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Gian Federico Micheletti

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1975 (pagine 54-59)

Mai come dopo « lo scossone del petrolio » si è tanto parlato di trasferimento delle tecnologie, e mai si è notato così manifesta-mente un certo « revirement » d'impostazioni, come in questo caso.

Trasferimento di tecnologie e trasferimento di processi (know-how) produttivi avevano assunto sino all'autunno 1973, alcuni si-gnificati fondamentali, che qui esponiamo con molta franchezza di linguaggio:

— per i Paesi già in corso di sviluppo, una richiesta urgente che fossero loro consentiti l'ac-quisto e l'importazione di pro-cessi ed applicazioni tecnologici nuovi, affinché non fossero ral-lentati i loro impegni ed i loro sforzi per assicurarsi una gra-duale struttura industriale;

— per i Paesi molto arretrati, una preghiera di assistenza, per realizzare almeno le premesse necessarie ad un primo decollo di sviluppo;

— per i Paesi industrializzati ad economia di mercato, un in-sieme di promettenti occasioni per collocare progetti e brevetti, per penetrare su mercati interes-santi, con proprie filiali o società multinazionali o transnazionali, per cedere tecnologie, sovente già in via di obsolescenza a cau-sa di tecnologie più avanzate

prossime a comparire (si noti che il trasferimento costituiva e co-stituisce tuttora, in paesi ad eco-nomia di mercato, un'attività ti-pica di imprese private; i governi vi svolgono un ruolo minimo, appena burocratico);

— per i Paesi industrializza-ti ad economia socialista, un mezzo per favorire la propria bi-lancia commerciale, tramite com-pensazioni con prodotti agricoli e materie prime, oltre che un mezzo di penetrazione economi-co-ideologica.

Insomma, c'era da un lato la schiera di coloro che chiedevano (i paesi in corso più o meno av-viato di sviluppo) e dall'altro la-to la schiera di coloro che con-cedevano, con proprio buon tor-naconto.

Le cose cominciarono ad evol-versi pian piano, alla luce dei dati concreti e dei risultati d'una casistica che andava raccoglien-do indicazioni significative, del-l'una e dell'altra provenienza. Infatti, sempre valendo la poten-za del detto « les affaires sont les affaires », molte delle pre-messe ideali, etiche, umanitarie, comunitarie, si sbiadirono e pre-valsero le consuete strategie de-gli ambienti tecnico-commerciali. Cosi — e riassumiamo — dalla sponda dei richiedenti si comin-ciò a deplorare che le tecnologie

ed i know-how venissero effet-tuati in condizioni gravose per il più debole, che le clausole limi-tative delle concessioni risultas-sero preminenti e dannose, che i ricatti fossero sempre in agguato tramite la messa a disposizione di personale specializzato ed il rifornimento dei pezzi di ricam-bio od ancora la manutenzione o la stessa disponibilità di certe materie prime; senza contare li-mitazioni o proibizioni verso de-terminate aree di mercato stra-niere (e talvolta persino interne) con l'obbligo di acquistare ele-menti sussidiari, materiali acces-sori, strumentazioni, apparec-chiature e così via da fornitori imposti dalle aziende che aveva-no ceduto od intendevaaveva-no cedere proprie tecnologie.

Dalla sponda dei concedenti si alzavano, per converso, altre lamentele; infatti accadeva che, un po' per difesa ed un poco per ritorsione, i paesi acquirenti fa-cessero ricorso a disposizioni in-direttamente lesive degli accor-di: ne citiamo le più vistose, come quelle di imporre aggravi doganali d'importazione, o bloc-care nel proprio Stato i proventi della vendita delle tecnologie o quanto meno dei profitti in caso di pattuita cointeressenza, o di azioni ritardanti nelle disponibi-lità di ampliamenti, od ancora aggiramenti degli impegni

limi-fativi di operare solo su mercati prestabiliti.

È evidente che, determinatasi questa situazione, non potevano non levarsi le prime voci, ten-denti a segnalare le distorsioni verificatesi nella pratica, ed a domandare sia la regolamenta-zione, sia l'unificaregolamenta-zione, di tutta la complessa e delicata vicenda. Si cominciarono a valutare gli aspetti giuridici, economici, tec-nici ed a segnalarne effetti colla-terali, sociali e psicologici. I Pae-si in via di sviluppo Pae-si fecero portavoce vieppiù insistenti, ma le cose sarebbero grosso modo rimaste allo stesso punto, in un duro gioco di interessi e di con-tratti bilaterali fra singoli part-ners se — come s'è detto all'ini-zio — non fosse sopraggiunto lo scossone del petrolio.

Ciascuno, allora, fece i conti in casa propria e ciascuno dei Paesi industrializzati agghiacciò con intensità proporzionale al proprio livello di industrializza-zione. Poi ciascuno volse gli oc-chi intorno, per riconoscere i compagni di sventura e per ve-rificare che cosa stesse succeden-do in casa d'altri. Le risposte non tardarono a giungere ed a provo-care tutt'altro tipo di classifica-zione: si distinsero i Paesi in via di sviluppo (un tempo denomi-nati sottosviluppati o terzi) con il suolo inzuppato di petrolio e flussi di valuta disponibili, ri-spetto ai Paesi in via di sviluppo, senza petrolio e quindi solo « in via ».

Pochi posero mente al fatto che il petrolio è soltanto uno dei vari e concreti « argomenti » che il Terzo Mondo può maneggiare; essendo il più immediatamente attaccabile e vulnerabile, proprio perché costituisce la preminente fra le attuali fonti di energia, tutta l'attenzione e lutto

l'allar-Fig. I . B r e v e t t i e k n o w - h o w s o n o al c e n t r o di u n a p r o p o s t a di r e g o l a m e n t a z i o n e i n t e r n a z i o n a l e c h e t u t e l i i d i r i t t i e gli o b b l i g h i sia d e i c e s s i o n a r i , s i a d e g l i u t i l i z z a t o r i . A p p o s i t i g r u p p i di s t u d i o n e s t a n n o e l a b o r a n d o le n o r m e in s e d e C N U C E D .

me vi si concentrarono. Al di là delle deplorazioni e dei lamenti, ci si chiese come sarebbe stato possibile recuperare una parte di quella valuta, ormai comune-mente raccolta sotto la denomi-nazione di « petroldollari » e si guardò con occhio diverso e più intenso alle tecnologie ed al loro trasferimento, come remunera-tiva transazione commerciale, merce fra altre merci. Si ripe-scarono rapidamente i progetti giacenti in seno al Comitato

C N U C E D (Comitato delle

Nazio-ni UNazio-nite per il Commercio e lo Sviluppo), si ritrovarono richie-ste ed istanze, si concentrarono tre sessioni dello C N U C E D stesso sui lavori svolti dal gruppo

in-tergovernativo per il trasferimen-to di tecnologie e brevetti, e si sfociò in alcune proposte ben precise, riguardanti quattro linee direttive fondamentali:

— problemi derivanti dal tra-sferimento di tecnologie ai Paesi in via di sviluppo;

— problemi derivanti dalla reazione inversa a tale trasferi-mento, denominata « esodo delle competenze » (ossia, personale appositamente qualificato, di na-zionalità dei paesi terzi, che an-ziché reinsediarsi nei paesi d'ori-gine, si stabilisce nei paesi svi-luppali);

— ruolo e riforma dei sistemi di brevetti a livello

internazio-naie, includenti anche le nuove tecnologie ed i know-how pro-duttivi;

— possibilità e fattibilità di un codice internazionale di com-portamento nei confronti dei tra-sferimenti di tecnologie e di know-how.

L'ultima Sessione di lavori ha registrato un fervore tutt'affatto diverso, rispetto alle Sessioni precedenti. I petroldollari hanno messo ali ai piedi a tutti, ed il relativo « scossone » si è trasmes-so con la stessa potenza e gli stessi effetti delle onde telluriche, ai sottogruppi di esperti, per ela-borare rapidamente un progetto di disposizioni e regole, aventi carattere generale, sulla base, anzitutto, dell'esperienza acqui-sita dal 1971 (data della primis-sima riunione in materia) ad oggi, e dell'esperienza specifica connessa con il bisogno di rista-bilire un certo equilibrio nelle bilance dei pagamenti.

Si è registrata altresì una assai significativa evoluzione rispetto alla disposizione iniziale dei vari Stati Membri, alcuni dei quali sono stati spostati (dalla forza degli eventi economici-valutari) da posizioni di periferia della co-munità mondiale ad assestamenti assai più centrali e condizionan-ti, mentre altri sono rimasti —

per ora — marginali ed altri

an-cora si sono trovati soggetti ad una non desiderata forza di de-centrazione.

Abbiamo scritto per ora e lo ripetiamo, anche per la con-ferma ricevuta da recenti indizi. Pochi posero mente alle parole dello Shah dell'Iran, ch'ebbe a pronunciare nel maggio 1974, al-lorché mise sull'avviso tutti gli Stati industrializzati nei confron-ti di iniziaconfron-tive assimilate a quella dei Paesi produttori di petrolio,

ma intraprese nei confronti di materie prime, quali ferro, rame, uranio, minerali e metalli rari, zucchero e altri prodotti colonia-li, fertilizzanti ecc.: insomma, al-tre specie di OPEC su base non petrolifera, ma non meno incisi-va all'occorrenza.

Torniamo al trasferimento delle tecnologie, segnalando che sono già state presentate quattro

relazioni-pilota; infatti quattro

Paesi ad economia molto diffe-rente e con caratteristiche estre-mamente dissimili, hanno speri-mentato in qualità di utenti i vantaggi e gli inconvenienti dei trasferimenti di tecnologia: pre-cisamente, Spagna, Ungheria, Ci-le, Etiopia; altre due relazioni sono in corso di completamento: India e S i Lanka. Queste sei monografie servono a fornire un quadro concreto delle conseguen-ze positive e negative, raccolte nel corso di tre anni, quale cam-pione tanto più significativo, in quanto ottenuto in sistemi poli-tici, economici, sociali, climatici totalmente diversi. Le indicazio-ni risultanti sono dunque molto rappresentative degli ostacoli previsti od imprevisti, delle re-strizioni volontarie od involon-tarie, delle inefficienze sogget-tive od obietsogget-tive, degli squilibri producenti o controproducenti, emersi sino ad oggi, la cui co-noscenza è indispensabile per de-terminare le varie possibilità di introdurre correttivi, rimedi, per-fezionamenti, in base a modalità e condizioni realmente equilibra-te, ed eque nei confronti sia di tutti gli Stati partecipanti (su un piano generale), sia delle quat-tro grandi categorie interessate, su un piano specifico: ossia le imprese di Stato, le grandi im-prese private a capitale nazio-nale, le medie e piccole imprese,

le succursali straniere o filiali di società transnazionali.

Cominciamo a distinguere -tkle ordini di aspetti: tecnici e

giuridici, non dimenticando che

saranno proprio le esigenze tec-niche ad ispirare ed orientare l'impostazione giuridica.

È anche troppo evidente co-me ai Paesi che cedono tecno-logie la forma più rapida appaia quella di trattare la cessione, cautelandosi con determinate clausole, e poi lasciare il séguito affinché proceda senza contrasti lungo il binario contrattuale pat-tuito. Ed è altrettanto evidente che gli acquirenti-utenti esigano, oltre al « contenuto » della ces-sione, anche un servizio di assi-stenza tecnologica per l'attuazio-ne, annotando sulla scorta delle esperienze acquisite che la tecno-logia cosi com'è, ben difficilmen-te si adatta tal quale, e che al contrario ha bisogno di modifi-cazioni più o meno sensibili per risultare idonea alla realtà entro la quale viene ad inserirsi. Ribat-tono i primi che essi non hanno « pensato » alla tecnologia od allo know-how in funzione di paesi terzi, ma ai propri fini, e che pertanto chi l'acquista deve essere dunque preparato ad ac-quistare, con una data tecnolo-gia, anche l'assistenza per uti-lizzarla proficuamente. Ma è ap-punto questa assistenza che o non è efficiente e regolare, o vien fatta pagare a prezzo molto ele-vato: talora, è assai più remune-rativo questo secondo aspetto, che non la vendita della tecno-logia a sé stante.

Sinora queste istanze, tutt'al-tro che ingiustificate, non sem-bravano trovare orecchi molto favorevolmente disposti, ma le cose stanno cambiando. In vista dei petroldollari è in atto una vera corsa non solo per collocare

tecnologie, ma per mettere anche a disposizione tutte le strutture verticali e le intelaiature orizzon-tali, atte ad assicurare l'attuazio-ne integrale delle tecnologie ce-dute. Tanto più si riesce a collo-care tecnologie e know-how, tan-to più vasta è l'area dei « soppor-ti » collaterali da cedere assie-me, e tanta maggiore rilevanza economica viene ad assumere l'affare.

Chiunque si rende conto dei

perché di questa trasformazione

di trattativa; meno, forse, si ren-de ancora conto ren-dei come, ed il discorso su questo punto è inve-ce molto serio e molto delicato.

Quando, chi scrive queste note ed altri esperti del settore, tentavano di richiamar l'atten-zione sull'opportunità, molto redditizia, di predisporre tecno-logie appropriate per essere ce-dute al Terzo mondo, e quindi già opportunamente preadattate allo scopo in fase preliminare alle trattative, le voci trovarono limitata attenzione, se non in pochi casi facenti capo ad impre-se pubbliche od a capitale na-zionale. Poi ci si accorse della loro validità e si è corso ai ripari sotto l'imposizione e l'urgenza delle mutate « posizioni di for-za », sia sotto il profilo di rie-quilibrare le sbilanciatissime bi-lance dell'export-import, sia per contenere i drammatici sconvol-gimenti degli interi sistemi eco-nomici occidentali e delle insta-bili architetture valutarie.

Questa corsa per arrivare ad impossessarsi di traguardi utilis-simi, non tiene tuttavia abbastan-za di vista due aspetti, che ben conoscono gli esperti:

— è ognora più diffìcile tro-vare persone specializzate, a qualsiasi livello d'impresa (dal-l'operaio qualificato al tecnico,

Fig. 2 . I m p i a n t i e p r o c e d i m e n t i p r o d u t t i v i m o l t o a v a n z a t i s o n o r i c h i e s t i d a i P a e s i in v i a di s v i l u p p o e di i n d u s t r i a l i z z a z i o n e r a p i d a ; a l t r i p r e f e r i s c o n o m a c c h i n a r i e m e t o d i c o n v e n z i o n a l i , e s s e n d o p r e -p o n d e r a n t e il -p r o b l e m a d e l n u m e r o d e g l i a d d e t t i . In u n c a s o o n e l l ' a l t r o , è i m -p l i c a t a u n a « v e n d i t a d i t e c n o l o g i e », d e l l a q u a l e si o c c u p a n o c o m m i s s i o n i a p p o s i t e p r e s s o le N a z i o n i U n i t e .

dall'ingegnere al manager) di-sposte a trascorrere lunghi perio-di in Paesi molto perio-diversi dalla madrepatria, caratterizzati dalle carenze e dalle lacune tipiche di aree sostanzialmente arretrate; questo, nonostante le elevate re-munerazioni, perché (se si eccet-tuano pochi casi di individui spontaneamente portati al senso dell'avventura, del nuovo, del pionierismo) non sembra che i giovani degli Stati Industrializ-zati siano di fatto disposti e favo-revoli ad affrontare difficili tiro-cinii tecnici in non facili condi-zioni ambientali ed a battersi per il successo di iniziative comples-se, con la decisione e l'energia che non vengono mai meno, nep-pure nei momenti di obiettivo sconforto provato dagli

inevita-bili ostacoli. In secondo luogo, e per converso, si dà il fenomeno reciproco: vale a dire — ed è appunto il caso denominato « esodo delle competenze » cui già si è accennato — se si prov-vede a preparare, istruire, per-fezionare giovani (anch'essi ad ogni livello) dei Paesi in via di sviluppo, mediante permanenze in Istituti, Centri, Università, Imprese dei Paesi industrializza-ti, tocca poi assistere al fenome-no di una fenome-non-volontà di ritorfenome-no alla terra d'origine, per applica-re ciò che hanno imparato. È interessante indagare, per tenta-re un rimedio, se ciò dipenda, ed in quale misura, dall'offerta di rimanere nello Stato che li ha accolti (quest'accusa è stata ri-volta, ad es., agli USA, cui è

sta-to imputasta-to di accogliere troppo facilmente, se non addirittura di promuovere, la richiesta degli interessati di fermarvisi stabil-mente ('); ovvero dipenda da una generica e più allettante attrazio-ne di vivere in una società assai più evoluta; od ancora dipenda dalla consapevolezza che le tec-nologie apprese non potrebbero essere realmente applicate nei loro Paesi, e che quindi la loro specializzazione sarebbe scarsamente utilizzabile ed uti-lizzata (2).

Pertanto, quando si leggono sui giornali gli annunci di accor-di sensazionali — che in questo periodo vanno assai di moda, per ragioni contingenti anche troppo ovvie, in taluni Stati del Vicino e del Medio Oriente — i tecnologi si domandano respon-sabilmente come potranno esse-re esse-realizzati nei tempi pattuiti, e non per materiali, impianti, ap-parecchiature ecc. che sono pro-dotti o predisposti nello Stato in-dustrializzato, ma per tutto l'in-sieme di « sostegni » e di « co-struzioni » sussidiarie od inter-medie o di base, senza le quali nessun progetto può essere por-tato a compimento.

1 primi suggerimenti per met-tere un riparo a questi serii rilie-vi sono già stati espressi dagli esperti:

— predisporre tecnologie e know-how che non richiedano al-tissima specializzazione od alta automazione; al contrario, i pro-cessi produttivi più idonei devo-no implicare una larga madevo-nodo- manodo-pera (perché assicurare lavoro a molte braccia è quasi ovunque la prima preoccupazione del Terzo Mondo), senza esigere qualifica-zioni troppo complesse ed istru-zioni che presupporrebbero co-noscenza del leggere, dello

scri-vere, del disegnare e quindi d'un minimo « far di conto »;

— predisporre tecnologie e know-how che siano già adattati o rapidamente adattabili a con-dizioni climatiche, ambientali, sociali, produttive, tipiche dei paesi richiedenti;

— assicurare contemporanea-mente un fattivo aiuto per attua-re o miglioraattua-re le condizioni ido-nee ad accogliere la tecnologia;

— garantire u n efficiente e rapido servizio di parti di ricam-bio, ricorrente alla recente forma di centri, depositi, magazzini

consorziati da installare in loco,

ed ai quali si possa celermente fare capo quando occorre;

— organizzare, negli Stati fornitori di tecnologie, stages di durata breve, appositamente de-dicati a persone provenienti dal Paese utente ed appositamente programmati per insegnare si-multaneamente la tecnologia ac-quistata e le modalità per appli-carla (il che presume un accurato studio preliminare condotto da autentici esperti);

— tendere a realizzare, nei Paesi utenti, sia presso Istituti od Università, sia costituendo scuole-pilota (che proficuamente possono essere fornite con la stessa tecnologia), la preparazio-ne ad hoc di quanti saranno, o stanno per essere, chiamati a la-vorare per applicare la tecnolo-gia od il know-how richiesto;

— svolgere contemporanea-mente su di loro un'opera di per-suasione, di fiducia nel coopera-re a « ccoopera-reacoopera-re » essi stessi, un nuovo tipo di economia ed una nuova fonte di benessere, di evo-luzione civile e sociale, rimanen-do nel proprio Paese, anche per-ché ciò che hanno appreso è stato insegnato in funzione di

applica-zioni sul posto e con coerenza alle necessità locali.

Questi, gli aspetti tecnici. ""''Quanto agli aspetti giuridici, è in fase di studio, di esame, di di-scussione, il testo di un « codi-ce » che regoli legalmente ed in-ternazionalmente tutta la com-plessa materia: assai comcom-plessa per contenuto intrinseco, per un conflitto di punti di vista, per dissensi di interessi, per contrasti di sistemi economici in vigore nei molti Paesi interessati. A tutto ciò si aggiunga una divergen-za pregiudiziale, pretendendo numerosi Stati (diciamo, senz'al-tro, quelli del Terzo Mondo) che il Codice, una volta stabilito, ab-bia valore vincolante ed imposi-tivo per tutti i Paesi, ed a ciò opponendosi invece alcuni altri Stati, la cui economia di libero mercato meglio si adatterebbe ad un'impostazione non rigida, data la natura prevalentemente priva-tistica degli accordi. La prima tesi, comunque, è prevalsa nelle votazioni (l'Italia, per la cro-naca, si è astenuta dal voto) in seno allo CNUCED. Ora, non resta che attendere, finché il Codice sia reso noto in tutti i suoi arti-coli e disposizioni; dopo di che, si saprà se gli scopi, per i quali lo si è invocato, saranno stati realizzati.

(!) Se i dati segnalati alle Nazioni Unite sono veri, risulterebbe che nel corso del 1972 si sarebbero stabilite negli USA ben 53.000 persone, colà inviate dai Paesi in via di sviluppo, per perfezionarsi: il che, lamentano nel Terzo Mondo, costituisce una sensibile perdita di « capitale umano », in se stesso e come costo per portarlo al punto d'essere inviato a stages di specia-lizzazione.

(2) Nel corso della 111 Sessione dello CNUCED. il rappresentante di uno Stato del-l'est socialista ha affermato che Oltrecor-tina tale fenomeno non esiste e che, al termine dei periodi previsti di perfeziona-mento con stages o borse di studio, i bene-ficiari tornano tutti al Paese d'origine. Non sarebbe difficile spiegarne le ragioni, ma poiché queste non sono di carattere tecnico, in questa sede si preferisce limitarci a prendere atto della dichiarazione.

Appunti sul credito agevolato

Nel documento Cronache Economiche. N.001-002, Anno 1975 (pagine 54-59)