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Guglielmo Tagliacame

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1975 (pagine 43-46)

Premesse.

Chi h a assistito, come noi, alla Conferenza mondiale della popolazione, tenutasi a Bucarest e organizzata dalle Nazioni Unite, quale manife-stazione conclusiva dell'« anno mondiale della popolazione », h a raccolto un ricco bagaglio di notizie, di statistiche, di documenti, di idee. È interessante ricavare da tutto ciò qualche anno-tazione, giacché il tema è estremamente appas-sionante; è alla base della nostra vita e ha riflessi sociali, economici e morali che si proiettano nel futuro: u n futuro da fare paura o da guardare con fiducia e speranza?

Gettiamo uno sguardo alle suggestive rappre-sentazioni grafiche, diffuse a Bucarest, del popola-mento del nostro pianeta dai tempi più antichi a oggi e al 2000. Due mila anni fa la Terra era abitata appena da 250 milioni di abitanti, ora ne contiamo quasi 4000 milioni, cioè 16 volte tanti. Alla fine di questo secolo si calcola che gli abi-tanti sulla Terra raggiungeranno 6400 milioni.

Queste cifre e i relativi grafici fanno venire il capogiro, com'era evidentemente nelle intenzioni degli organizzatori della Conferenza di Bucarest. Ma se invece degli « omini » si fossero collocati nelle sfere che raffigurano il nostro pianeta, nei vari tempi, altri disegni: spighe di grano, bovini, sacchi di patate, botti di olio, alberi di frutta, officine, ecc., avremmo avuto sotto i nostri occhi una crescita di intensità di risorse sul nostro pia-neta ben superiore a quella degli abitanti: u n a crescita che ci avrebbe sollevati dall'angoscia prodotta dai disegni qui riprodotti. Certamente se la popolazione oggi gode un tenore di vita enor-memente superiore a quello di duemila, di mille, di cinquecento o cento anni fa, significa che le risorse sono aumentate ben più del numero di

abitanti. 11 dubbio che può nascere è sul futuro: la crescita della popolazione minaccia di supe-rare in avvenire quella delle risorse? La paura o la fiducia nascono dalla risposta a questa doman-da. Pessimisti e ottimisti si affrontano, gli uni e gli altri « armati » di dati e di previsioni stati-stiche. È difficile dire chi meriti maggiore credi-bilità. Noi siamo fra gli ottimisti, ma chi sa se siamo nel torto o nella ragione! Il passato ci con-forta. Quanto volte, nei lontani anni, quando andavamo a scuola, abbiamo « appreso » che era imminente l'esaurimento dell'acqua, del ferro, del carbone, della terra coltivabile, ecc. I timori si sono dimostrati infondati. Oggi, che viviamo nel-l'èra del petrolio — e ne siamo angosciati — si prevede l'esaurimento delle risorse petrolifere; ma da ogni parte si scoprono altri pozzi — persino in Italia — e si prevede lo sfruttamento di altre fonti energetiche, anche del sole.

Torniamo alla Conferenza di Bucarest e ai commenti che l'hanno accompagnata. Le opinioni si sono manifestate non soltanto discordi, ma net-tamente contrapposte. Due tesi agli antipodi si riassumono nei titoli di due scritti ospitati dal « Corriere » dell'Unesco, in un'edizione — vera-mente esemplare per la ricchezza della documen-tazione e l'obiettività — curata in occasione del-la Conferenza mondiale deldel-la popodel-lazione:

Dra-stica riduzione della popolazione, maggiore be-nessere è il titolo di uno scritto di Frank W .

Note-stein; Quando cresce la gente, cresce la

prospe-rità, è il titolo di u n altro articolo di Julian L.

Simon. Le due opposte tesi si possono entrambe sostenere ragionevolmente: ciò dipende dal fatto che le situazioni demografiche, sociali ed econo-miche sono diverse da paese a paese e da tempo a tempo. Per ogni popolo esiste un ritmo di aumento diverso con diversi interessi politici e nazionali. Non si può quindi pensare di adottare

un criterio unico, universale nel considerare il problema della popolazione. Ciò è risultato chia-ro dai dibattiti di Bucarest e dalle diverse poli-tiche di pianificazione esposte. Un brevissimo « campione » di dette politiche può essere istrut-tivo.

In Egitto si tende a raggiungere nel 1978 un tasso di nascite del 30 per mille abitanti (in Italia il tasso è del 16 per mille). Nel Kenia, nel Mada-gascar e in Tunisia si prospettano drastiche dimi-nuzioni delle nascite nel quadro di un'ampia pia-nificazione familiare. Negli Stati Uniti d'America i servizi di pianificazione familiare sono diffusis-simi nel quadro di una « crescita zero », che si va predicando da qualche anno. Il Giappone, il Ban-gladesch, il Nepal e altri paesi dell'Asia si preoc-cupano dell'eccesso di popolazione e praticano una politica favorevole alla diminuzione delle nascite. In genere i paesi usciti recentemente dalla soggezione delle potenze colonialiste o che atten-dono l'indipendenza, manifestano l'intenzione di aumentare la loro popolazione. Il rappresentante del Comitato di liberazione dell'Angola, presente a Bucarest, ha dichiarato che il suo paese, anziché cinque milioni di abitanti, quanti ne ha ora, può ospitarne 50 milioni, in considerazione delle vaste risorse disponibili che attendono di essere sfrut-tate. Favorevoli allo sviluppo della popolazione si sono espressi tutti i paesi dell'America Latina, Cile e Brasile in testa.

Un atteggiamento a sé stante è quello manife-stato dai paesi socialisti. L'Unione Sovietica por-ta avanti quespor-ta formula: « l'esperienza storica mostra che l'aumento della popolazione non è di ostacolo allo sviluppo economico e culturale. Poiché la vita sociale è basata sulle condizioni e sul livello della produzione materiale, si deve concordare lo sviluppo economico e sociale con l'aumento della popolazione adattando questo a quello: si deve tendere, cioè, ad assicurare tassi di crescita economica che sorpassino i tassi di crescita demografica e garantiscano un più alto livello di vita a tutta la popolazione ». Anche la Cina considera che si debba — e dichiara che si può — sviluppare la produzione di beni per con-sentire la crescita della popolazione; senza però trascurare nello stesso tempo la diffusione della programmazione familiare. L'osservatore cinese alle Nazioni Unite, il signor Yu, ebbe a dichia-rare: « è erroneo e falso dire che la sovrappopo-lazione è la causa maggiore della povertà e delle condizioni arretrate dei paesi dell'Asia,

dell'Afri-ca e dell'Ameridell'Afri-ca Latina, che un controllo delle nascite è decisivo per risolvere i problemi dell'ar-retratezza e della povertà ».

La posizione demografica dell'Italia.

E l'Italia? Il nostro paese era rappresentato a Bucarest da un gruppo di demografi ed econo-misti ed esponenti del Governo, che hanno lavo-rato intensamente specialmente nelle riunioni di gruppo per la messa a punto delle decisioni da sottoporre all'Assemblea. La linea di condotta della nostra delegazione è stata un poco gene-rica, senza sbilanciarsi da una parte o l'altra (l'Italia non ha una politica demografica) con enunciazione di principi ragionevoli che, eviden-temente, non potevano scontrarsi con quelli della Santa Sede, pure essa presente e combattiva, a sostegno della dignità umana, quindi contro ogni forma di controllo delle nascite, liberalizzazione dell'aborto, sterilizzazione e uso dei prodotti anti-fecondativi.

Parlando dell'Italia, quello che interessa non è il rapporto ufficiale presentato a Bucarest, ma la sua posizione demografica. La natalità in Italia è scesa precipitosamente: da 35 nati per mille abitanti un secolo addietro, si è scesi al 29 per mille cinquant'anni fa, al 18 per mille venti anni fa, sino al 16 per mille nel 1974, che è uno dei tassi di natalità più bassi del mondo. Aggiungasi, come è dimostrato in uno studio promosso dal-l'Istituto di demografia dell'Università di Roma, diretto dalla professoressa Nora Federici, che at-tualmente la fecondità italiana si colloca intorno a valori pressoché pari al « livello di sostituzio-ne », che lasciano prevedere il raggiungimento della stazionarietà della popolazione intorno al-l'inizio del secolo venturo, cioè fra venticinque anni.

In altri termini il problema della sovrappopo-lazione italiana e della crescita demografica non è tale da giustificare la necessità di una drastica politica antinatalista, come si sta predicando en-faticamente da più parti in Italia con ragiona-menti e proposte assurde, appoggiate a pronostici di incombenti catastrofi.

Recentemente si è tenuto a Roma un convegno nel quale queste previsioni apocalittiche sono state ripetute con considerazioni stravaganti. Fra le quali, eccone una a titolo di esempio: se si passasse dall'attuale quoziente di 16 nati per mille abitanti al 12 per mille, si avrebbe nel periodo

1971-2000 una minore crescita della popolazione in età di lavoro di circa 6.300.000 unità; la do-manda di posti-asilo risulterebbe inferiore di 500.000 unità rispetto a quella che si avrebbe in base allo sviluppo attuale; cosi pure la doman-da di posti nella scuola d'obbligo diminuirebbe di 1.900.000 unità, e nella scuola superiore di S40.000 unità. Nel settore delle abitazioni il fab-bisogno aggiuntivo risulterebbe inferiore di otto milioni 400 mila vani. Non sappiamo quali pos-sano essere le reazioni dei nostri lettori di fronte a queste cifre. La nostra reazione è questa: ben vengano quei lavoratori, essi creeranno nuova ricchezza. Invece di preoccuparci di diminuire i bambini che vanno all'asilo e i ragazzi che vanno a scuola, preoccupiamoci di creare un maggior numero di asili, di aule e di scuole. Invece di pen-sare al bisogno di un crescente numero di abita-zioni, mettiamoci all'opera per costruire maggiori alloggi: la crisi attuale delle abitazioni non è dovuta all'eccesso di popolazione, ma alla defi-cienza delle costruzioni.

Nell'indicare i « vantaggi » della riduzione delle nascite, ci si dimentica o si ignora che ne deriva un aumento della popolazione vecchia. Ci-tiamo ancora la professoressa Nora Federici: attualmente la proporzione degli ultra sessantenni nella popolazione italiana è del 13-14 per cento abitanti, e fra 25-30 anni si avvicinerà al 25 per cento: ciò, secondo la tendenza attuale; quanti sarebbero, riducendo la natalità al 12 per mille?

Q u a n d o si parla di boom delle nascite, di ma-rea di abitanti, di bomba P (Popolazione), si deve distinguere la situazione dell'India sovraffollata, da quella di molte aree sottopopolate, da quella dei paesi europei, da quella dell'Italia. L'errore che si commette è di considerare il problema del-la popodel-lazione come un tutto unico, mentre è enormemente differenziato.

L e prospettive: spostamento dell'asse demogra-fico, e c o n o m i c o e di potere.

Non vogliamo appesantire questo breve arti-colo con tante statistiche, di cui si è fatto largo uso (ciascuno a modo suo) nei dibattiti svoltisi a Bucarest; ci limitiamo soltanto a presentare un prospetto con i dati del 1925, quelli attuali e quelli previsti fra 25 anni, cioè al 2000, per il totale mondiale, ripartito in otto grandi aree, se-condo i rilievi delle Nazioni Unite. Sono cifre da meditare.

Aree

Popolazione

n. abitanti in milioni sul totale mondiale Percentuali 1925 1975 2000 1925 1975 2000

America del Nord 125 237 296 6,4 5,9 4,6

Europa 339 474 540 17,3 11,9 8,4 URSS 168 255 321 8,6 6,4 5,0 Asia Orientale 571 1.005 1.373 29,1 25,2 21,4 America Latina 98 326 625 5,0 8,2 9,8 Africa 153 402 834 7,8 10,1 13,0 Asia meridionale 497 1.268 2.384 25,4 31,8 37,2 Oceania 9 21 33 0,5 0,5 0,5 Totale mondiale 1.960 3.988 6.406 100,0 100,0 100,0

Fonte: Nazioni Unite.

Le cifre del nostro prospetto mostrano il forte declino, sul totale mondiale, della popolazione dell'area occidentale e dei paesi ricchi. La popo-lazione dell'Europa scende dal 17,3 per cento nel

1925 a 8,4 per cento nel 2000: vale a dire la sua quota si riduce a meno della metà. Si restringe anche la quota delle due superpotenze, Stati Uniti e URSS: aumentano invece notevolmente le quo-te rappresentaquo-te dall'America Latina, dall'Africa e dall'Asia meridionale; fra Africa e Asia me-ridionale si supererà il 50 per cento della popolazione mondiale. È il declino delle Potenze oggi dominanti a favore delle aree sottosvilup-pate, il cosi detto Terzo Mondo, che f r a venti-cinque anni costituirà 1*82 per cento della popo-lazione di tutto il mondo, mentre America setten-trionale, Europa e URSS non rappresenteranno complessivamente che il 18 per cento. Si consi-deri inoltre che, mentre i paesi dell'Occidente avranno una popolazione con un forte peso di persone anziane, quelli del Terzo Mondo potran-no contare su un'alta quota di giovani.

L'asse di potere si sposterà quindi su posizioni ben diverse da quelle attuali. È probabilmente in questa prospettiva che i paesi ricchi si affannano tanto a proclamare la necessità di ridurre le na-scite, di adottare la politica della crescita zero — per tutti i paesi — con severe leggi che limi-lino la libertà riproduttiva del singolo, nel nome di una ipotetica giustizia sociale e nell'interesse della collettività u m a n a (o dei paesi al tramonto!).

Verso il futuro.

È probabile che alla fine di questo secolo la popolazione mondiale si aggiri fra i sei e i sei

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1975 (pagine 43-46)