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Rileggere Esperienza e natura

forma l’identità personale, che non è una condizione data alla nascita, ma il risultato di un processo articolato. Tale processo è di natura essenzialmente sociale e culturale. I valori morali preesistono all’individuo, che li interiorizza e può poi, nella migliore delle ipotesi, confrontarsi con essi e interrogarsi sulla loro validità, ma a partire da essi, che ne costituiscono ciò che chiamiamo “coscienza”.

È possibile una sintesi tra il migliorismo, che presuppone un ruolo attivo degli individui per cambiare se stessi e la società, e la dimensione culturale della personalità, per cui ogni individuo è formato dai valori e dalle norme della comunità di cui è membro?

Dewey la indica nelle pagine conclusive: cambiare la società per cambiare gli individui e viceversa, in un processo che vede l’ambiente sociale e i singoli individui come momenti di un unico processo.

«Ma quando il sé è percepito come un processo attivo, anche i cambiamenti sociali sono visti come gli unici mezzi per modificare la personalità. Le istituzioni sono considerate per i loro effetti educativi, per i tipi di individui che allevano. L’interesse per il miglioramento sociale del singolo e l’interesse sociale per una riforma obiettiva delle condizioni economiche e politiche coincidono, l’indagine sul significato degli ordinamenti sociali prende senso.

Siamo condotti a chiederci quale sia il particolare potere di stimolare, crescere e accudire di ciascun ordinamento. La vecchia separazione tra politica e morale viene abolita alla radice.» (1920, it.: 164)

Si tratta di un passo molto importante. È alla base sia della prospettiva antropologica di Dewey, sia della sua concezione pedagogica e sociale. E, come conseguenza, spiega anche perché l’impegno sociale debba essere considerato una questione prioritaria dall’individuo.

nelle pagine iniziali di questo lavoro. Nella prima, Dewey sottolinea e spiega il significato particolare che aveva inteso dare, in quest’opera, al termine “esperienza”:

«Quando il testo fu terminato una delle caratteristiche peculiari era l’uso che in esso si faceva del termine “esperienza”; si parlava di “esperienza” del mondo naturale nel senso più pregnante; il termine era usato per indicare ogni effettivo e ogni possibile modo in cui l’uomo, egli stesso parte della natura, entrava in rapporto con ogni altro aspetto della natura, inclusi gli inganni, gli errori e le fantasticherie, così come le sue arti più utili e raffinate; le sue scoperte e invenzioni; le sue conoscenze controllate e accettate. “Esperienza” è un termine usato per indicare, in maniera sommaria, l’insieme di tutto ciò che è tipicamente umano»146. (LW 1: 331)

Questo uso del termine contrasta ovviamente con il significato più circoscritto che di solito si attribuisce ad esso e ciò spiega l’affermazione di Dewey di preferirgli

“cultura”.

D’altra parte, in Esperienza e natura l’approccio antropologico è considerato già centrale. Dopo aver discusso il concetto di cultura sottolineandone l’importanza, Dewey afferma:

«Non voglio dire che la filosofia debba essere risolta in una visione antro-pologica della cultura. Ma in un diverso contesto essa ha il compito della scom-posizione analitica e della ricostruzione sintetica dell’esperienza; i fenomeni del-la cultura così come vengono presentati dall’antropologo, forniscono pertanto un materiale prezioso che favorisce la realizzazione di questo compito e interessa più da vicino lo scopo della ricerca filosofica che non il materiale fornito da una psicologia isolata da una teoria della cultura.» (Dewey 1925, it.: 48)

146 «When the text was written one of the features that distinguished it was its use of experience”;

“experience” was asserted to be of the natural world in the most pregnant sense; it was employed to stand for every actual and every possible way in which man, himself a part of nature, has dealings with all other aspects and phases of nature, including man’s delusions, errors and daydreams, as well as his useful and fine arts; his discoveries and inventions; his tested and approved knowings. “Experience” is a word used to designate, in a summary fashion, the complex of all which is distinctively human».

Ma consideriamo più in dettaglio Esperienza e natura, per verificare i punti di contatto con una prospettiva antropologico-culturale. L’opera analizza il rapporto tra l’uomo e la natura, con un approccio che si richiama da un lato all’evoluzionismo darwiniano e spenceriano, dall’altra a Hegel e in particolare alla nozione di “spirito”147. Dewey sottolinea lo stretto legame tra la storia dell’umanità e la natura. Il problema principale che l’uomo si è trovato ad affrontare è la presenza, nel mondo naturale, di irregolarità, di imprevisti che si traducevano in pericoli e minacce, e di regolarità, come il ciclo delle stagioni o delle età della vita. L’uomo ha cercato di porre ordine nelle prime e di privilegiare le seconde, per costruire un mondo stabile e rassicurante, valorizzando quindi ciò che non muta e ciò che è definibile in modo univoco, come gli elementi quantitativi. In questo modo, ha potuto adattare la natura ai propri fini, ma al tempo stesso anche la mente umana ha sviluppato le potenzialità e le caratteristiche corrispondenti a tali aspetti. Quindi, plasmando la realtà ha plasmato contemporanea-mente se stesso e tra la natura e la contemporanea-mente si è stabilita una sintonia perché l’una ha modellato l’altra e si è modellata sull’altra.

Questo spiega, secondo Dewey, la consonanza tra la nostra mente e la realtà, e quindi la possibilità di comprendere la realtà stessa, anche se nulla può garantire in ultima istanza l’oggettività della conoscenza. Noi comprendiamo la natura e le sue leggi perché la nostra mente si è modellata nel processo di interazione con la natura, assimilandone le caratteristiche.

Questo concetto, che è uno di quelli centrali nell’opera, è espresso da Dewey con una bella similitudine:

«Nella vecchia disputa se un cervo corre perché ha le gambe lunghe e snelle o se ha le gambe lunghe e snelle per poter correre, entrambe le parti trascurano il lato naturale e descrittivo: cioè che fa parte della natura di ciò che accade nel mondo che il cervo abbia le gambe lunghe e che avendole corra». (Dewey 1925, it.: 203) Allo stesso modo, la distinzione tra mente e natura con il successivo tentativo di spiegare le regolarità della

147 Uno dei più convinti assertori della fecondità dell’apporto congiunto dello storicismo hegeliano e dell’evoluzionismo darwiniano nella filosofia di Dewey, è Richard Rorty. Cfr. tra gli altri Dewey tra Hegel e Darwin, in Rorty 1998.

mente a partire dalla natura (materialismo) oppure quelle della natura a partire dalla mente (idealismo) è erronea, perché separa gli elementi di un processo unitario. Dewey chiarisce questo concetto subito dopo: «Il mondo è il contenuto oggettivo della conoscenza, perché la mente si è sviluppata nel mondo; una realtà corporeo-mentale, le cui strutture si sono sviluppate secondo le strutture del mondo nel quale essa esiste, troverà naturalmente alcune delle sue strutture conformi e congeniali con la natura e alcune fasi della natura conformi e congeniali con se stessa.» (Dewey 1925, it.: 203-4) Dewey definisce la propria concezione “naturalismo empirico” o “empirismo natura-listico”, sottolineando con queste espressioni la profonda dialettica sussistente tra uomo e natura. Essi sono polarità dello stesso processo, poiché la natura è ordinata e trasformata dall’uomo e l’uomo si è formato, storicamente, mediante il processo di interazione con la natura.

Lo stesso rapporto dialettico che esiste tra uomo e natura sussiste tra l’individuo e gli altri uomini. La ricostruzione e l’analisi di questo processo è uno dei temi principali di Esperienza e natura.

Fin dalle prime pagine, nel richiamarsi al metodo empirico, Dewey propone una definizione molto ampia di “esperienza”, che

comprende ciò che gli uomini fanno e soffrono, ciò che ricercano, amano, credono e sopportano, e anche il modo in cui gli uomini agiscono e subiscono l’azione esterna, i modi in cui essi operano e soffrono, desiderano e godono, vedono, credono, immaginano, cioè i processi dell’esperire. La parola

“esperienza” denota il lavoro del campo, la semina, il raccolto e la mietitura, i cambiamenti del giorno e della notte, la primavera e l’autunno, l’umidità e l’arsura, il caldo e il freddo, in quanto vengono osservati, temuti, desiderati;

denota anche colui che pianta e raccoglie, che lavora e gioisce, spera, teme, fa progetti, ricorre alla magia o alla chimica per aiuto, che subisce disastri o passa giorni fortunati. È una parola “a due facciate” in quanto nella sua primaria integrità non riconosce alcuna divisione tra atto e materiale, soggetto e oggetto, ma li contiene entrambi in una totalità non analizzata. (Dewey 1925, it.: 26-7) Si notino i diversi piani della definizione: l’esperienza è la conoscenza dell’ambiente

ma anche le attività in esso svolte; si riferisce all’osservazione, ma anche alle reazioni del soggetto che osserva. L’esperienza è un insieme unitario, in cui si fondono il mondo delle cose e l’attività del soggetto, senza che i due termini siano più separabili, se non a scopo euristico.

Dewey ha superato ormai completamente la prospettiva idealistica e non dubita, ovviamente, dell’esistenza di una realtà oggettiva, separata dal soggetto conoscente. Ma l’esperienza è sempre unione di soggettività e oggettività. Ciò che viene esperito, di conseguenza, non è determinano semplicemente da ciò che è, o, in altri termini, la conoscenza non è un mero rispecchiamento della realtà. Essa è anche il risultato dell’attività del soggetto. Ma allora, aggiunge Dewey, l’esperienza è determinata anche dalle credenze e dalle aspettative sociali, è il risultato di dinamiche che potremmo definire “culturali”.

«Le cose dell’esperienza primaria – scrive Dewey – sono così bloccanti e impaccianti che noi tendiamo ad accettarle così come sono; la terra piatta, il corso del sole da oriente verso occidente e il suo tramontare dietro la terra. Le correnti credenze morali, religiose e politiche riflettono in modo simile le condizioni sociali in cui si presentano. Soltanto l’analisi sociale dimostra che i modi in cui noi crediamo e aspettiamo hanno un’influenza fortissima su ciò che crediamo e aspettiamo. Abbiamo infine scoperto che questi modi vengono posti in essere [set], quasi inevitabilmente, da fattori sociali, dalla tradizione e dall’influenza dell’educazione. Così noi scopriamo che si crede a molte cose non perché quelle cose siano così, ma perché siamo diventati abituati ad esse, sotto il peso dell’autorità, dell’imitazione, del prestigio, dell’istruzione, dell’inconscio effetto del linguaggio. In breve veniamo a sapere che le qualità che attribuiamo agli oggetti dovrebbero essere attribuite ai nostri modi di esperirli e che questi a loro volta sono dovuti alla forza dei rapporti sociali e dell’abitudine. Questa scoperta segna un’emancipazione; essa purifica e ricostruisce gli oggetti della nostra esperienza diretta o primaria. La forza del costume e della tradizione, tanto nelle credenze scientifiche quanto in quelle morali, non si è mai prestata a un serio controllo, finché l’analisi non ha rivelato l’effetto che i modi personali

del credere hanno sulle cose credute e la misura in cui questi modi sono stabiliti dal costume sociale e dalla tradizione senza che gli individui se ne accorgano».

(Dewey 1925, it.: 30-1)

La concezione della conoscenza come una costruzione storico-sociale che fa riferimento a una comunità è presente anche nel fondatore del pragmatismo, Charles Sanders Peirce, che esercitò indubbiamente un’influenza su Dewey, così come fece William James, anche se esplorare in modo approfondito il rapporto tra il pragmatismo e Dewey, che non può essere identificato con questo movimento nonostante i molti tratti in comune, ci porterebbe ben al di là dei confini di questa ricerca.