tragedia dell’annullamento della Compagnia, fosse opportuno intensificare le penitenze, con cui riscattare la resurrezione del Corpo ignaziano. Per cui non c’è niente di incredibile, quando leggiamo da Miranda che non si scaldava d’inverno, non usava coperte per la notte, non si cambiava mai d’abito, sopportando pazientemente persino i morsi dei parassiti sul suo corpo242.

Si può, a partire dalla biografia di Miranda e dall’orazione di Masdeu, farsi un’idea abbastanza precisa di quali fossero le sue abitudini di vita. Solitamente, lasciava la sua stanza soltanto per celebrare di buon mattino la messa quotidiana, a cui era obbligato dalla sua condizione sacerdotale, nel Duomo di Faenza, a breve distanza dal luogo in cui viveva. Ogni giorno faceva inoltre una passeggiata di

242 Pare che si lamentasse sempre di essere tormentato dai pidocchi, ma alla sua morte non ne trovarono traccia sul suo corpo; fatto questo che Miranda, sempre incline alla celebrazione, non esitò ad attribuire a un miracolo. Cfr. Miranda, Vida, cit., p. 415. D’altronde, nella sua volontà di vivere in un’estrema povertà, si racconta anche che Muriel non cambiasse praticamente mai di abito, tanto che per i primi anni riadatto la sua veste da gesuita, trasformandola in un abito talare da sacerdote secolare semplicemente cambiandone la foggia del colletto. Ivi, p. 378.

un’ora, prescrittagli da un medico e dal confessore243. Per il resto, non si muoveva dalla sua stanza, tranne che per frequenti momenti di preghiera in adorazione dell’Eucaristia, verso cui aveva già da tempo mostrato particolare devozione. Tuttavia, questa continua ricerca di mortificazione, che ci viene narrata dai suoi agiografi, non era esente da eccezioni che dovettero dare adito a qualche voce maligna, tanto che Masdeu, nella sua orazione funebre, si sente in dovere di giustificarle in un modo un po’ spericolato, asserendo che erano altrettanti modi di contrastare per umiltà la fama di santità che si era procurato. Così, veniamo a sapere che diceva la sua messa quotidiana in meno di mezzora e tutta a voce talmente bassa da non essere udito da nessuno; un atteggiamento, questo, che provocava l’incomprensione di qualche pia persona e che, sia detto di passaggio, rasentava di fatto il peccato mortale, a parere della letteratura moralistica del tempo. Si era anzi diffusa la diceria, in Faenza, che la sua fosse una “messa da cacciatori”, cioè talmente breve da sembrare fatta da chi ha ben altra premura, che l’elevazione dello spirito. Masdeu ammette inoltre con imbarazzo che, sebbene si recasse più volte al giorno in chiesa, come già detto, per qualche momento di adorazione eucaristica, tuttavia aveva la singolare abitudine di farlo in piedi, e non in ginocchio come d’uso, nonostante non ne avesse alcun impedimento. Infine, quale scandalo per i cittadini faentini, quando videro più volte Muriel andare a sorbirsi il cioccolato in uno dei caffè della città, e per di più scherzarvi allegramente cogli altri avventori! Ma, tranquillizza Masdeu, era soltanto per prescrizione medica che accondiscese a consumare quella dolce bevanda e, dacché doveva farlo, per umiltà lo fece allegramente, come Gesù Cristo alle nozze di Cana244.

Senza voler sminuire il profumo di santità che emana dalla vita di Muriel, per come ci è tramandata da Miranda e Masdeu, possiamo però prendere spunto da questi episodi per ipotizzare che, in effetti, la povertà materiale della sua vita abbia senz’altro aiutato Muriel a percorrere la via della mortificazione. Peraltro, via via che passavano gli anni dopo la soppressione della Compagnia, la vita degli ex gesuiti in esilio conosceva generalmente sempre maggiori ristrettezze, a causa dell’erosione del

243 Masdeu, In morte, cit., p. 70. 244 Masdeu, In morte, cit., pp. 87-89.

valore reale della moneta spagnola, che rese le pensioni che lo stato spagnolo erogava loro, a partire dagli anni 1780, di fatto insufficienti a vivere decentemente245. Nella povertà, dunque, la vita di Muriel non si distingueva materialmente da quella di molti altri suoi compagni nella sventura. Allo stesso modo, insieme a molti altri a Faenza, lo vediamo ricevere dei socorros extraordinarios, i sussidi che il governo elargiva a quelli che, fra gli ex gesuiti, avevano dato prova di lealtà verso il re di Spagna; tali sussidi divennero presto una diffusa quanto necessaria fonte di sostentamento per la maggior parte di loro, tanto che la loro distribuzione, cogli anni, fu di fatto generalizzata246. Così, setacciando i rendiconti degli ufficiali ispanici di Bologna, veniamo a sapere che Muriel ricevette un soccorso di ben 10 scudi pontifici nel 1787, e 15 nel 1789 e nel 1794, pari a quasi un raddoppio della pensione ordinaria di 275 reali spagnoli; invece, nel 1786 non ricevette nessun sussidio247. Forse, l’episodio della cioccolata in tazza è da riferirsi a questi ultimi anni della sua vita, quando ebbe a disposizione qualche soldo in più per potersi permettere anche qualche piccola spesa non necessaria.

Ovviamente, per mancanza di fonti, non sappiamo se ebbe accesso già prima del 1787 al socorro, ma notiamo che nel 1786, quando pare che non lo abbia ricevuto, c’erano invece molti suoi confratelli, a Faenza, che ne godevano; quindi, sia che abbia cominciato a riscuoterlo nel 1787, sia che ne avesse parte già prima, con una sospensione nel 1786, è probabile che Muriel, nonostante la sua vita ritirata e penitente gli potesse dare un’aria quanto mai mansueta, non sembrasse brillare per il suo patriottismo agli occhi del governo spagnolo, sebbene non passasse neanche per un arrabbiato contro di esso per l’esilio. Semplicemente, come non entrò mai nel merito del Dominus ac Redemptor, così, ci assicura Miranda, non fu mai udito da parte sua nulla che potesse suonare come una critica nei confronti del suo Paese248.

245 Oltre all'inflazione, a pesare sul potere d'acquisto delle pensioni attribuite agli espulsi fu anche una pesante erosione del loro valore reale nello Stato della Chiesa a causa del cattivo intrinseco delle monete spagnole rispetto a quelle papaline. Cfr. Guasti, L'esilio italiano, cit., pp. 17 e sgg.

246 Cfr. Guasti, ibidem, pp. 396 e sgg..

247 Madrid, Archivo Historico Nacional, Clero – Jesuitas, 224\6. Curiosamente, negli elenchi dei pagatori della pensione reale, Muriel è indicato come appartenente alla provincia gesuitica di Andalusia, nonostante fosse stato addirittura Provinciale del Paraguay. Benché sia difficile comprendere quale sia il motivo di questo errore, dobbiamo notare quanto meno la sua costanza negli anni.

Certamente, gli spagnoli avrebbero avuto ragione di tenere d’occhio Muriel, che sembra essere stato un punto di riferimento importante per gli ex gesuiti residenti a Faenza, negli anni successivi alla soppressione quasi quanto durante il suo breve provincialato. Nonostante la sua tendenza ad isolarsi, durante le sue solitarie passeggiate quotidiane, incontrava spesso suoi ex confratelli, che lo cercavano per richiederne il consiglio. Per esempio, due fratelli, ex gesuiti italiani, i pp. Agostino e Giovanni Natale Magnani di Bologna che, l’uno nel 1780 e l’altro nel 1782, giunsero a Faenza per chiedere consiglio a Muriel sull’opportunità di raggiungere quel che restava della Compagnia in Russia; a consigliare i due a rivolgersi a Muriel era stato un ex gesuita castigliano, residente a Reggio nell’Emilia, il p. Francisco Xavier Perotes, che era già in contatto con Muriel. Questi consigliò ad entrambi di affrontare il viaggio e raggiungere la Russia Bianca249. Questo episodio ci suscita alcune considerazioni. Innanzitutto, che la fama di Muriel, del “provinciale santo”, si era allargata ben oltre la cerchia ristretta delle persone che frequentava quotidianamente, persino al di là della Romagna, principale zona di residenza dei suoi ex sottoposti. In secondo luogo, che lo si ritenesse in grado di poter dare consigli su faccende così delicate, come la Compagnia in Russia; in altre parole, Muriel era evidentemente considerato un punto di riferimento per molti che si riconoscevano nell’ala più intransigente dell’estinta Compagnia.

Ma se arriviamo a domandarci quale potesse essere il contenuto del colloquio coi fratelli Magnani, potremmo concludere che le autorità ispaniche avrebbero avuto di che preoccuparsi. Miranda, infatti, lascia intendere che i due religiosi avrebbero chiesto se fosse canonisticamente corretto, per loro, raggiungere i gesuiti della Provincia russa, che di fatto rifiutavano di accettare l’ordine espresso di Clemente XIV di sciogliersi come corpo; insomma, in ballo ci sarebbe stato il contrasto fra il

249 Ivi, pp. 446-447. I fratelli Magnani furono fra i primi a partire dall’Italia alla volta di ciò che restava della Compagnia nella Russia Bianca; in particolare, Agostino fu probabilmente il primo gesuita italiano a raggiungere i confratelli della provincia russa. Questo primato, non fa che confermare la centralità di Muriel nella configurazione delle strategie di sopravvivenza dell’intera ex Compagnia, che cominciavano allora a delinearsi per i decenni venturi. In seguito, i fratelli Magnani, entrati nella Compagnia nella provincia veneta negli anni 1750, assunsero ruoli di rilievo nel sistema scolastico messo in piedi dalla provincia russa, arrivando Giovanni Natale fino ad insegnare nella prestigiosa Accademia di Połock. Cfr. M. Inglot, La Compagnia di gesù nell’Impero Russo (1772-

1820) e la sua parte nella restaurazione generale della Compagnia, Roma (Editrice Pontificia Università

voto di obbedienza e l’intima e generalizzata ribellione nei confronti di un provvedimento percepito come ingiusto e indebito.

Muriel, fra le altre cose, aveva fama di ottimo canonista; tuttavia, non era certo l’unico a poter rispondere, tanto più che i due sembrano essersi rivolti prima ad un appartenente all’ex Provincia di Castiglia. Miranda, da parte sua, dà la risposta divenuta classica, quella che metteva a posto la coscienza a molti dei gesuiti russi, prima del Catholicæ fidei(1801) che definiva la loro esistenza canonica250; sarebbe a dire, che non c’era motivo di scrupoli di coscienza, dal momento che era noto che Roma sapeva della resistenza di quella parte della Compagnia, e non aveva mai fatto niente ufficialmente per stroncarla o eliminarla. Un ragionamento così, non richiedeva certamente di andare a Faenza, tanto più che a Bologna avrebbero trovato agevolmente fior di canonisti per sciogliere i loro dubbi; e, va aggiunto, anche molti intransigenti che avrebbero saputo motivarli benissimo. Inoltre, se anche il primo ne avesse avuto bisogno, il secondo ne avrebbe potuto fare a meno. Viene insomma il sospetto che i due si siano a rivolti a Muriel per avere un altro tipo di consigli. Egli infatti era direttamente in contatto con i confratelli della Russia, cercava addirittura di favorirli in qualche modo251: possiamo dunque supporre che i fratelli Magnani siano andati a Faenza a cercare un supporto organizzativo, per esempio una lettera di raccomandazione, oppure di essere messi in contatto con coloro che volevano raggiungere, o altro del genere.

Abbiamo detto che Muriel fece dono di alcuni libri di valore ai suoi confratelli in Russia; effettivamente, questo tipo di generosità costituì per lui un’importante occasione di spendere i pochi soldi della pensione reale; Masdeu mette infatti in rilievo il fatto che egli, austero fino all’indigenza nella sua vita privata, non risparmiasse affatto denaro per stampare i suoi libri, e donarli in giro, insieme a molta altra “buona stampa”252. Del contenuto dei libri che pubblicò fra il 1773 e la morte,

250 I gesuiti della Russia Bianca asserivano l'esistenza di una lettera segreta di Clemente XIV che acconsentiva allo

status quo creatosi in seguito al rifiuto dell'imperatrice Caterina II di far applicare la Dominus ac Redemptor nei suoi

domini; di questa lettera non c'è traccia, anche se per loro sufficiente prova dell'acquiescenza romana era, appunto, il silenzio sulla sopravvivenza di questa parte della Compagnia di Gesù. Nel 1783, poi, Pio VI approvò vivae vocis

oraculo l'esistenza della Compagnia in Russia. Cfr. Inglot, ibidem, pp. 59 e sgg.; pp. 127 e sgg..

251 Per esempio, donò loro l’intera collezione degli Acta Sanctorum dei bollandisti. Ivi, p. 393-394. 252 Masdeu, In morte, cit., p. 79.

tratteremo poi; intanto consideriamo il fatto che li utilizzasse per fini caritativi. Per esempio, il denaro ricavato con le vendite del suo volume di maggior successo, i Fasti Novi Orbis, lo utilizzò per dare soccorso ai gesuiti portoghesi, che non ricevevano alcun tipo di soccorso o pensione dal loro Paese. Allo stesso modo, donò alcune copie della sua Historia Paraguajensis a un suo confratello tedesco, che le diffondesse Oltralpe253.

La diffusione di “buoni libri”, di scritti, cioè, in cui fosse difesa e propugnata la dottrina cattolica, ricorda molto l’attività della cosiddetta Pia Associazione. Essa prese avvio su iniziativa del p. Diessbach, a Torino, e aveva il fine di costituire una rete di biblioteche di letteratura apologetica, i cui volumi dovevano essere distribuiti gratuitamente o a poco prezzo in tutta Europa, specialmente fra i giovani. Alla fine degli anni 1770 la rete della Pia Associazione si era stesa su molte città italiane, poggiando soprattutto sui simpatizzanti facoltosi della soppressa Compagnia di Gesù; suo agente a Faenza era lo stampatore vescovile Archi, presso cui Muriel aveva già stampato la sua Práctica254. Si può dunque immaginare facilmente, che la generosità di Muriel nel fare dono di “buoni libri”, suoi o di altri autori, al di là della lettura agiografica che ce ne è stata tramandata dai suoi biografi, debba essere inserita in una logica più ampia e generale.

Sembra infatti fare parte dell’attività di quel particolare ambiente intransigente che, formato soprattutto da “devoti”, cominciò ad attivarsi negli anni 1770 per contrastare fattivamente le derive secolarizzanti che si ravvisavano nella società dell’epoca. E’ significativo che, sulla falsariga dell’esperienza della Pia Associazione, che non aveva dato tutti i risultati sperati, lo stesso Diessbach fondò sempre a Torino, nel 1779, la Amitié Chrétienne, sorta di società segreta di indirizzo reazionario, che riuscì a stabilire una rete in tutta Italia, attiva soprattutto negli anni fra la Rivoluzione

253 Miranda, Vida, cit., pp. 393-394.

254 Anche altri ex paraguaiani negli anni si rivolsero ad Archi per stampare le loro opere; ovvero lo stesso B. Masdeu,

Ragguaglio d'una grazia operata ultimamente da S. Luigi Gonzaga nel Seminario di Faenza, 1791; J. Nieto, Opusculum de pietate, ac religione in sacro peragendo necessariis, ac de tempore, quod illi impendi debet, 1776; J.

M. Peramás, De invento novo orbe, 1777; Idem, De vita et moribus sex sacerdotum paraguaycorum, 1791; Idem,

De vita et moribus tredecim virorum paraguaycorum, 1793; J. Sans, Qui fidei hostes?, 1792. Si noti, per inciso, il

carattere intransigente di alcune di queste opere, specialmente delle ultime due di Peramás, di cui ci occupiamo

e la Restaurazione255. Anche in questo aspetto della vita spirituale di Muriel possiamo quindi cogliere un intento generalmente politico.

D’altra parte Muriel non era certamente isolato, ma anzi al centro di una rete di relazioni che, abbiamo visto, si estendeva per una parte considerevole della diaspora degli ex gesuiti iberici, ma che arrivava a volte fin dove si trovava ad essere l’ala più “dura” dell’estinta Compagnia.

Si rese sempre più caro a quegli stessi suoi Religiosi; talmente che avrebbono voluto tutti, ed uno particolarmente de’ più rispettabili, stare sempre con lui. E con lui di fatto soggiornarono sino alla preziosa sua morte due di loro, senza che lo scioglimento de’ più sacri vincoli, seguito coll’abolizione della Compagnia, valesse a scioglierne l’attaccamento: anzi annoverando essi tra le più belle sorti questa, che ad altri non poté toccare, per l’intima fattasi agli Ex-gesuiti Spagnoli, da Domenico esattamente adempita, di non poter convivere più di tre. Quindi tutti que’ benemeriti Soggetti della sua Provincia non solamente mentre sussisté la Religione, ma anche dopo pendevano dalle labbra di lui. E per molto, ch’egli, tosto che fu abolita, si ritirasse da loro premurosamente, e gelosamente si nascondesse per mostrar col fatto la sua perfetta ubbidienza, e che non riconoscevasi, né trattavasi più qual Superiore, ma qual Privato; essi tuttavolta, per l’amore e per la stima, che ne conservavano, anche allora a lui ricorrevano, lui consultavano, per lui si dirigevano, con lui si confortavano, ed in lui si univano con istretto vincolo di carità, senza sapersi dividere da