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Messa alla prova, giudice di pace e giurisdizione militare

Un altro interrogativo da sciogliere riguarda l’applicabilità del rito dinanzi al giudice di pace. Tutto si gioca quindi sull’ordinario ponte tra il codice di rito e il decreto che disciplina il procedimento del magistrato onorario, ovvero l’art. 2 del D. Lgs. 274/2000.

Esso pone diversi divieti di transito da un quadrante all’altro: per esempio, nella giurisdizione minore non si potrà fare ricorso al giudizio abbreviato, all’applicazione della pena su richiesta, al procedimento per decreto, al giudizio immediato e a quello direttissimo; insomma, tutti i riti speciali tranne il nostro sono esplicitamente vietati.

44 Oltre ciò, dice sempre l’art. 2, per quanto non previsto dal decreto si farà riferimento alle norme del codice di procedura penale «in quanto compatibili».

Ancora una volta, il legislatore non ha fatto scelte precise; il catalogo degl’innesti proibiti non è stato aggiornato, ragion per cui occorre verificare che la messa alla prova non sia già contemplata da una norma speciale e, se non lo fosse, che sia tollerata dal sistema.

Stando a una prima ipotesi, il beneficio potrebbe trovare spazio anche in questo comparto: il rito, infatti, non troverebbe alcun istituto omologo a sbarrargli il passaggio. Certo, l’art. 35 D. Lgs. 274/2000 prevede una soluzione analoga, ma con alcune differenze salienti: si tratta infatti di una causa d’estinzione del reato a seguito di condotte riparatorie che si mostra differente tanto per i contenuti quanto per le modalità d’applicazione. Per cominciare, non c’è traccia del lavoro di pubblica utilità – cuore pulsante della messa alla prova – e i contenuti della misura si riducono alla sola riparazione del danno85. In più, la sospensione è un fatto del tutto eventuale, anzi: la norma vorrebbe che il risarcimento arrivasse prima dell’udienza di comparizione. Non si fa poi riferimento a uno specifico numero di tentativi, altro tratto che sembra distanziare questo congegno dal rito speciale86.

Quanto alla sua compatibilità con il procedimento davanti al giudice di pace, occorrerebbe rammentare che parte della disciplina ha natura sostanziale, e non c’è dubbio sul fatto che le cause d’estinzione del reato debbano essere dichiarate anche dal magistrato onorario87.

D’altro canto, s’è sostenuto che le affinità dell’art. 35 del decreto basterebbero a considerarlo norma speciale; oltretutto, le limitazioni alla libertà personale che la messa alla prova legittima andrebbero oltre ai poteri del giudice di pace88.

Probabilmente la verità sta nel mezzo: la sagoma dell’estinzione del reato per condotte riparatorie non coincide perfettamente con quella della messa alla prova, ma la caccia alle differenze non può che essere il punto di partenza per una valutazione più ampia. Il significato del rito speciale, infatti, cambia se lo si inquadra in un sistema anziché in un altro89; in particolare, il valore del lavoro di pubblica utilità appare

85 Per questa ragione la giurisprudenza ne ha sempre escluso l’applicabilità alle fattispecie di pericolo: Cass., sez. IV, 7 febbraio 2007, n. 39563, p.g. in c. Cainelli, in Cass. pen., 2009, p. 1220, con nota critica di D.CERTOSINO,

Davvero inapplicabile ai reati di pericolo la causa estintiva del reato ex art. 35 d. lg. n. 274/2000?; : Cass., sez. IV, 7 luglio

2005, n. 36366, Lai, in C.e.d., n. 232229; : Cass., sez. IV, 25 novembre 2004, n. 20525, Markuza, ivi, n. 231350; : Cass., sez. IV, 2 luglio 2004, n. 41665, p.g. in c. Bianco, ivi, n. 229890; : Cass., sez. IV, 4 maggio 2004, n. 34343, p.m. in c. Marcolla, ivi, n. 228674.

86 Formula la tesi A.LOGLI, La sospensione con messa alla prova, p. 145 s. 87 A.LOGLI, La sospensione con messa alla prova, p. 144.

88 E.MARZADURI, Procedimento penale davanti al giudice di pace, p. 1105.

89 Una tecnica simile, tra l’altro, è stata suggerita dalla Corte di cassazione per stabilire se la particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p. potesse essere dichiarata anche dal magistrato onorario, o se invece l’art. 34 D. Lgs. 274/2000 chiudesse ogni spazio. Nonostante l’indubbia (e più marcata) distanza tra i due istituti e nonostante l’art. 131-bis c.p. preveda una causa di non punibilità dalla certa natura sostanziale, le sezioni unite hanno stabilito che questa non potesse trovare applicazione davanti al giudice di pace. Tra i due meccanismi vi sarebbe infatti «interferenza» poiché puntano a regolare lo stesso identico fenomeno in due ambiti normativi diversi: per far funzionare l’osmosi, si deve ricostruire il rapporto «che riguarda non già i singoli precetti […], bensì quegli stessi

45 radicalmente diverso. Se per il giudice ordinario è quasi un provvedimento di clemenza, per quello di pace è una sanzione tra le più incisive; perché dovrebbe esistere un metodo di definizione alternativa del procedimento che prevede lo stesso risultato afflittivo, stando a una regola di giudizio assai meno esigente? Lo stesso discorso vale per gli obblighi e i divieti di frequentazione che il programma di trattamento potrebbe affermare: non sembrano lontanissimi dal contenuto dell’obbligo di dimora che il giudice di pace può imporre, ma anche in questo caso si tratta di una delle misure più penetranti che il sistema conosce. Trapiantare la messa alla prova in questo contesto sembrerebbe del tutto asistematico. Inoltre, accantonare il tema della compatibilità tra le due procedure indicando la natura sostanziale del risultato sembra un’operazione sbrigativa. È vero che la messa alla prova è una causa d’estinzione del reato, ma potrà essere raggiunta solo attraverso scansioni procedimentali ben precise, confezionate sulla realtà del procedimento ordinario. Un pubblico ministero è a capo dell’inchiesta; la domanda è ricevuta da un giudice per le indagini preliminari o, successivamente, da un giudice per l’udienza preliminare: tutto s’incardina su soggetti e momenti che il procedimento dinanzi al giudice di pace non conosce.

La giurisprudenza, ad ogni modo, non s’è mai espressa direttamente sul tema: a quanto risulta, una sola pronuncia di legittimità ha esaminato l’ordinanza di messa alla prova pronunciata dal magistrato onorario90; la possibilità d’esperire il rito in quella sede, tuttavia, non era stata messa in dubbio.

L’orizzonte sembra invece più sereno rispetto all’applicabilità dell’istituto rispetto alla giurisdizione militare. L’art. 261 del codice penale militare di pace (d’ora innanzi, c.p.m.p.) dispone infatti che le disposizioni del codice di procedura penale si applicano «salvo che la legge disponga diversamente»91: nessuno dei due testi normativi esprime norme derogatorie rispetto alla sospensione con messa alla prova, che potrà quindi essere richiesta anche al giudice militare.

Anche in questo frangente non sono mancati segni di vitalità della prassi: per garantire un miglior coordinamento tra tutti gli uffici coinvolti, il Tribunale militare di Verona ha stretto un protocollo di collaborazione con l’U.E.P.E. locale.