1. — Il dibattito aperto su questa rivista dal direttore dell'IRES prof. A. Detragiaehe sulla programmazione in Piemonte ci sembra estre-mamente utile in quanto consente di approfon-dire fra l'altro un tipo di discorso sugli strumenti necessari alla Regione Piemonte per raggiungere una più efficace distribuzione territoriale ed orga-nizzare il proprio territorio in modo da miglio-rare la « qualità della vita ».
Il discorso del prof. Detragiaehe trae origine dalla pubblicazione del rapporto dell'IRES per il piano regionale 1974-1978, che segue il prece-dente rapporto per il piano di sviluppo regionale 1970-1974 pubblicato alcuni mesi fa (maggio 1972).
Il primo rapporto dedicava una parte abbastan-za ampia alla finanabbastan-za pubblica, il secondo rap-porto ' 7 4 / ' 7 8 viceversa si limita ad indicare come un dato conosciuto quello della finanza pubblica senza però spiegare attraverso quali ipotesi si è giunti a determinare l'ammontare delle risorse provenienti dal settore pubblico.
In altri termini le risorse pubbliche costitui-scono una grandezza conosciuta.
Leggiamo infatti « è opportuno considerare il problema del finanziamento degli investimenti in abitazioni o in beni di uso collettivo non differi-bili, che ammontano, nel periodo del piano, a 3516,9 miliardi di l i r e » e poco più avanti si precisa « l'importo complessivo di 3516,9 miliar-di è cosi ripartito: Stato ed enti nazionali 643,5 miliardi, Regione anche per trasferimenti dello Stato 275,4; Provincia 107,9; Comuni 256,3; società con partecipazione pubblica 440,5; settore privato 1973,3 miliardi.
Per quanto riguarda le Province ed i Comuni, nello stato attuale della finanza locale, che regi-stra una riduzione di risorse ordinarie da desti-nare ad investimenti ed una minor capacità di ricorrere all'indebitamento, sulla base di
valuta-zioni formulate in larga massima, si può ritenere che la spesa di 364,2 miliardi sia sopportabile solo per circa 240-250 miliardi. Si tratta quindi di risolvere il problema finanziamento di opere, attribuite alle Province ed ai Comuni, per un onere eccedente le attuali capacità di questi enti, dell'ordine di circa 120 miliardi ».
« Non si hanno oggi sufficienti elementi sulle possibilità finanziarie della Regione, nel periodo di piano, per disponibilità diretta o per ricorso al credito, ma sembra di poter ritenere che gli inve-stimenti che sarebbero oggetto di intervento della Regione, anche per trasferimenti di competenze e di risorse dallo Stato, possano essere assicurati nella misura che qui è indicata di circa 335 mi-liardi, pari alla somma attribuita, come sopra detto, alla Regione in prima ipotesi ed a quella integrativa, a favore di Province e Comuni, a cui dovrebbe provvedere la Regione stessa per la scarsa capacità finanziaria di questi enti ».
2. — Il problema che dobbiamo affrontare non è tanto quello di verificare l'esattezza di questi dati che per altro nella stessa relazione IRES sono inseriti dubitativamente nella speranza che la riforma della finanza locale consenta non solo di ampliare le entrate e di aumentare la possibi-lità di accendere mutui, quanto di verificare la possibilità di spendita degli enti territoriali ed il coordinamento della politica di spese degli enti stessi. Esistono infatti alcune questioni di non facile soluzione:
a) le attuali norme di contabilità pubblica
circa la predisposizione dei bilanci sono inade-guate e superate;
b) l'organizzazione territoriale non è
ido-nea a raggiungere gli obiettivi che si propone il piano;
c) le forme di finanziamento stabilite dalla legge regionale non sono tempestive e non per-mettono di far coincidere i tempi di attuazione delle spese con le delibere dei singoli enti terri-toriali.
3. — La struttura dei bilanci degli enti locali, come per altro lo stesso bilancio statale, obbedi-scono a regole che ormai sono superate o meglio pur avendo una loro validità giuridica non hanno seguito quelle modificazioni che si sono verificate nella realtà economica e quindi non rappresen-tano in modo completo la situazione economica e non possono perciò venir utilizzate come stru-mento di indirizzo economico.
L'evoluzione che si è verificata nell'attività dello Stato comporta la necessità di nuovi stru-menti da affiancare ai docustru-menti predisposti in passato cioè quando l'attività degli enti pubblici era limitata ed inoltre richiede diverse dimensio-ni territoriali a seconda del tipo di spesa per evi-tare che i benefici si disperdano.
I bilanci degli enti locali sono bilanci di eroga-zione a base annuale, non servono quindi per poter formulare dei programmi di intervento.
L'attuale forma del bilancio non dice nulla circa gli obiettivi verso i quali è indirizzata l'atti-vità dell'ente pubblico, occorrono nuovi docu-menti da cui ricavare tali eledocu-menti.
I bilanci che annualmente vengono approvati indicano soltanto l'ammontare degli stanziamen-ti, non gli obiettivi a cui tali stanziamenti dovreb-bero servire. Sono utili quindi come « strumenti giuridici di controllo », non come « strumenti di analisi economica ».
La classificazione funzionale e quella econo-mica delle spese forniscono certe risposte ai poli-tici, ai tecnici, ai cittadini. Nulla dicono però circa la rispondenza della spesa ai programmi. Ecco quindi la necessità di introdurre a fianco degli attuali documenti contabili un « bilancio di programma che dovrebbe mettere in relazione le risorse agli obiettivi a cui si tende.
Giorgio Ruffolo nel volume « Rapporto sulla programmazione » (') scriveva:
« Il risultato che attraverso l'adozione di un bilancio programmatico ci si propone è di ope-rare una severa selezione della spesa pubblica, collegandola strettamente con gli obiettivi della programmazione. Questo collegamento è oggi reso impossibile, sia dal fatto che le spese sono
stabilite in gran parte non al momento del bilan-cio, ma in precedenti leggi votate man mano nel corso dell'anno, sicché il bilancio si presenta, per quella parte, rigidamente determinato; sia perché la parte « discrezionale » — in mancanza di obiet-tivi programmatici precisi — viene ad essere ripartita secondo un complesso processo di con-trattazione amministrativa e politica nel quale i rapporti di forza politici e le consuetudini buro-cratiche finiscono per avere un peso determi-nante, sia, infine, dal fatto che l'orizzonte an-nuale del bilancio impedisce di verificare la compatibilità tra gli impegni pluriennali di spesa e il quadro nazionale delle risorse compreso nel Piano.
Sarebbe dunque necessario, anzitutto, intro-durre un bilancio programmatico quinquennale di tutta la pubblica amministrazione, e non solo dello Stato (comprensivo dunque degli enti locali, previdenziali, e degli altri principali enti pub-blici), non come strumento giuridico, ma come « prospettiva contabile », nella quale sarebbero definiti gli obiettivi (in termini di « indicatori sociali ») e fissate — attraverso un esplicito con-fronto tra le diverse alternative — le risorse necessarie per conseguirli.
Tali indicazioni si tradurrebbero in stanzia-menti effettivi di spesa nel bilancio annuale — parte integrante del Piano annuale — che deter-minerebbero la quota di spesa assegnata a ciascun operatore per l'attuazione degli interventi; appli-cando, ad una scala più piccola, il medesimo me-todo di calcolo decisionale utilizzato per il bilan-cio pluriennale.
Tutto ciò richiede naturalmente: in primo luogo, che gli stanziamenti di spesa siano ripar-titi per programmi, anziché per competenze, do-vendosi queste ultime definire all'interno di ogni programma, come « missioni » affidate alle varie amministrazioni; inoltre che le decisioni di spesa siano flessibili, e che cioè al momento del Piano annuale sia possibile manovrare le quote annuali relative ai singoli programmi. Questa ultima esi-genza può essere soddisfatta se le leggi che com-portano impegni finanziari pluriennali, oggi con-cepite prevalentemente come leggi di spesa, si trasformeranno in leggi di programma: rivolte cioè a precisare la sola spesa complessiva, gli obiettivi, le normative e i procedimenti;
lascian-(I) C. RUFFOLO, Rapporto sulla Programmazione, Bari, La-terza, 1973, pag. 95.
do alla legge di bilancio la determinazione an-nuale delle spese ».
Ma non è solo questa la riforma indispensabile affinché la programmazione non diventi un fatto senza senso. Occorre che a fianco dei « bilanci di programmi » siano introdotti dei piani pluriennali di spesa in modo da confrontare il programma alle risorse effettive e non semplicemente ad ipo-tesi o a speranze (2).
4. — È evidente però che con l'attuale strut-tura amministrativa non sarà semplice raggiun-gere questi obiettivi. Occorre organizzare in modo diverso il territorio al fine di evitare dispersione di spesa o benefici minori rispetto ai costi.
Le attuali dimensioni di certi comuni ed i compiti ad essi demandati provocano in zone limi-trofe doppioni di spesa o costi aggiuntivi per la collettività che dovrebbero essere eliminati.
Occorre quindi un riesame delle funzioni degli enti locali e la conseguente revisione delle strut-ture amministrative. Si otterrebbe forse in questo modo anche di migliorare la situazione finanzia-ria degli enti locali (3).
5. — Da ultimo bisognerebbe riesaminare le norme relative al finanziamento delle opere pub-bliche.
In particolare il principio stabilito dall'art. 9 della legge n. 281 del 16 maggio 1970 che preve-de che nello stato di previsione preve-delle spese preve-del Mi-nistero del bilancio e della programmazione eco-nomica sia istituito un fondo per il finanziamento dei programmi regionali di sviluppo, il cui am-montare venga determinato per ogni quinquennio dalla legge di approvazione del programma eco-nomico nazionale e per la quota annuale della legge di bilancio. Tale fondo è assegnato alle Re-gioni secondo le indicazioni del programma
eco-nomico nazionale sulla base dei criteri che saran-no annualmente determinati dal comitato inter-ministeriale per la programmazione economica e con particolare riguardo alle esigenze di sviluppo del Mezzogiorno ».
Sul piano formale non ci sarebbe nulla da ecce-pire ci sembra tuttavia che sul piano esecutivo questa norma provochi problemi complessi che debbono essere risolti.
In primo luogo i tempi tecnici di attuazione dei programmi. I finanziamenti agli enti locali (comuni o province) sono effettuati come è noto o in conto capitale, o in conto interessi.
1 comuni prima deliberano le spese di investi-mento poi chiedono successivamente il finanzia-mento alla Regione, solo dopo che la Regione ha approvato l'investimento, è possibile per i comuni appaltare l'opera; ma l'iter burocratico richiede molto tempo per cui normalmente la gara d'ap-palto va deserta per l'aumento dei costi che ren-dono anti-economica la partecipazione alla gara.
Nelle considerazioni presentate dalle Regioni al
piano annuale 1974 (4) a questo riguardo si può
leggere « La necessità di garantire un accelera-mento della spesa pubblica, soprattutto nei set-tori prescelti, comporta la necessità di rivedere urgentemente le procedure e i complessi mecca-nismi ai quali la spesa pubblica stessa è vinco-lata, sopratutto in presenza di una così forte lievitazione dei costi che rende necessaria la revi-sione delle condizioni di appalto e di intervento ».
(2) F. FORTE, F. INDOVINA, La programmazione regionale e
sub regionale, problemi di documentazione, in « Leggi di
econo-mia », Milano 1965, pag. 275 e ss.
(3) S. STEVE, Lezioni di scienza delle finanze, Padova, Cedam, 1972, pag. 417.
(4) Considerazioni e proposte delle Regioni sul Piano Annuale 1974, in « Mondo Economico », 2 febbraio 1974, pag. 44.
A questo proposito si veda anche S. Lo FASO e S. MONCALDO,
Processo di attuazione della Spesa Pubblica, in « Contributi alla
Ricerca Operativa », Servizio studi della Banca d'Italia Roma, 1972, pag. 191 c seguenti.