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I tre fattori indipendenti della morale

Nel novembre del 1930 Dewey viene invitato all’Università di Parigi, per il conferimento del titolo di “Dottore della Sorbonne” honoris causa. In quell’occasione pronuncia, in inglese, un discorso che viene però pubblicato in traduzione francese nel

«Bulletin de la société française de philosophie» con il titolo di Trois facteurs indépendants en matière de morale. Verrà pubblicato in inglese soltanto nel 1966 (Three Indipendent Factors in Morals, «Educational Theory», n. 16, Luglio 1966, pp.

198-209). I tre fattori cui si fa riferimento nel titolo sono: la moralità dei fini, che ruota intorno al concetto di “beni”, gerarchicamente ordinati; quella della legge e del diritto, relativa ai rapporti interpersonali e legata al concetto di obbligo, di dovere; quella dell’approvazione o della condanna sociali, connessa al costume e ai concetti di virtù e di vizio. Dewey individua in questo modo tre piani distinti dell’analisi della morale:

quello psicologico, relativo al singolo e che rimanda genericamente all’utilitarismo;

112 «Boas and other anthropologists, including Ruth Benedict at Columbia, helped guide Dewey’s thinking further toward the cultural anthropology that was to be such an important feature of his later

quello sociale e razionale, che può essere riferito, anche se con qualche distinguo, a Kant, e quello culturale, che assume una centralità sempre maggiore nella riflessione di Dewey. Tra i tre fattori sono possibili (e anzi si verificano abitualmente) conflitti, che Dewey esamina. Ciò che è desiderato (il bene) può essere proibito (il diritto) e ciò che è proibito dalla legge può essere approvato socialmente (il costume).

Dewey dichiara in apertura la necessità di superare il punto di vista ingenuo secondo cui

«l’attore morale conosce il bene come bene e il male come male e sceglie l’uno o l’altro in base alla conoscenza che ha di essi» (Dewey 1930c: 279). Da un lato, infatti, il soggetto è molto più articolato di quanto questa visione suggerisca e deve fare i conti con una serie di fattori inconsci che ne influenzano il comportamento; dall’altro lato, le situazioni che si trova ad affrontare si presentano spesso come problemi che occorre analizzare prima di poter decidere che cosa in esse e rispetto ad esse sia “bene” e

“male”. «Più il soggetto è cosciente e più è attento alla qualità morale del suo atto, più è consapevole della difficoltà del problema di individuare ciò che è buono; egli esita tra fini, tutti buoni in qualche misura, tra doveri che lo obbligano per qualche ragione».

(Ibidem)

Tra i tre fattori ricordati sopra, quelli di gran lunga prevalenti nella storia della filosofia sono i primi due, riferibili rispettivamente a una morale dei fini e a una morale delle leggi o, in termini ancor più schematici, al buono e al giusto. Dewey ne ricostruisce brevemente la storia, ripercorrendone le diverse accezioni. In particolare, il bene è sottolineato dai Greci e dall’utilitarismo, il diritto dallo stoicismo (in particolare quello romano) e da Kant.

Il terzo fattore è stato meno sottolineato in passato ed ha una valenza specificatamente antropologica. Alla scienza della cultura Dewey si era già avvicinato, come abbiamo visto, fin dal suo trasferimento alla Columbia University, nel 1904, e dall’inizio del rapporto con Boas, ma la vera svolta in questa direzione avviene con il lungo soggiorno (1919-1921) in Giappone e soprattutto in Cina, dove era stato invitato da alcuni suoi allievi cinesi, che dopo gli studi negli USA erano tornati in patria e che speravano nel suo contributo per accompagnare il processo di liberalizzazione che stava iniziando nel

philosophy».

Paese.

Le molte Lectures che tiene nelle università cinesi, in particolare a Pechino e a Nanchino, tra il 1919 e il 1920 sono state pubblicate solo nel 1973113 e affrontano temi politici, pedagogici e etici. L’influenza di Dewey sulla filosofia cinese, scrive Dykhuizen, non è stata molto ampia, perché la tradizione filosofica cinese è stata sempre molto lontana da una prospettiva pragmatistica o strumentalistica, ma egli lasciò un segno durevole sul sistema educativo e anche sulla mentalità, almeno in alcuni ceti intellettuali. A sostegno di questa tesi, Dykhuizen cita le parole di un insegnante cinese che, dopo l’instaurazione del regime comunista nel 1949, diceva: «Se vogliamo criticare le vecchie teorie sull’educazione, dobbiamo cominciare con Dewey. Le idee educative di Dewey hanno dominato e controllato l’educazione cinese per trent’anni, e la sua filosofia sociale, così come la sua filosofia complessiva, hanno anch’esse influenzato una parte del popolo cinese»114.

Non approfondiremo l’influenza di Dewey sulla Cina perché per la nostra analisi è importante piuttosto l’influenza della Cina su Dewey. L’impatto con il mondo orientale, e in particolare con quello cinese, cioè con visioni del mondo e mentalità molto diverse da quelle del mondo statunitense e occidentale in genere, accentua l’interesse di Dewey per le dinamiche culturali. Il titolo di alcune conferenze è a tale proposito indicativo:

“Chinese National Sentiment”, “Is China a Nation?”, “Transforming the Mind of China”, “New Culture in China”. Scrive ancora Dykhuizen:

«Per quanto riguarda la testimonianza dell’influenza della Cina su Dewey, la testimonianza è chiara. Il suo soggiorno in questo Paese, scrive, fu “la cosa più interessante e intellettualmente la più vantaggiosa che mai abbia fatto”. “È stata un’esperienza di valore”, spiega, “non tanto per cose specificatamente imparate quanto per la nuova prospettiva e per il nuovo orizzonte in generale. Nessuno sguardo dall’Occidente può essere considerato la stessa cosa, e si può quasi

113 Robert Clopton and Tsuin-chen Ou, eds., John Dewey: Lectures in China, 1919-1920, Honolulu, University of Hawaii Press, 1973.

sperare in un ritorno di gioventù in questo mondo”. In un saggio su suo padre, Jane Dewey unì le due esperienze: “Qualunque sia stata l’influenza di Dewey sulla Cina, è indubbio che essa ne ebbe una profonda e durevole su di lui. Gli lasciò sentimenti di affetto e di ammirazione non solo per i suoi allievi ai quali fu molto vicino, ma per il popolo cinese nel suo insieme. La Cina rimase il Paese più vicino al suo cuore subito dopo il proprio. Il passaggio dagli Stati Uniti a un ambiente con la più antica cultura del mondo che lottava per adeguarsi a nuove condizioni era tanto grande da produrre una rinascita di entusiasmo intellettuale.

Ciò costituì una prova vivente del valore dell’educazione sociale come strumento di progresso” (J. Dewey, 1939: 42)»115. (Dykhuizen, 1973: 205) Del suo soggiorno nell’Estremo oriente Dewey ha lasciato un’approfondita testimonianza mediante le Lettere dalla Cina e dal Giappone, scritte alla moglie Alice che ne ha curato la pubblicazione116. In queste lettere sono numerose le osservazioni sui costumi, sulle tradizioni, sulla mentalità, in una parola sui diversi aspetti della cultura.

Tornando al breve scritto del 1930 e al terzo fattore della morale, esso consiste nell’approvazione o nella disapprovazione, nell’incoraggiamento o nella condanna da parte del gruppo del comportamento dei singoli membri. «Gli atti e le disposizioni generalmente approvati costituiscono le virtù fondamentali; quelli condannati, i vizi fondamentali». (Dewey, 1930c: 286). Resta da chiarire da che cosa dipendano l’appro-vazione o la condanna. Dewey sembra propendere per la tesi di Hume e dei moralisti

114 «If we want to criticize the old theories of education, we must begin with Dewey. The educational ideas of Dewey have dominated and controlled Chinese education for thirty years, and his social philosophy and his general philosophy have also influenced a part of the Chinese people»

115 «As for China’s effect on Dewey, the record is clear. His stay in that country, he wrote, was the

“most interesting and intellectually the most profitable thing I’ve ever done.” “It has been a worth while experience,” he explained, “not so much for things specifically learned as for the entirely new perspective and horizon in general. Nothing western looks quite the same any more, and this is as near to a renewal of youth as can be hoped for in this world.” In an essay on her father, Jane Dewey summed up the experience: “Whatever the influence of Dewey upon China, his stay there had a deep and enduring influence upon him. He left feeling affection and admiration not only for the scholars with whom he had been intimately associated but for the Chinese people as a whole. China remains the country nearest his heart after his own. The change from the United States to an environment of the oldest culture in the world struggling to adjust itself to new conditions was so great as to act as a rebirth of intellectual enthusiasm. It provided a living proof of the value of social education as a means of progress».

del Settecento, che consideravano tali reazioni come naturali e spontanee, come il fondamento della morale, che come tale non richiedeva – né consentiva – una spiegazione ulteriore.

Dewey riprende e sottolinea il contrasto tra i tre livelli, che restano largamente indipendenti anche se in vario modo connessi. Spesso la morale ufficiale fa riferimento al dovere, mentre quella tollerata o praticata concretamente è relativa al buono o al piacevole, oppure si seguono norme comportamentali che derivano dalla tradizione senza poterle giustificare razionalmente.

La conclusione cui perviene Dewey è in realtà problematica: questi diversi aspetti disegnano una complessità della morale che spesso le filosofie hanno cercato di semplificare, affermando la preminenza di uno soltanto dei fattori ricordati. Occorre rinunciare invece all’idea che esista una soluzione corretta per ogni circostanza e porre attenzione ai concreti elementi che compongono la situazione in cui ci troviamo ad agire (contestualismo). I princìpi generali possono aiutarci a comprendere meglio la situazione specifica, ma ogni caso particolare richiede un atteggiamento di ricerca e di indagine per individuare il comportamento migliore.