Se fin qui ci siamo occupati del termine finale entro il quale è possibile richiedere il rito, passiamo ora all’altro capo del problema: a partire da quando può essere richiesto il rito? A questo riguardo, la legge prevede che la messa alla prova possa essere richiesta sin dalle indagini preliminari, in analogia a quanto accade col patteggiamento.
Anche su questo versante, è difficile non notare la discontinuità con il processo al minorenne: l’art. 28 D.P.R. 448/1988 non descrive direttamente l’orizzonte temporale in cui la misura prende corpo, ma si riferisce sempre all’imputato e al processo: la fase delle indagini preliminari, quindi, sembra restare fuori dai giochi. Non solo: la Corte costituzionale ha avuto modo di precisare che il convincimento del giudice sulla responsabilità dell’imputato è «presupposto logico essenziale» della messa alla prova minorile90: in altre parole, si può far ricorso alla misura dal momento in cui il giudice ha sciolto il dubbio relativo alla colpevolezza dell’imputato; non prima. Il quel contesto, dunque, la messa alla prova si potrà disporre dopo l’esercizio dell’azione penale e soltanto come alternativa alla condanna, non come alternativa al processo91.
L’omonimo per maggiorenni sembra invece muoversi secondo la logica opposta: il sistema sembra incoraggiare un accesso anticipato al rito; prima è, meglio è e comunque, come abbiamo visto, mai dopo la dichiarazione d’apertura del dibattimento. L’intenzione sembra quella di potenziare al massimo le
88 Auspica deroghe “sotto banco” E.LANZA, La messa alla prova processuale, p. 243, nota n. 76 e p. 250; si limita invece a riconoscere le ragioni di equità alla base di decisioni eccentriche A.DIDDI, La fase di ammissione della prova,
in N.TRIGGIANI (a cura di), La deflazione giudiziaria, p. 139.
89 Trib. Torino, ord. 21 maggio 2014, in Quest. giust. (web), 22 maggio 2014 con osservazioni di G.ZACCARO, Prima
applicazione della messa alla prova per adulti; Trib. Bologna, I sez., ord. 30 giugno 2015, A.F., inedita. La prima decisione
ha utilizzato lo strumento della rimessione in termini, considerando la novella come causa di forza maggiore; le imputate hanno quindi dovuto presentare domanda entro 10 giorni; la seconda decisione considera corretto un tale indirizzo. Si concentra sugl’inconvenienti tecnici della soluzione J.DELLA TORRE, L’assenza di una disciplina
intertemporale o transitoria per la messa alla prova degli adulti, p. 138.
Individuano come termine la prima udienza utile successiva all’entrata in vigore della novella: Trib. Bologna, 8 settembre 2016. n. 3633, C.R.A., inedita; Trib. Bologna, sez. I, ord. 14 aprile 2016, I.Z., inedita; Trib. Bologna, I sez., ord. 25 febbraio 2016, C.M., inedita; Trib. Bologna, sez. I, 4 febbraio 2016, P.C., inedita; Trib. Bologna, I sez., ord. 29 ottobre 2015, E.V., inedita; Trib. Bologna, sez. I, ord. 13 ottobre 2015, K.Z., inedita; Trib. Bologna, I sez., ord. 19 settembre 2015, N.E.M.G., inedita; Trib. Bologna, I sez., ord. 30 giugno 2015, A.F., inedita; Trib. Bologna, I sez., ord. 22 aprile 2015, M.M., inedita; Trib. Genova, sez. I, ord. 7 ottobre 2014, in Dir. pen. cont. (web), 29 ottobre 2014, con nota critica di C.PECORELLA, Il Tribunale di Genova ammette la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla
prova. In dottrina, la soluzione è condivisa da R.BARTOLI, Le recenti questioni applicative in tema di messa alla prova, p. 8; F.CENTORAME, Applicazione retroattiva delle norme sulla messa alla prova, p. 3251.
90 Corte cost., 14 aprile 1995, n. 125.
91 In altre parole: in caso di dubbio, si dovrebbe procedere all’istruttoria dibattimentale; l’udienza preliminare, tuttavia, sembra restare lo spazio statisticamente privilegiato per la disposizione del rito: C.CESARI, Commento all’art.
75 possibilità deflattive della messa alla prova: da un lato, la soluzione permetterebbe all’interessato un’uscita rapida dal circuito penale, cosa che consentirebbe anche al sistema di risparmiare e investire una più cospicua quantità di risorse92.
La richiesta precoce è disciplinata dall’art. 464-ter c.p.p. e presenta alcune peculiarità procedurale: l’interessato dovrà rivolgersi al giudice per le indagini preliminari depositando la richiesta presso la sua cancelleria; lui provvederà poi a trasmettere gli atti al pubblico ministero, che avrà cinque giorni di tempo per dare il proprio consenso: senza l’accordo dell’inquirente, infatti, la misura non potrà essere disposta. Se il pubblico ministero accondiscende alla richiesta, dovrà mettere per iscritto la sua manifestazione di volontà, motivandola brevemente e formulando l’imputazione. Se nega il proprio accordo, l’inquirente dovrà enunciarne le ragioni e l’indagato potrà ripresentare la domanda prima della dichiarazione d’apertura del dibattimento.
Fermiamoci un momento a scandire questa sequenza, che non brilla certo per linearità.
Innanzi tutto, l’interessato dovrà depositare l’atto presso la cancelleria del giudice che, però, non è di norma in possesso del fascicolo d’indagine. Ci sarebbe quindi un “fascicolo grasso” in procura, con tutta la documentazione relativa all’indagine e i tre “fogli volanti” della richiesta presso il Tribunale, che potrebbe essere del tutto ignaro del procedimento. La cosa comporterebbe tuttavia l’iscrizione al registro REGE-Web e l’assegnazione di un numero progressivo per una vicenda che potrebbe non tornare mai tra le mani del giudice per le indagini preliminari: potrebbe essere un po’ di lavoro per nulla.
In più, il giudice non sembra poi avere alcun ruolo oltre a quello di trasmettere la domanda alla procura: non deve scrutinare, valutare; non sembra nemmeno che debba leggerla – almeno, non in questo stadio; per ora si limita a smistarla. Sorge dunque il dubbio che il passaggio sostanzialmente inutile, evitabile: depositare direttamente in procura avrebbe il doppio vantaggio di tenere unita la documentazione relativa al caso, senza seminarla tra segreteria e cancelleria, e arriverebbe direttamente al soggetto cui spetta la prima mossa.
Non è un caso che questa parte di disciplina sia stata significativamente erosa dai protocolli: molti hanno invertito il corso della procedura, invitando l’interessato a depositare la richiesta presso la segreteria del pubblico ministero per le valutazioni di sua competenza93.
Un altro punto poco chiaro è a cosa, esattamente, il pubblico ministero debba acconsentire, ovvero: quali documenti deve vedere prima di esprimersi? Secondo una voce, il giudice dovrebbe attendere l’arrivo di tutta la documentazione rilevante – inclusi il programma e l’indagine socio-economica – prima di
92 Di questa opinione, C.CESARI, Commento all’art. 464-bis, p. 2127; ID, Commento all’art. 464-ter, p. 2133.
93 V. i protocolli di Arezzo; Bolzano; Fermo; Firenze; Imperia; Modena; Monza; Perugia; Ragusa; Salerno; Siracusa; Torino (1); Trieste. In dottrina, invitava a una correzione “in via interpretativa” della normativa G. AMATO,
76 trasmettere gli atti al requirente94. In questa maniera, le scelte sull’esercizio dell’azione penale sarebbero pienamente informate: tutte le componenti della richiesta di rito sarebbero già disponibili.
L’ipotesi, tuttavia, presenta due svantaggi. Per prima cosa, finirebbe per dilatare i tempi all’eccesso: per la confezione del programma, l’U.E.P.E. richiede fino a sei mesi; in questo termine, il pubblico ministero potrebbe esercitare l’azione penale vanificando gli sforzi compiuti fino a quel momento. La domanda sarebbe da riformulare dinanzi al giudice competente, col rischio che l’UEPE abbia già archiviato la pratica al momento della prima udienza o che il programma predisposto non sia più attuale.
C’è di più: si chiederebbe all’UEPE di sbrigare la pratica potenzialmente a vuoto. Il pubblico ministero potrebbe dire di no o la richiesta potrebbe essere inammissibile.
Per queste ragioni, la prassi s’è orientata decisamente verso la soluzione opposta: il pubblico ministero dovrà accontentarsi della richiesta e dell’attestazione rilasciata dall’UEPE; il programma e l’indagine socio-economica saranno predisposte in un secondo momento95: il magistrato dovrà quindi valutare l’opzione di rito “a scatola chiusa”, senza avere alcun margine di negoziato rispetto ai contenuti del trattamento.
Tanto chiarito, resta intatto il nodo della questione: il pubblico ministero ha due alternative. O nega il consenso e prosegue con le indagini; oppure lo presta e formula l’imputazione.
Prima di tutto, è essenziale un chiarimento: manca un ennesimo raccordo normativo con l’art. 405 c.p.p. cosicché la messa alla prova non risulta descritta come modalità d’esercizio dell’azione penale. Non sembra però ragionevole ritenere che non lo sia96: che ruolo avrebbe l’imputazione? E come potrebbe il giudice – all’esito della prova – pronunciare sentenza per un reato mai contestato?
Dunque, prestando il consenso il pubblico ministero esercita l’azione penale, cosa che ci consente d’inquadrare meglio le caratteristiche della sua decisione.
Innanzi tutto, l’inquirente può prestare consenso alla richiesta quando non deve archiviare: l’esito più favorevole conserva la sua priorità logica e, per assecondare una richiesta di messa alla prova, il pubblico ministero deve disporre di elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio. Se la domanda di rito arriva quando il magistrato non ha ancora sciolto questa alternativa, il pubblico ministero dovrebbe negare il consenso. Per il resto, sembra essere libero d’esprimersi come meglio crede, col solo vincolo di motivare le proprie scelte: in fondo è il padrone della fase ed è comprensibile che questa finisca quando e come il magistrato vuole.
94 C.CESARI, Commento all’art. 646-ter, p. 2133.
95 Alcuni protocolli, per eccesso di scrupolo, richiedono il consenso informale dell’inquirente anche per il rilascio dell’attestazione dell’UEPE: v. Protocolli di Arezzo; Imperia; Siracusa; Torino (1).
96 Sostiene che non si tratti d’esercizio dell’azione penale G. AMATO, L’impegno è servizi sociali e lavori di pubblica
77 Il suo placet, del resto, è vincolante solo finché dura l’indagine e non restringe in alcun modo la libertà decisionale del giudice: all’assenso del pubblico ministero potrebbe seguire il rigetto della domanda così come al diniego dell’inquirente potrebbe seguire – una volta esercitata l’azione penale – l’ammissione alla misura; l’interessato potrà infatti riproporre la richiesta prima della dichiarazione d’apertura del dibattimento. Val la pena notare, poi, che si tratta di un’iniziativa nuova: il dissenso del pubblico ministero non avrà alcun rilievo; il giudice non è tenuto ad esercitare alcun tipo di controllo sulle motivazioni addotte dall’inquirente, né a rendere esplicite le ragioni che lo hanno spinto a superare quegli argomenti. Insomma, non sembra si possa parlare di una verifica rispetto all’operato dell’inquirente, quanto di una nuova presentazione dell’istanza che, questa volta, taglia fuori il pubblico ministero97.
Non sembra quindi da condividere la tesi secondo la quale, in indagine, la richiesta di messa alla prova assumerebbe la natura di negozio bilaterale, o almeno: tutto sta a intendersi. Se s’intende ‘negozio’ come atto giuridico produttivo d’effetti in quanto direttamente voluti dalle parti, l’unico frammento che può essere descritto come tale è l’esercizio dell’azione, anche perché è l’unico risultato che si concretizza; certo, si tratta d’un adempimento necessario, ma piuttosto marginale rispetto all’obiettivo della richiesta di rito. D’altronde, una volta giunti a processo, non c’è alcuna differenza98: le domande presentate in indagine e quelle presentate più tardi riceveranno l’identico trattamento; il pubblico ministero non avrà margini di trattativa sul contenuto della misura. Anche se avesse negato il consenso a suo tempo, lo stigma è lavato nel passaggio di fase: la natura della domanda, quindi, non cambia a seconda del momento in cui la si presenta, né questo gradino sembra trasformare la messa alla prova in un negozio bilaterale. L’opinione sembra accolta anche da diversi protocolli, che provano a tipizzare i motivi di diniego dell’accordo: in particolare, si esclude che questi possano avere a che fare con il programma – non ancora elaborato – mettendo invece al centro le esigenze investigative; in altre parole, se l’indagine deve proseguire, l’inquirente negherà il consenso, altrimenti eserciterà l’azione penale e lascerà che la domanda faccia il suo corso99.
97 Ritengono che questo passaggio s’atteggi invece a «controllo sul dissenso del pubblico ministero» A.TASSI, La
Corte riconosce il diritto al giudizio abbreviato, p. 4670; C.CESARI, Commento all’art. 464-ter, p. 2134. Sull’irrilevanza del
parere del pubblico ministero dopo l’esercizio dell’azione penale v. anche G.SPANGHER, Considerazioni sul processo
“criminale” italiano, p. 61.
98 Della stessa opinione N.SCODNIK-F-PASTORE, L’istituto della messa alla prova, p. 2.
99 Parlano di «esigenze investigative ostative» i protocolli di Arezzo, Cagliari, Torino (1). O ancora, si fa riferimento a un controllo formale dei requisiti d’accesso al rito nei protocolli di Arezzo, Imperia, Torino (1). Il potere del pubblico ministero, ad ogni modo, non dovrebbe uscirne corroso: anche se volesse negare il consenso per procedere in altra maniera, non si vede perché non potrebbe farlo – fermo restando che il prius logico resta l’archiviazione, qualora ne ricorrano i presupposti.
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