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Messa alla prova dell’ente

L’entusiasmo per il più giovane dei procedimenti speciali è testimoniato anche dai tentativi di allargarne l’applicazione alle persone giuridiche. L’ente – chiamato a rispondere in via amministrativa secondo il

istituti nel ruolo e nella funzione che svolgono all’interno del sistema di riferimento»: Cass. sez. un., 22 giugno 2017, n. 53683, in DeJure.

90 Cass. sez. V, 22 dicembre 2015, n. 6524, in DeJure.

91 Sui rapporti tra i due testi normativi anche sotto il profilo storico, v. M.NUNZIATA, Corso di diritto penale militare, p. 162 ss.; G.RANALDI, Lineamenti di procedura penale militare, p. 57 ss.; P.P.RIVELLO, Il procedimento militare, p. 94 ss.;

D. BRUNELLI-G. MAZZI, Diritto penale militare, p. 413 ss. e 439 ss.; G.MAZZI, Processo penale militare e «principi

fondamentali» della procedura penale, p. 1809 ss.; ID., voce Processo penale militare, p. 131 ss.; G.RICCIO, Premesse

46 sistema stabilito dal D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 – partecipa infatti al processo penale secondo forme plasmate sulla sua realtà: non tutte le norme concepite per le persone fisiche possono essere trasfuse e la tecnica legislativa che presiede all’osmosi è sempre la stessa; per quel che non è regolato direttamente dal decreto, si osservano le diposizioni del codice di rito «in quanto compatibili» (art. 34 del decreto). Visto che la legge speciale non prevede nulla, ci si è cimentati nel sostenerne la diretta adattabilità della messa alla prova anche all’ente e un primo riscontro giurisprudenziale ha negato questa opzione92. Ad avviso del giudice, la richiesta di rito è inammissibile per ragioni di diritto sostanziale: il lavoro di pubblica utilità, inteso come vero e proprio contenuto afflittivo del programma di trattamento, è una pena sconosciuta al sottosistema; non esiste alcun rinvio che consenta di ritenerla azionabile né il testo normativo fornisce criteri di raccordo. Ammettendo il rito, quindi, si finirebbe per violare il principio della riserva di legge, che non concede al giudice d’individuare per analogia un tipo di sanzione diverso da quello espressamente previsto.

Questa interpretazione è stata però additata come eccessivamente conservatrice, rigida93. Facendo leva sul versante processuale dell’istituto, si è sostenuta la possibilità d’applicarlo immediatamente, a ordinamento invariato.

La messa alla prova, infatti, non è l’unico giudizio speciale per cui manca un allacciamento esplicito: il decreto 231 menziona solo il procedimento per decreto, il patteggiamento e il rito abbreviato; immediato e direttissimo restano senza connessioni. Ciò non ne ha però impedito l’applicazione alla persona giuridica: i requisiti che farebbero pensare a un imputato in carne e ossa – l’interrogatorio e la confessione – sono stati riferiti al legale rappresentante della persona giuridica94, che parla in quella sede per la società. Se questa può confessare ed essere interrogata, perché mai non potrebbe essere messa alla prova95? Il limite di pena andrebbe quindi riferito al reato presupposto – quello da cui scaturisce la responsabilità amministrativa dell’ente – e non potrebbe essere richiesta per più di una volta; non si potrebbero invece applicare le preclusioni legate agli status di delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Sul versante del contenuto, si potrebbe comunque coinvolgere l’Ufficio per l’esecuzione penale esterna: gli obblighi previsti dal programma di trattamento dovrebbero semplicemente essere sagomati rispetto a questa realtà atipica. Per cominciare, si dovrebbe prevedere il risarcimento del danno, la devoluzione del

92 Trib. Milano, sez. XI, ord. 27 marzo 2017, giudice Corbetta, in Giurisprudenza penale (web), 27 agosto 2017, con nota di M.MIGLIO, La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica alle persone giuridiche; in Diritto penale

contemporaneo (web), 2017, f. 10, con commento di M.RICCARDI-M.CHILOSI, La messa alla prova nel processo “231”. 93 V. M.RICCARDI-M.CHILOSI, La messa alla prova nel processo “231”, p. 51.

94 Sul punto v. E.GUIDO, I procedimenti speciali, p. 1111 ss.; M.CERESA-GASTALDO, Procedura penale delle società, p. 181 s.; A.BASSI, Commento all’art. 34 d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, p. 883 ss.; A.PRESUTTI, I procedimenti speciali, p. 374

ss.; M.TIRELLI, I procedimenti speciali, p. 346 s.

In giurisprudenza v. Trib. Milano, sez. g.i.p., ord. 23 marzo 2004, giudice Piffer, in Cass. pen., 2004, p. 3789, con nota di T.BUCCELLATO, Sull’ammissibilità del giudizio immediato.

47 profitto del reato e, soprattutto, nella predisposizione di un piano che preveda una riorganizzazione virtuosa dell’ente: su questo piano si misurerebbe anche la portata “rieducativa” dell’istituto; si esigerebbe uno scatto di qualità da parte del «substrato “psicologico”» della persona giuridica, ovvero la sua politica aziendale. Per formulare una prognosi positiva, tuttavia, sarebbe necessario aver adottato un modello organizzativo credibile – sebbene non idoneo – prima del procedimento, a segno inequivoco della serietà dell’ente96. Bisognerebbe infine dare il giusto rilievo alla «componente “sociale”» della messa alla prova: il lavoro di pubblica utilità. Così come il singolo s’impegna alla prestazione, l’ente potrebbe organizzare una serie di attività volte a ripianare il torto.

Per evitare un eccessivo dispendio di risorse, l’UEPE potrebbe tenere contatti con il legale rappresentate o con il rappresentante processuale: il soggetto con cui avere a che fare sarebbe quindi sempre ben identificato e unico, senza che agli operatori si presentino situazioni ambigue.

La percorribilità di questa strada sembra essere confermata dal fatto che qualcosa di simile esiste già: il sistema, infatti, mostra una certa sensibilità rispetto ai comportamenti post factum dell’ente. Da questi dipendono sia la scelta delle misure cautelari, sia il tipo e l’ammontare della pena: l'adeguamento o l'adozione di un modello organizzativo e l'eliminazione delle conseguenze dannose del reato portano infatti a una consistente riduzione delle sanzioni pecuniarie o alla paralisi di quelle interdittive, che potranno essere convertite anche dopo la sentenza (artt. 12, 17 e 78 del decreto). A norma dell’art. 49, la richiesta di riparazione può sospendere le misure cautelari eventualmente in corso e, se le obbligazioni saranno adempiute, queste saranno revocate97.

La lettura, per quanto affascinante, sembra predicare un’elasticità eccesiva: come abbiamo accennato, il lavoro di pubblica utilità è un tratto necessario dell’istituto, tanto da sbarrare l’accesso a chiunque non possa svolgerlo per ragioni fisiche (disabilità totale) o giuridiche (mancanza di regolare permesso di soggiorno). Non si tratta di una semplice «componente “sociale”», ma dell’unico contenuto che non può mancare. Riferirlo alle persone giuridiche sembra però impossibile: esse dovrebbe prestare la loro opera presso un altro ente – pubblico o privato – in modalità compatibili con le loro esigenze di lavoro e studio; su questo versante – cruciale – occorre arrendersi all’evidenza: questo genere d’obbligazione non s’attaglia alla natura della universitas98, oltre al fatto che – come correttamente rilevato dal Tribunale di Milano – costituirebbe un tipo di pena non previsto dalla legge.

96 V. M.RICCARDI-M.CHILOSI, La messa alla prova nel processo “231”, p. 63 ss.; quest’ultima proposta è ripresa da G. FIDELBO-R.A.RUGGIERO, Procedimento a carico degli enti e messa alla prova, p. 13.

97 Su queste misure premiali, v. R.A.RUGGIERO, Le condotte di collaborazione previste nel d.lg. n. 231 del 2001, p. 397 ss. 98 In maniera del tutto simile a quanto accade al rito immediato custodiale e al direttissimo instaurato a seguito d’arresto in flagranza: i presupposti mal si attagliano alle societas e i rispettivi giudizi non potranno essere instaurati su tali basi.

48 Una diversa lettura tenta d’aggirare l’ostacolo sostenendo che l’ente possa svolgere il lavoro di pubblica utilità mediante i suoi dipendenti99, ma anche questa tesi presenterebbe non pochi inconvenienti: i peccati dell’azienda sarebbero espiati dai lavoratori, cui si chiederebbe di prestare – gratuitamente e in nome dell’impresa – un’opera in favore della collettività.

Lo schema, poi, presenterebbe ulteriori difetti su cui è difficile sorvolare: all’UEPE verrebbero assegnati compiti problematici non tanto (o non solo) per la strutturale carenza di risorse100, ma perché si tratta di un organo formato per fare altro. Con quale professionalità l’assistente sociale potrebbe redigere un piano di “riorganizzazione virtuosa” della persona giuridica? Con quali conoscenze potrebbe valutare le aree di rischio tipiche di una banca, di un’impresa di costruzioni o di una società che produce bevande? La correzione di un modello organizzativo non è affare semplice: occorre saper mettere le mani in un regolamento complesso, che descrive dinamiche aziendali probabilmente oscure a chi non è esperto del settore. Insomma, si finirebbe per affidare l’intera operazione a un ufficio che non ha alcuna competenza specifica per progettarla o per verificarne gli esiti. Tra l’altro, argomentare dal fatto che nel caso di specie l’UEPE di Milano avesse dato il suo assenso alla redazione di un programma sarebbe fuorviante101: non sta infatti l’Ufficio riconoscere e dichiarare i casi di inammissibilità; esso si limiterà piuttosto a fornire la dichiarazione che serve a presentare la domanda102 lasciando impregiudicate tutte le incognite sul piano del diritto: ad affrontarle sarà il giudice.

Anche se si superassero tutti questi profili, resterebbe una difficoltà. Il decreto del 2001 prevede infatti un’ipotesi di sospensione del processo per riparare alle conseguenze del reato: l’ente che non ha potuto provvedere prima ha facoltà di chiedere al giudice, prima della dichiarazione d’apertura del dibattimento, che il processo venga interrotto; alla società verrà dunque assegnato un termine entro il quale risarcire il danno, eliminare le carenze organizzative e mettere a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca. Le condotte non bastano a estinguere l’illecito, ma si potranno apprezzare sul piano cautelare o sanzionatorio; anche i presupposti d’accesso sono diversi, ma il meccanismo non sembra differire per funzionamento e ipotetici contenuti.

Altre tesi, più prudenti, si sono limitate a caldeggiare un adattamento della messa alla prova all’ente, così da poter compensare alcuni squilibri di sistema. La proposta parte infatti da un raggelante bagno di realtà: di tutti i modelli organizzativi che la giurisprudenza ha avuto modo di vagliare, pochi sono rimasti indenni. Nella decisa maggioranza dei casi, l’ente è comunque chiamato a rispondere per il fatto di reato, cosa che rende persino sconveniente prendere precauzioni ante delictum: a fronte di un rischio eventuale, la spesa

99 A.MANNA, Controversie interpretative e prospettive di riforma, p. 257.

100 Più che altro a questo prestano attenzione M.RICCARDI-M.CHILOSI, La messa alla prova nel processo “231”, p. 50, 64, 66-67.

101 Di questa disponibilità danno notizia M.RICCARDI-M.CHILOSI, La messa alla prova nel processo “231”, p. 68. 102 Come vedremo meglio nel prossimo capitolo, essa è contenuto necessario della richiesta di rito.

49 sarebbe certa e, molto probabilmente, inutile. La scelta più razionale, a ben pensarci, sembrerebbe quasi quella di aspettare un guaio giudiziario: il ravvedimento, lo abbiamo visto, è fortemente incentivato103; investire risorse a quel punto sarebbe di certo parecchio remunerativo104.

La messa alla prova, in quest’ottica, potrebbe correggere questa curva, offrendo una via di fuga alle sole realtà che si erano premunite di un modello effettivo, anche se non idoneo: si potrebbe mettere a loro disposizione un’alternativa al procedimento fortemente premiale, ma allo stesso tempo oculata: l’ente dovrebbe infatti risarcire i danni causati e riorganizzarsi secondo un piano presentato al giudice con la richiesta di rito.

Certo, dovrebbero essere previsti meccanismi di raccordo con gli artt. 17 e 49 del decreto, che prevedono rispettivamente la riduzione di pena e la sospensione delle misure cautelari interdittive a seguito di condotte riparatorie e di un impegno verso il risanamento gestionale.

La proposta senz’altro il pregio del realismo: offre una scorciatoia concreta a chi ha già dimostrato buona volontà, sperando che tanto basti a render conveniente l’adozione anticipata di un modello organizzativo. Tuttavia, si aggiungerebbe un’asimmetria di non poco conto. Come abbiamo accennato, il sistema che regola la responsabilità dell’ente riconnette già parecchie conseguenze alle medesime condotte virtuose e anche questa teoria valorizza l’elemento: la messa alla prova non sarebbe estranea alla filosofia del sistema normativo. Tuttavia, dei comportamenti postumi si tiene conto a fini diversi: come abbiamo accennato, valgono tutt’al più ad addolcire la sanzione o la misura cautelare; perché a parità di atteggiamento dovrebbe corrispondere una differenza d’esito così importante? I contenuti che si auspicano per il rito alternativo, infatti, sono gli stessi già previsti dall’art. 17 del decreto105, ma col potere di estinguere l’illecito in virtù dell’esistenza di un preesistente modello, ancorché inidoneo.

Occorrerebbe poi fermarsi a riflettere sul valore della decisione che chiude il processo: si tratta di un provvedimento che afferma l’esito positivo di uno sforzo; il piano di riorganizzazione è stato rispettato, i difetti del precedente assetto sono stati visti ed eliminati: a rigor di logica, dovremmo trovarci davanti a un modello idoneo, dichiarato tale dal giudice, ma che efficacia dovrebbe avere una pronuncia simile? Potrebbe essere spesa nell’ambito di un nuovo accertamento o il giudice successivo potrebbe ritenere inadeguato quello stesso documento? Nulla spinge a credere che il precedente debba essere vincolante:

103 Secondo alcuni, «più che ad un’opportunità, l’ente si trova qui di fronte ad una vera e propria minaccia»: M. CERESA-GASTALDO, La responsabilità degli enti: profili di diritto processuale, p. 328.

104 Per l’analisi in questo senso, v. G.FIDELBO-R.A.RUGGIERO, Procedimento a carico degli enti e messa alla prova, p. 6; il presupposto è del tutto condiviso in dottrina: G.FIDELBO, L’accertamento dell’idoneità del modello organizzativo, p. 173 ss. e, in quella sede, si auspicava come rimedio all’incertezza uno «statuto giurisprudenziale del modello organizzativo», p.195; P.SEVERINO, Il D. Lgs. 231/2001 e la certezza del diritto, p. 270; ID., Intervento, p. 369; A. FIORELLA, Elasticità dei parametri di idoneità dei modelli preventivi e incertezze della ‘pratica’, p. 359; C.PIERGALLINI, Il

modello organizzativo alla verifica della prassi, p. 375 ss; V.MONGILLO, Il giudizio di idoneità del modello di organizzazione ex

d.lgs. 231/2001, p. 69 ss.

105 Emerge in maniera implicita in G.FIDELBO-R.A.RUGGIERO, Procedimento a carico degli enti e messa alla prova, p. 15 s.; lo afferma invece apertamente R.A.RUGGIERO, Sospensione delle misure cautelari nei confronti dell'ente, p. 14.

50 ogni autorità sarà così libera di rivalutare il piano d’organizzazione e gestione in ogni senso, con la sola differenza che la messa alla prova sarà preclusa e, a quel punto, potrebbero esserlo anche i dispositivi di riduzione della pena o di conversione delle misure cautelari106.

La soluzione, inoltre, sarebbe soltanto un palliativo e nemmeno troppo gradevole: si prende atto della patologia del sistema e non si lavora attorno a una soluzione strutturale, capace di dare a imprese e giudici dei criteri più stabili attorno ai quali costruire modelli funzionali, magari coinvolgendo corpi intermedi specializzati107. Si vorrebbe invece introdurre un meccanismo che non neutralizza il male, ma lo presuppone e se ne nutre: partendo da un piano di organizzazione e gestione ritenuto fallace, si dovrebbe lavorare ancora un po’ per rimettere davanti al giudice un modello diverso, valutato a quel punto ex ante. Senza contare che in fondo, anche in questo caso, la “buona condotta” varrebbe all’ente un’ulteriore spesa in termini di riorganizzazione, di assistenza legale e di risarcimento oltre all’investimento iniziale, finalizzato alla redazione di un modello effettivo: la convenienza dell’operazione, insomma, potrebbe non essere tanto evidente.

Tirando le fila, un’ipotesi di diversion per le persone giuridiche sarebbe senz’altro utile e benvenuta, ma non può prescindere da un intervento normativo: la messa alla prova, così com’è scritta, non appare compatibile con il microcosmo 231108.

Ragionando sulla sua introduzione, inoltre, sembrerebbe opportuno differenziare i contenuti rispetto alle altre misure premiali che il decreto già conosce, onde evitare che allo stesso comportamento corrispondano trattamenti radicalmente diversi: un semplice collegamento tra le varie opzioni non sembra essere abbastanza.

La matassa, poi, rimane intatta: la valutazione del modello organizzativo resta un mistero, l’idoneità una chimera; anziché chiarire un passaggio cruciale, lo si accantonerebbe109 e il fallimento del sistema dei modelli continuerebbe a pesare allo stesso modo sugli tutti gli enti, comunque organizzati.

106 La proposta prevede infatti un meccanismo di raccordo tra questi istituti, senza specificare però in che senso. 107 In questa direzione andava un’ipotesi di modifica del decreto: secondo l’art. 1 del A.C. 3640, presentato il 19 luglio 2010, i modelli redatti in conformità alle linee guida di settore avrebbero potuto giovarsi di una presunzione relativa di idoneità; per un commento al disegno di legge, v. B.DELLA VEDOVA, Punire chi commette reati, non

distruggere le imprese, p. 357. Appare invece contraria all’integrazione etero-normativa P.COCO, Problemi attuali del

sistema dei modelli organizzativi, p. 123 ss. Analizza lo stato dell’arte M. COLACURCI, L'idoneità del modello nel sistema

231, p. 66 ss.

Una diversa proposta di riforma, in prevedeva invece la certificazione del modello organizzativo: il testo è pubblicato in Dir. pen. cont. (web), 16 novembre 2010, con osservazioni di M.VIZZARDI-L.SANTA MARIA, Il progetto

di riforma alla “231”; in Cass. pen., 2010, p. 4032, con nota di G.M.FLICK, Le prospettive di modifica del d.lg. n. 231/2001.

108 Caldeggia una novella che possa «ampliare all’ente i nuovi strumenti concepiti per la persona fisica» M.MASUCCI,

Il D. Lgs. 231/2001, p. 266.

109 Per una diversa proposta in questo senso, ispirata al sistema statunitense, v. FED.MAZZACUVA, La diversione

51 CAPITOLO III

LA RICHIESTA