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Il contenuto. – 5. L’oggetto: la messa alla prova “parziale”. – 6. I termini. – 7. Il diritto intertemporale. – 8. La richiesta in indagine. – 9. La domanda e le vicende dibattimentali dell’imputazione. – 10. Il problema dell’istanza.

1. Il potere d’iniziativa.

Nel processo per adulti, esiste un solo soggetto legittimato a proporre la richiesta: si tratta del diretto interessato che potrà, sin dalla fase delle indagini preliminari, optare per la sospensione con messa alla prova. Anche sotto questo profilo, ci si è dunque discostati sia dalle precedenti proposte d’introduzione dell’istituto, sia dall’archetipo minorile.

La proposta d’articolato della Commissione Pisapia prevedeva infatti che il rito potesse essere disposto «con il consenso o su richiesta dell’imputato»1: non si precisava però chi altri potesse avanzare la proposta. Ancor più marcata è la differenza con la messa alla prova del minore, che potrebbe essere disposta d’ufficio dal giudice, richiesta dal pubblico ministero o, addirittura, da soggetti che non risultano essere parti processuali, come i genitori dell’interessato o gli stessi servizi sociali2. Chiaro, le possibilità di riuscita della misura sono direttamente proporzionali al grado d’adesione e all’impegno che l’interessato manifesta; al di là dei requisiti formali, resta pur sempre un percorso educativo che, se non interiorizzato genuinamente, non sortirebbe alcun effetto. La disposizione del minore andrà quindi tenuta in debita considerazione.

Lo stesso ragionamento si potrebbe fare per l’adulto, ma qui la legge impone che si prenda lui la responsabilità d’iniziare il percorso: i contenuti che questo implica sono piuttosto gravosi e, attribuendo a lui solo il potere di fare la domanda, si evita che il programma possa essere indirettamente imposto – cosa che avrebbe portato a ulteriori dubbi di legittimità costituzionale.

Prima di osservare più da vicino questa richiesta, è bene fare un distinguo: nel dipanarsi della misura, l’imputato dovrà presentare due domande con scopi, contenuti e destinatari diversi; una all’U.E.P.E., con cui chiede l’elaborazione di un programma di trattamento, una al giudice con cui chiede d’essere ammesso al rito.

In questo capitolo si tratterà prevalentemente della seconda.

1 Art. 44 della proposta d’articolato, reperibile alla pagina giustizia.it. 2 Sul punto v. C.CESARI, Commento all’art. 28, p. 484 s.;

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2. Il diritto a essere tempestivamente informati.

La scelta di rito è un passo decisivo del procedimento, rispetto al quale la giurisprudenza costituzionale s'è sempre espressa fermamente: si tratta di una delle modalità d'esercizio più pregnanti del diritto di difesa3. Per questo, quando il procedimento devia dall'ordinario, è necessario avvisare l'imputato rispetto alle modalità e i termini d'esercizio di questa opzione, e occorre farlo in maniera tempestiva: le scadenze sono contratte e il soggetto non è spesso in grado di decidere da solo; dovrà consultare un legale, ponderare i pro e i contro così da predisporre la miglior difesa possibile nel caso concreto.

Il codice dissemina dunque avvisi: quando l’udienza preliminare manca per scelte che non sono nella disponibilità dell’imputato, gli si devono rammentare i giudizi alternativi che possono ancora essere esperiti su sua iniziativa. Si trovano nel testo del decreto di giudizio immediato (art. 456 c.p.p.), nel decreto di citazione diretta a giudizio (art. 552 l. f) c.p.p.), nel decreto penale di condanna (art. 460 c.p.p.) e sono dati oralmente dal giudice in udienza nell’ambito del giudizio direttissimo. Nell’introdurre un nuovo rito speciale a iniziativa dell’imputato, ci si sarebbe aspettati un aggiornamento coerente degli avvisi, così che tenessero conto dell’ultimo arrivato.

Il legislatore s’è invece mosso diversamente, facendo qualcosa di più e qualcosa di meno.

Nel testo, figura infatti un avvertimento nuovo: l’art. 141-bis disp. att. c.p.p. dispone che, anche durante le indagini preliminari, il pubblico ministero possa discrezionalmente informare «l’interessato, ove ne ricorrano i presupposti, che ha la facoltà di chiedere di essere ammesso alla prova […] e che l’esito positivo della prova estingue il reato». Si tratta di un avviso informale, che l’inquirente dà se vuole, quando vuole e come vuole; verosimilmente serve a ingolosire l’indagato e a segnalare, senza alcuna pretesa d’ufficialità, il consenso dell’inquirente – elemento necessario per richieste tanto precoci. In pratica, tuttavia, sembra difficile immaginare che il pubblico ministero si faccia carico di una comunicazione simile: c’è chi ha proposto, in dottrina, di dare questo potere alla polizia giudiziaria che però – è stato notato – non sembra disporre delle competenze giuridiche necessarie per individuare a colpo sicuro l’ambito di agibilità della messa alla prova4. Il protocollo di Rovigo, invece, ha addossato l’onere d’informazione al difensore, e con modalità particolarmente rigide: si prescrive che, date tutte le informazioni all’assistito, l’avvocato si faccia rilasciare dal cliente una dichiarazione scritta nel caso in cui l’interessato non voglia optare per il rito5.

3 Corte cost., 2 luglio 1990, n. 313; Corte cost., 19 marzo 1992, ord. n. 116; Corte cost., 11 marzo 1993, n. 76; Corte cost., 19 marzo 1993, n. 101; Corte cost., 5 maggio 1993, n. 214; Corte cost., 11 dicembre 1995, n. 497; Corte cost., 15 marzo 1996, n. 70; Corte cost., 18 aprile 1997, n. 101; Corte cost., 20 dicembre 2000, ord. n. 560; Corte cost., 16 aprile 2002, n. 120; Corte cost., 25 maggio 2004, n. 148; Corte cost., 9 luglio 2004, n. 219; Corte cost., 22 luglio 2005, ord. n. 309; Corte cost., 26 ottobre 2012, n. 237.

4 Propone di affidare l’avviso alla polizia G.AMATO, L’impegno è servizi sociali e lavori di pubblica utilità, p. 87; rileva i limiti dell’idea C.CESARI, Commento all’art. 464-ter, p. 2133.

5 Il testo è edito in Cass. pen., 2015, p. 3352, con osservazioni di F.TRAPELLA-F.BARDELLE, Il protocollo rodigino sula

53 La legge ha previsto questa delicatezza, ma s’è dimenticata di modificare il testo degli avvisi già presenti6; il codice di procedura è stato quindi bersagliato di questioni di legittimità costituzionale, sollevate per rimediare alla dimenticanza. Le occasioni, del resto, non mancano: molti dei reati per cui si può esperire il rito sono quelli per cui si procede a citazione diretta a giudizio; l’udienza preliminare, nella pratica, è omessa di frequente, cosa che rende ancora più urgente la questione di una corretta e tempestiva informazione dell’imputato.

La prima disposizione “aggiustata” è l’art. 460 co. 1 l. e) c.p.p., dichiarato illegittimo «nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova»7. La declaratoria opera naturalmente ex tunc: come chiarito dalla Cassazione, travolge quindi i decreti penali emessi in mancanza dell’avviso, oggi viziati da una nullità a regime intermedio8.

Questa decisione della Consulta non basta tuttavia a sistemare il quadro: tutti gli altri avvisi ancora non menzionano la messa alla prova e sarebbe forse stato meglio intervenire una volta sola, facendo valere l’identica ratio decidendi su tutte le norme che necessitano dell’identico ritocco con una declaratoria d’illegittimità consequenziale9. La disciplina sarebbe stata immediatamente corretta per intero, evitando lo stillicidio di questioni. I giudici di merito ne hanno infatti sollevate anche rispetto all’art. 552 c.p.p. per gli avvisi del decreto di citazione a giudizio10 – manifestamente inammissibili in quanto non ben motivate rispetto alla rilevanza11 – e riguardo all’art. 456 c.p.p. per gli avvisi contenuti dal decreto che dispone il giudizio immediato12.

cliente di tutte le opzioni percorribili per dovere professionale; se disattende il Codice deontologico, non è verosimile che penda dalle labbra del protocollo. La forma scritta ad probationem, poi, sembra postulare un avvocato inaffidabile, che dev’essere in grado di dimostrare d’aver fatto bene il proprio lavoro.

6 Più attento a questo aspetto si era mostrato lo schema di riforma del codice di procedura penale elaborato dalla Commissione Riccio, che prevedeva l’introduzione del rito senza scendere nei dettagli processuali; l’unico aspetto precisamente curato, però, era questo degli avvisi: il punto 66.1 precisava che l’atto d’esercizio dell’azione penale doveva contenere gli avvertimenti relativi a ciascun rito speciale – il nostro incluso – precisando il relativo termine di decadenza (le conclusioni dell’udienza di conclusione delle indagini preliminari); lo stesso giudice dell’udienza di conclusione delle indagini preliminari avrebbe poi dovuto rammentare agli interessati la possibilità di optare per un giudizio speciale (punto 66.6). Il testo dello schema è consultabile alla pagina giustizia.it.

7 Corte cost., 21 luglio 2016, n. 201, in Giur. cost., 2016, p. 1422 ss., con nota di P.SPAGNOLO, Il diritto dell’imputato

ad essere informato sulle alternative processuali.

8 Cass. sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 21897, Bessone, in C.e.d., n. 269943.

9 La Corte, giustamente, lo usa con parsimonia ma gli esempi non mancano: v. Corte cost., 29 dicembre 1995, n. 530; Corte cost., 18 dicembre 2009, n. 333.

10 Tribunale di Spoleto, 23 febbraio 2016, ord. n. 204 del registro degli atti di promovimento; Tribunale di Pistoia, 4 novembre 2016, ord. n. 28/2017 del registro degli atti di promovimento.

11 Corte cost., 18 gennaio 2018, ord. n. 7.

12 Tribunale di Ivrea, 12 gennaio 2017, ord. n. 46 del registro degli atti di promovimento; Tribunale di Pisa, 30 marzo 2017, ordinanza n. 101 del registro degli atti di promovimento, entrambe dichiarate manifestamente inammissibili: Corte cost., ord. 20 aprile 2018, n. 85. La questione, ad ogni modo, è già stata riproposta: Tribunale di Bergamo, 21 dicembre 2017, ordinanza n. 60 del registro degli atti di promovimento.

54 Poco per volta, insomma, tutta la disciplina degli avvisi dovrà essere aggiornata: segno di un legiferare distratto, che non sembra prestare abbastanza attenzione ad allacciare le novità al sistema preesistente. Gli uffici giudiziari si sono naturalmente resi conto del problema e hanno reagito in tempi assai più rapidi: alcuni hanno adottato precauzioni di buon senso, inserendo l’avviso anche laddove non è dovuto13. In almeno un caso, il giudice s’è addirittura spinto a ritenere invalido l’atto con cui il pubblico ministero citava a giudizio l’imputato senza avvertirlo della possibilità d’esperire la messa alla prova14. L’inquirente, ritenendo abnorme il provvedimento che gli restituiva gli atti, ha presentato ricorso e la Corte di cassazione ha dato una riposta ambigua: da un lato ha rammentato l’orientamento della Consulta, negandone dall’altro l’estensibilità al decreto di citazione; in questo secondo caso, infatti, l’omesso avviso non produrrebbe nessun pregiudizio irreparabile per l’imputato. La Cassazione non poi ha rilevato alcuna abnormità, invitando il pubblico ministero a ripetere semplicemente il decreto citazione. Da un lato, insomma, l’atto rispondeva pienamente al modello legale; d’altro canto, la restituzione per mancato avviso– cioè, la rilevazione d’una nullità non prevista dal sistema – resta senza sanzione processuale. Sul piano sostanziale, il caso è rincuorante: certamente si prestata la massima attenzione ai diritti di chi è tratto a processo; non di meno, sarebbe stato meglio sollevare questione di legittimità costituzionale rispetto all’articolo 552, lasciando che fosse la Consulta – e non la Cassazione – ad argomentare sulla necessità dell’avvertimento e, eventualmente, a renderlo obbligatorio in via generale e astratta, senza bisogno di prendere il pubblico ministero per sfinimento.

3. La forma.

La forma della domanda è stabilita dall’art. 464-bis c.p.p.: può essere presentata dall’imputato oralmente o per iscritto. La volontà in questo senso può essere manifestata anche mediante un procuratore speciale: si tratta infatti di un atto personalissimo, che condiziona decisamente il procedimento e i suoi esiti: la scrittura dovrà quindi conferire al procuratore lo specifico potere di richiedere il rito alternativo, pena l’inammissibilità della domanda15.

L’autenticazione della firma non presenta specificità: la disposizione rimanda espressamente alle forme stabilite dall’art. 583 co. 3 c.p.p.; la sottoscrizione potrà quindi essere autenticata da un notaio, dal difensore o da altra persona autorizzata.

13 Prima che la Consulta intervenisse con la sent. 201/16, la sezione dei giudici per le indagini preliminari di Bologna aveva autonomamente deciso d’aggiornare il “modello” di decreto penale di condanna, così da evitare questioni di legittimità e garantire il diritto di difesa del destinatario.

14 Se ne ha traccia da Cass. sez. II, 23 dicembre 2016, n. 3864, p.m. in c. Paris, in C.e.d., n. 269103.

15 Cass. sez. IV, 24 novembre 2017, n. 5815, Fabbro, in C.e.d., n. 271737. Nel caso di specie, una procura speciale era stata allegata, ma autorizzava espressamente a richiedere riti speciali diversi da quello per cui si stava optando; la domanda di sospensione con messa alla prova è dunque stata rigettata poiché il difensore non risultava legittimato a presentarla.

55 La legge prevede poi un’ulteriore cautela per verificare che la richiesta provenga effettivamente dall’imputato: al giudice è infatti data la possibilità di convocare l’imputato in persona, affinché confermi di desiderare quell’atto e tutti gli effetti che potrebbero scaturirne (art. 464-quater co. 2 c.p.p.). Non occorre sforzarsi troppo per capire che la previsione è presa in prestito alla disciplina del patteggiamento: il testo ricalca quasi testualmente l’analoga norma che l’art. 446 co. 5 c.p.p. esprime a tutela della genuinità della richiesta o del consenso. Nel contesto d’origine, le finalità sono chiare: l’ipotesi di condanna è infatti negoziata tra pubblico ministero e difensore; l’imputato potrebbe non saperne nulla o quasi e, si nutrono dubbi, tanto vale fugarli convocando il richiedente16.

Questa vocazione non è però altrettanto netta per quanto riguarda la messa alla prova: predisporre una domanda senza la piena collaborazione dell’interessato è impossibile; armato di procura speciale, il difensore può presentare la richiesta di rito, ma per completarla è indispensabile il coinvolgimento diretto dell’assistito17. L’imputato in persona dovrà infatti collaborare attivamente alla redazione del programma; una volta elaborato, l’UEPE provvederà ad acquisire il consenso del soggetto, requisito di legge che la modulistica ministeriale ha tradotto in sottoscrizione del documento18.

Certo, la prudenza non è mai troppa, ma nell’orizzonte della messa alla prova la norma si spoglia del significato che la legge le attribuisce. La pratica sembra invece vestirla di una diversa funzione: è più probabile che la comparizione dell’imputato sia disposta per evitare ulteriori rinvii d’udienza; al momento della valutazione del programma, infatti, il giudice potrebbe operare modifiche su cui è necessario acquisire il consenso dell’interessato. Averlo già in udienza significherebbe poter chiudere subito il capitolo ‘messa alla prova’, evitando che trascorra altro tempo.