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Franco Alunno

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1975 (pagine 36-43)

Il tentativo di riordinare i numerosi enti pub-blici operanti in Italia, con auspicabili soppres-sioni non è nuovo alla tradizione del Parlamento italiano, anche se i risultati che sono seguiti ad analisi approfondite ed a lunghe discussioni sono in genere stati molto inferiori all'attesa ed hanno avuto un'incidenza molto superficiale sulla com-plessa ed intricata realtà della pubblica ammini-strazione italiana.

Da un punto di vista di crescita democratica, mentre non appare ad essa contraria la soppres-sione di enti strumentali, di enti cioè che perse-guono fini propri dello Stato, molto più delicata si appalesa la decisione sul destino degli enti auto-nomi, di quegli enti cioè che perseguono fini pro-pri considerati di qualche rilevanza dallo Stato che perciò riconosce come pubblici gli enti che li perseguono.

Le Camere di commercio industria, artigianato, e agricoltura rientrano senza dubbio in questa seconda categoria, anche se numerosi compiti da esse svolti le potrebbero far includere fra gli enti strumentali, ma si tratta evidentemente di una uti-lizzazione che lo Stato fa di enti che già e comun-que esistono principalmente per altri fini. Del resto utilizzazioni dello stesso tipo si verificano per i più importanti enti locali, a cominciare da quelli territoriali.

Se l'esistenza delle Camere di commercio ri-sponde ad esigenze di democrazia e bene si in-quadra nel sistema pluralistico configurato nella Costituzione repubblicana, e peraltro nessuna commissione parlamentare ha mai proposto di liquidarle, è doveroso procedere ad una concreta analisi della situazione strutturale e funzionale delle stesse, al fine di esaminare come gli enti camerali possano concretamente svolgere le fun-zioni loro assegnate e quelle nuove eventuali, ponendosi nel contempo come elemento di vita democratica del Paese.

Prima di procedere ad una tale analisi è però opportuno sgombrare il campo da istintivi e sto-ricamente giustificati pregiudizi che si nutrono per enti rappresentativi di categorie economiche contrapposte. Le corporazioni di origine medioe-vale sopravvissute fino alle soglie del XIX secolo come centri di gelosa conservazione di privilegi, la dottrina corporativista di marca fascista, che ha utilizzato la corporazione di settore per annul-lare il potere sindacale dei lavoratori, costitui-scono ricordi troppo deludenti perché le Camere di commercio possano oggi sfuggire alla diffidenza di chi le rifiuta o per lo meno non si preoccupa di valorizzarle. L'attributo di « corporativo » inteso come atteggiamento teso alla promozione di inte-ressi di categorie determinate, senza la minima preoccupazione di impostare tale atteggiamento nel più vasto quadro dell'interesse generale, è suf-ficiente a frenare ogni tentativo di sviluppo e di crescita dell'ente camerale.

L'interrogativo che si deve porre è dunque quello di sapere se un ente che pretenda di rap-presentare a livello locale tutte le categorie econo-miche della provincia ha ragione di esistere nel nostro Stato. Oppure se non è più opportuno affi-dare la rappresentanza di quelle categorie agli enti locali territoriali che della popolazione tutta han-no una rappresentanza generale.

A livello centrale la nostra Costituzione ha isti-tuito il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro definito organo di consulenza delle Camere e del Governo, composto di esperti e di rappre-sentanti delle categorie produttive, con funzioni di concorso nella elaborazione della legislazione economica e sociale.

A livello locale, analoga funzione di consu-lenza in materia economica e sociale nei confronti degli enti locali e degli uffici periferici dello Stato potrebbe essere svolta dalle Camere di commer-cio. A titolo di esempio, si ricorda che i Comitati

provinciali dei prezzi si valgono di una Commis-sione consultiva provinciale, composta da funzio-nari di uffici pubblici e da rappresentanti dei consumatori, degli utenti, dei produttori e dei commercianti, nominati dal Prefetto su designa-zione di quelle associazioni, che siano interessate alla tutela delle categorie suddette.

È chiaro come una rappresentanza del genere di quella richiesta per la Commissione già citata si realizza nella Camera di commercio, che po-trebbe pertanto funzionare da Commissione con-sultiva. Ma l'esemplificazione che riguarda l'ar-gomento dei prezzi induce subito ad allargare la prospettiva ed a considerare l'opportunità di affi-dare alle Camere di commercio una serie di fun-zioni organiche in materia di politica dei consumi, soprattutto per quanto attiene alla promozione e al controllo di particolari forme di vendita, e alla commercializzazione dei prodotti agricoli.

Tornando alla funzione consultiva, il ruolo delle Camere di commercio dovrebbe trovare un grosso sviluppo nel rapporto con le Regioni. Tutti gli statuti regionali infatti hanno sancito solenne-mente il principio della partecipazione che si rea-lizza soprattutto attraverso la consultazione. Lo Statuto della Regione Piemonte all'art. 2, 3° com-ma, recita: « La Regione afferma che il concorso degli enti locali e l'apporto dei sindacati dei lavo-ratori, delle organizzazioni di categoria, delle formazioni sociali e di tutti i cittadini è elemento fondamentale della politica regionale », e ancora all'art. 9: « La Regione consulta gli enti locali, i sindacati dei lavoratori, le organizzazioni di ca-tegoria, le formazioni sociali, le istituzioni cultu-rali, le associazioni e gli organismi in cui si articola la comunità regionale ».

Una Camera di commercio, riorganizzata se-condo criteri di rappresentatività, può costituire il luogo di incontro degli interessi delle categorie economiche e quindi elemento di sintesi delle di-verse posizioni. Non si vuole con ciò imporre ai sindacati dei lavoratori e alle organizzazioni di categoria un passaggio obbligato, sempre e co-munque, attraverso la comune organizzazione, ma è ragionevole pensare che molti punti di vista e proposte degli stessi possano essere filtrati e, cosi unificati, offerti all'esame della Regione. E questo si afferma tenendo anche conto della funzione tecnica, che già le Camere di commercio svolgono, di osservatorio della realtà economica locale. Lun-gi dall'appesantire il procedimento di consulta-zione, come oggi si realizza, l'intervento della

Camera di commercio, che già adesso peraltro viene consultata, avrebbe il pregio di presentare alla Regione un materiale già elaborato, discusso e sintetizzato, in luogo di tanti pareri diversi e slegati.

Il carattere di rappresentanza degli interessi economici locali, che si estrinseca soprattutto in proposte e pareri, ma che non ignora funzioni di promozione e di controllo, ci sembra il dato fon-damentale da sviluppare e valorizzare per una più efficiente utilizzazione degli enti camerali.

Fra gli altri compiti che le Camere di commer-cio svolgono, vi è quello di raccogliere e pubbli-care notizie sull'economia della provincia; come si esprimeva il R. D. L. 8 maggio 1924, n. 750, esse « funzionano da osservatori del movimento delle industrie e del traffico, raccogliendo ed ela-borando notizie e dati relativi all'industria e al commercio del proprio distretto », e sono inoltre definite « organi corrispondenti della direzione generale della statistica ». In effetti le Camere di commercio hanno sempre pubblicato relazioni sull'andamento economico e compendi statistici e hanno funzionato da organi periferici dell'Istituto centrale di statistica. Con la istituzione delle Regioni a statuto ordinario è stato posto il pro-blema della partecipazione delle Regioni stesse alla gestione della informazione statistica, con ten-denza ad attenuare l'attuale sistema centralizzato. Il modello da seguire potrebbe ravvisarsi nel si-stema statistico tedesco, nel quale i compiti degli uffici centrali e dei singoli Stati sono coordinati in modo da garantire l'autonomia degli Stati, che possono eseguire statistiche particolari secondo le loro necessità e senza rapporto con gli uffici fede-rali. In un quadro del genere le Camere di com-mercio potrebbero svolgere la funzione di organo tecnico delegato dalla Regione.

Tralasceremmo di accennare in questa sede alle funzioni di tenuta di albi e registri e di certificazione, se ben tre dei cinque disegni di legge presentati in Parlamento non affidassero alle Camere di commercio il compito della tenuta del Registro delle imprese previsto nell'art. 2188 del Codice Civile. Come è noto il detto Registro non è mai entrato in funzione, non essendo state ema-nate le disposizioni relative alla sua istituzione, di cui all'art. 99 disp. alt. C.C.; e per tutta una serie di alti elencali nel successivo art. 100 è stata prescritta in via transitoria, l'iscrizione nei registri di cancelleria presso il Tribunale. In tal modo è venuta a mancare ogni forma di pubblicità per le

ditte individuali. La istituzione del Registro delle imprese colmerebbe pertanto una grossa lacuna nel campo della pubblicità legale e l'affidamento dello stesso alle Camere di commercio, sotto la sorveglianza di un giudice delegato dal Presidente del Tribunale troverebbe giustificazione nella lun-ga esperienza e nella disponibilità delle stesse Ca-mere di quasi tutti gli elementi necessari. Del resto la recente attribuzione alle Camere di com-mercio dei capoluoghi di regione della pubblica-zione del Bollettino ufficiale delle s.p.a. e a r.l. ha introdotto le Camere stesse nel campo della pub-blicità legale.

Un altro importante settore nel quale sarebbe opportuno rivedere i compiti delle Camere di commercio è quello dell'istruzione professionale. Attualmente le Camere, oltre a partecipare alla vita dei Consorzi provinciali per l'istruzione tec-nica soprattutto con il finanziamento, sono inve-stite delle funzioni previste ai nn. 4) e 5) dell'ar-ticolo 30 del T.U. del 1934 e cioè:

— « promuovono la fondazione di istituti di istruzione professionale e di altre istituzioni nel-l'interesse dello sviluppo economico della pro-vincia;

—- propongono al Ministero dell'educazione nazionale le modificazioni e gli adattamenti dei programmi degli istituti di istruzione tecnica, in relazione con le condizioni locali e con le esi-genze particolari ».

Il D.P.R. 31-5-1974, n. 416 che istituisce i Distretti scolastici assegna alle Camere di com-mercio il compito di designare il rappresentante degli imprenditori nei Consigli di distretti. La funzione affidata alle Camere è una funzione di coordinamento fra le associazioni imprenditoriali locali e sembra esaurirsi con la designazione, sen-za implicare ulteriori compiti di partecipazione alla vita dei Consigli distrettuali.

Una rappresentanza generale delle categorie economiche comporterebbe invece una partecipa-zione dell'ente ai Consigli sia pure con predeter-minazione delle categorie di appartenenza dei designandi.

L a struttura.

L'attuale struttura degli organi camerali è di tipo commissariale. Infatti l'art. 4 del D.L.L. 21 settembre 1944 n. 315 stabilisce che « le Camere

sono amministrate da un Consiglio elettivo la cui composizione ed elezione sarà regolata dal de-creto di cui all'art. 8. Il Consiglio eleggerà nel proprio seno il Presidente ed i Vice presidenti ». L'art. 8 a sua voTfa rinvia ad un successivo de-creto le norme relative alla costituzione al perso-nale e al funzionamento delle Camere; fino alla emanazione del decreto, le Camere saranno am-ministrate da una Giunta composta da un Presi-dente, nominato dal Ministro per l'industria e il commercio e da sei membri in rappresentanza delle categorie economiche della provincia nomi-nati dal Prefetto. La sistemazione, che nelle inten-zioni del legislatore doveva avere un carattere provvisorio, si trascina ormai da trent'anni e limi-ta fortemente la rappresenlimi-tatività degli enti ca-merali.

È evidente che la natura di enti autonomi delle Camere di commercio di enti cioè che perseguono fini che non sono propri dello Stato, ma che lo Stato riconosce degni di tutela, impone un modo di formazione degli organi delle stesse che sia appunto espressione di autonomia. Con ciò si vuole affermare che il permanere di una struttura del genere di quella esistente, che abbiamo defi-nito di tipo commissariale, e che sarebbe più pro-pria di enti strumentali, rischia di ripercuotersi sul concreto operare delle Camere togliendo loro capacità di iniziativa nel campo della promozione degli interessi economici locali, e cioè, in defini-tiva, di svolgere quelle funzioni che ne giustifi-cano l'esistenza.

Per quanto riguarda concretamente la forma-zione e la composiforma-zione dei Consigli camerali, vi è concordanza sull'opportunità di demandare la designazione alle associazioni di categoria e non ricorrere ad elezioni dirette da parte di tutti gli appartenenti alle categorie; si pensi peraltro come sarebbe complicata la formazione di liste eletto-rali dei lavoratori dipendenti. La nomina dovreb-be avvenire ad opera del Presidente della Giunta regionale.

La composizione che appare più confacente è quella che riserva due quinti dei consiglieri agli imprenditori, compresi i lavoratori autonomi, due quinti ai lavoratori dipendenti ed un quinto ad esperti e rappresentanti degli ordini professionali. Nell'ambito delle dette proporzioni, una legge re-gionale dovrebbe stabilire per ciascuna provincia, il numero dei consiglieri e le associazioni cui spetta la designazione. Il Consiglio dovrebbe prov-vedere alla elezione del Presidente e della Giunta

esecutiva. Molte delle numerose funzioni consul-tive potrebbero essere affidate a speciali commis-sioni o sezioni del Consiglio, eventualmente inte-grate con membri esterni al Consiglio stesso.

Vigilanza e controlli.

Il sistema attuale dei controlli è quello fissato con il T.U. n. 2011 del 1934, nulla prevedendo in proposito il D.L.L. n. 315 del 21-9-1944. In forza del detto testo unico sono soggetti all'ap-provazione del Ministro per le corporazioni (ora Ministro dell'industria, del commercio e dell'arti-gianato) il bilancio preventivo, lo storno dei fon-di, il conto consuntivo, la situazione patrimoniale, i regolamenti, la stipulazione di mutui, la costi-tuzione di aziende, gestioni o servizi speciali e la partecipazione ad essi; ed inoltre tutte le delibe-razioni che determinino impegni o oneri o varia-zioni nel patrimonio del Consiglio. L'acquisto di immobili deve essere autorizzato con decreto. È stabilito inoltre che non oltre i sette giorni suc-cessivi alla pubblicazione, l'elenco delle delibe-razioni è comunicato al Ministero dell'industria.

È da notare anche che l'art. 10 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, istitutivo dell'imposta locale sui redditi, dispone al 3° comma che « l'ali-quota (dell'ILOR) per le Camere di commercio, industria, agricoltura e artigianato, di cui alla lettera d) del precedente articolo, è stabilita an-nualmente entro il 30 novembre con decreto del Ministro per l'industria, il commercio e l'artigia-nato in sede di approvazione del bilancio ».

Per quanto riguarda il personale, la materia è ora regolata dalla legge 23 febbraio 1968 n. 125 e dal decreto interministeriale 16 marzo 1970, in forza dei quali i ruoli devono essere istituiti dai singoli enti camerali, con l'approvazione del Ministero dell'industria, del commercio e dell'ar-tigianato; più in particolare l'art. 93 del citato decreto interministeriale stabilisce che sono sog-getti all'approvazione da parte del Ministero del-l'industria, del commercio e dell'artigianato, di concerto con il Ministero del tesoro, i provvedi-menti camerali relativi alla modifica delle tabelle organiche; sono soggette al visto del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato le deliberazioni concernenti il personale camerale adottate dalla Giunta camerale in veste di Con-siglio di Amministrazione.

Altre forme di controllo del Ministero sulle Camere di commercio si realizzano con le

ispe-zioni ed i controlli sostitutivi, qualora gli organi delle Camere omettano di fare ciò a cui sarebbero tenuti per legge, per regolamento o per il conse-guimento delle finalità essenziali dell'Ente. Inol-tre in qualunque tempo il Ministro può pro-muovere l'annullamento delle deliberazioni degli organi camerali, quando siano contrarie alle leggi, ai regolamenti o alle finalità essenziali dell'Ente.

Una tale norma ricalca quella relativa ai Co-muni e alle Province allargando però pericolosa-mente la possibilità di intervento del Governo ai motivi di merito. Rientra infine fra i poteri di vigilanza del Ministero dell'industria la compe-tenza in materia di nomina degli organi camerali, già ricordata. Concretamente i controlli ministe-riali hanno manifestato, nel trentennio di vita democratica della nazione, una chiara ed univoca tendenza ad impartire direttive ed a sindacare tutta l'attività degli enti camerali, tendenza am-piamente documentata da una serie ininterrotta di circolari che mirano a disciplinare dettagliata-mente il funzionamento delle Camere ed a tenere tempestivamente informato il Ministero stesso su tutte le loro attività.

Un sistema di controlli come quello descritto, appare chiaramente in contrasto con il dettato della Costituzione e se è potuto legittimamente sopravvivere fino alla entrata in funzione delle Regioni a statuto ordinario, non trova adesso nes-suna giustificazione e richiede anzi una pronta riforma.

L'art. 130 della Costituzione stabilisce infatti che un organo della Regione esercita il controllo di legittimità sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali. In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito, nella forma di richiesta motivata agli enti delibe-ranti di riesaminare la loro deliberazione.

Non essendovi alcun dubbio che le Camere di commercio siano da annoverare fra gli enti locali, i controlli in atto risultano viziati per due ordini di motivi: innanzitutto perché sono affidati ad un organo dello Stato e non della Regione e in se-condo luogo perché attengono anche al merito con modalità diverse da quelle fissate nel secondo comma del citato art. 130.

L'ingerenza degli organi statali dovrebbe di conseguenza essere esclusa innanzitutto per tutto quanto attiene alla formazione degli organi came-rali. In analogia a quanto avviene per le Province e i Comuni, potrebbe invece prevedersi la possi-bilità per il Governo di promuovere

l'annulla-mento delle deliberazioni per motivi di legitti-mità, e lo scioglimento degli organi camerali in caso di persistente violazione di obblighi loro imposti per legge o per motivi di ordine pubblico.

Più delicata appare la gestione dei controlli sugli atti delle Camere che riguardano materie nelle quali le stesse operano in virtù di decentra-mento di attribuzioni proprie dello Stato e come strumenti di questo, o comunque su atti che non vertono su materie di competenza regionale, ex art. 117 Cost. La strada imboccata dai presenta-tori delle proposte di legge attualmente in attesa di esame da parte dei due rami del Parlamento è quella della delega; « lo Stato delega alla Regione che lo esercita nelle forme previste dall'art. 130 della Costituzione, l'esercizio del controllo di le-gittimità e di merito sugli atti relativi a materie di competenza statale »: questa è la formulazione della proposta di legge n. 2482 presentata alla Camera dei deputati dall'on. Piccoli e altri. La stessa proposta però sottopone le Camere di com-mercio e le loro unioni all'alta vigilanza del Mi-nistero dell'industria ed aumenta sostanzialmente i poteri di tutela e di intervento del Ministero stesso sulla attività degli istituti camerali.

Nonostante l'affermazione di autonomia dichia-rata nella delega, la situazione che deriva dalla proposta citata è sostanzialmente centralizzante e profondamente limitativa dell'autonomia delle Camere di commercio, perché da un lato conserva ed anzi allarga le competenze ministeriali e dal-l'altro aggiunge un nuovo controllo da effettuarsi dai Comitati regionali di controllo.

Ben diverso è l'avviso del CNEL che « ritiene che all'apposito organo regionale debba spettare il controllo di legittimità e quello di merito sugli atti principali degli enti camerali. Di fronte alla spinosa questione che sorge a questo proposito per gli atti delle Camere relativi alle materie che sia attualmente sia in futuro costituiscono o co-stituiranno materie di competenza dell'Ammini-strazione diretta centrale dello Stato, l'Assemblea è del parere che, almeno nella fase evolutiva at-tuale della materia, la strada più opportuna da seguire sia quella costituita da una specifica de-lega dello Stato per il controllo su tali atti ali or-gano regionale di cui sopra ».

L'assemblea del CNEL dichiara anche esplici-tamente che la funzione di controllo dell'organo regionale sia esclusiva, ossia non concomitante a preesistenti e persistenti controlli di vari organi dello Stato.

Probabilmente una soluzione di questo tipo im-porta una limitazione del potere dello Stato supe-riore a quella che lo Stato ha subito nei confronti di Province e Comuni. Infatti l'art. 59 della legge 10 febbraio 195!Tn. 62 prevede nel 1° comma che gli organi di controllo (regionali) esplichino, nei confronti delle Province e dei Comuni, il control-lo di legittimità e quelcontrol-lo sostitutivo deferiti al Pre-fetto ed alla Giunta provinciale amministrativa

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1975 (pagine 36-43)