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La frantumazione del monopolio del potere di richiesta del pubblico ministero: il giudice di pace

LA TITOLARITA´ DELL’AZIONE PENALE.

4. La frantumazione del monopolio del potere di richiesta del pubblico ministero: il giudice di pace

Se guardiamo al sistema italiano nella sua interezza, oggi, non è più vero che esso è ispirato dall’assoluta esclusività del potere di azione nelle mani del pubblico ministero. Un «ricorso immediato» al giudice su iniziativa della persona offesa è previsto, infatti, anche in Italia, in forza dell’art. 21 d.lgs. 274/2000, attributivo della competenza penale al giudice di pace.

103 V. Corte cost. sent. 18 maggio 1967, n. 61 in Giur. Cost., 1967, p. 711.

104 In senso favorevole alla compatibilità tra azione privata e principio di obbligatorietà dell’azione penale cfr. L. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Laterza, 1990, p. 582 per il quale l’azione penale dovrebbe costituire un dovere per il pubblico ministero e un diritto per i cittadini.

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La deroga al monopolio si deve ad una riforma del 1999105 che ha attribuito competenze penali alla giurisdizione del giudice di pace e ha riconosciuto alla persona offesa la facoltà di chiedere con ricorso diretto al giudice di pace la citazione a giudizio del responsabile del reato. Dunque, di fatto, si è inserita una sorta di azione privata. A tal proposito si deve far riferimento alla previsione di cui all’art. 21 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, secondo cui «per i reati procedibili a querela è ammessa la citazione a giudizio dinanzi al giudice di pace della persona alla quale il reato è attribuito su ricorso della persona offesa». In questo modo, nel 2000, si è venuto a «rompere» il dogma del monopolio106.

Nella disciplina sulla competenza penale del giudice di pace il ricorso immediato della persona offesa è apparso, sin dalla pubblicazione del d.lgs n. 274 del 2000, una delle novità più interessanti, cui la dottrina e la giurisprudenza hanno riservato un ampio spazio ed attenta riflessione107.

La legge 24 novembre 1999, n. 468, di delega al Governo, espressamente contempla, alla lettera c) dell’art. 17, «[…] che per taluni reati perseguibili a querela la citazione in giudizio possa essere esercitata anche direttamente dalla persona offesa con ministero del difensore mediante ricorso al giudice di pace». Il decreto legislativo delegato ha poi esteso tale possibilità di «citare direttamente in giudizio» per tutti i reati perseguibili a querela rientranti nella competenza attribuita al nuovo giudice penale, prevedendo all’art. 21 quanto segue: «Per i reati procedibili a querela è ammessa la citazione a giudizio

105 Il testo approvato in data 24.11.1999 – l. 468/1999 – frutto dell’unificazione di vari disegni di legge presentati alla Camera dei deputati tra la tarda primavera del 1996 ed i primi mesi del 1997, la maggior parte dei quali riguardava la determinazione delle indennità spettanti al giudice di pace.

106 La riforma, attribuendo competenze penali al giudice di pace, ha infranto per la prima volta nel nostro sistema processuale il suddetto monopolio limitatamente ai reati procedibili a querela di parte. Cfr. P. Tonini, Manuale di procedura penale, XVIa ed., Giuffrè, Milano, 2015.

107 In tema di orientamenti giurisprudenziali in materia di giudice di pace si v. C. Riviezzo, La giurisprudenza del giudice di pace, Civile – Penale – Sanzioni amministrative, Giuffrè editore, Milano, 2003.

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dinnanzi al giudice di pace della persona alla quale il reato è attribuito su ricorso della persona offesa».

L’innovazione prodotta dell’art. 17 sembra alterare gli assetti tradizionali dell’ordinamento italiano108, risultando estendibile, in linea di principio, ad una serie di casi ulteriori, oltre ai non pochi già indicati nella legge delega, la possibilità che il privato sia autorizzato a promuovere direttamente il giudizio in materia penale.

108 La portata dell’innovazione è inequìvocamente segnalata dalla Relazione ministeriale: «Sul punto si registra una delle innovazioni più significative introdotte dalla delega, in quanto il privato viene autorizzato, pur con alcuni temperamenti relativi alla informazione del pubblico ministero finalizzata ad un suo eventuale intervento, a promuovere direttamente il giudizio in materia penale, così evocando la figura dell’azione penale privata. Si è posta, dunque, la necessità di una scelta di fondo tra una soluzione decisamente orientata verso questo istituto, non totalmente sconosciuto all’ordinamento vigente (vedi, per esempio, almeno secondo una certa interpretazione, l’articolo 100 d.P.R. 16 maggio 1960 n.570 in materia di reati elettorali) e di per sé non contrastante con l’art. 112 (vedi, per esempio, Corte costituzionale n.84/1979), che comportasse l’insorgere di una vera e propria imputazione per volontà privata; ovvero una impostazione meno radicale e assolutista, oltre che più coerente col sistema processuale ordinario. È prevalsa questa seconda impostazione, in quanto si è ritenuto di dover contemperare i benefici di speditezza per l’interessato e di deflazione del carico di lavoro dell’organo pubblico, assicurati dall’iniziativa del privato, con insopprimibili esigenze di controllo preventivo del pubblico ministero, anche a garanzia dei diritti di difesa, come del resto richiesto dall’art. 17 comma 1 lett. e) della legge delega. Probabilmente la formulazione della lettera c) del citato articolo 17 («..la citazione in giudizio può essere esercitata anche direttamente dalla persona offesa»), anche alla luce delle considerazioni sulla (non accolta) soppressione dell’inciso avanzate nel corso dei lavori parlamentari, non avrebbe consentito l’affidamento monopolistico dell’esercizio dell’azione penale al privato, sebbene soltanto per «taluni» reati da enucleare appositamente, ostandovi il dettato dell’art. 112 Cost., che assegna al pubblico ministero (eventualmente non in maniera esclusiva) l’iniziativa penale. Ma pur nella scelta di un regime misto, è parso poi francamente troppo azzardato e in definitiva inaccettabile che il privato potesse comunque determinare motu proprio l’elevazione di una formale imputazione a carico della persona di cui si chiede la convocazione a giudizio e la sussunzione in capo a questi della qualità di imputato. Ciò avrebbe provocato il rischio di avallare chiamate in giudizio totalmente infondate o puramente strumentali e comunque non pertinenti all’oggetto penale, con evidenti conseguenze pregiudizievoli, almeno nella sostanza e nell’immediato, a carico del chiamato, sebbene redimibili, ma tardivamente in fasi successive del giudizio con gli ordinari mezzi di controllo del pubblico ministero e del giudice. Si è così preferito impostare il nuovo istituto sulla falsariga di una sorta di citazione civile con effetti penali, che consenta all’interessato di giungere in tempi brevi a quell’udienza volta a ottenere soddisfazione del torto subito, che per le vie ordinarie (ossia a seguito di una semplice presentazione della querela) avrebbe sicuramente cadenze di fissazione molto più lunghe. Una volta avviato il procedimento con la presentazione del ricorso è, però, rimesso al pubblico ministero di aderirvi o meno, promuovendone la prosecuzione o la interruzione con le proprie richieste al giudice».

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Dunque, la riforma introduce una forma di partecipazione attiva al processo del tutto innovativa ed apre la strada a nuove esperienze, certamente diverse da quelle, scarsamente significative, che in passato, avevano caratterizzato il sistema.

Immediata è la percezione del fatto che si sia «spezzato» il monopolio della «pretesa» penale per specifici reati, ora esercitabile anche dalla persona offesa, ma non il monopolio dell’azione penale in capo al pubblico ministero né quello dell’esercizio dell’azione penale attraverso l’imputazione. Al riguardo il legislatore delegato è molto attento nel prevenire possibili censure di violazione dell’art. 112 Cost.

Obbligatoria è l’azione penale, ed il suo esercizio, che richiede la formulazione dell’imputazione, spetta sempre e comunque al pubblico ministero, fatta salva la previsione in tema di reati presidenziali attribuiti alla cognizione della Corte costituzionale in composizione integrata. Esclusa ogni occasionalità e discrezionalità nel promovimento dell’azione, la legge in esame introduce una «pretesa» della persona offesa e «concorrente» con quella pubblica.

In questo modo si è certi di rimanere nell’ambito delle «linee guida» che la Corte costituzionale ha tracciato già nel 1979, statuendo chiaramente che l’azione penale pubblica è, e deve rimanere monopolista e che possono essere ammesse solamente forme concorrenti o sussidiarie di esercizio dell’azione penale, affatto esclusive.

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