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Procedibilità d’ufficio ed irretrattabilità dell’azione penale

Il comma 2 dell’art. 50 c.p.p., come anticipato, enuncia il principio dell’ufficialità dell’azione penale elencando, a contrariis, i casi in cui è possibile derogare a tale principio73. Dunque al di fuori dei casi in cui sia richiesta dalla legge una condizione di procedibilità, l’esercizio

dell’azione penale non richiede impulsi di parte, ma avviene d’ «ufficio». La procedibilità d'ufficio permette al pubblico ministero di

non essere vincolato nella sua azione all'iniziativa di soggetti terzi, affinchè egli possa esercitare l'azione penale è infatti sufficiente che rilevi un fatto storico integrante una fattispecie penale. L’ufficialità è una conseguenza del principio di obbligatorietà dell’azione penale. Se il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale è ovvio che questa debba essere esercitata di ufficio non appena nasce l’obbligo, senza che siano necessari stimoli esterni di ogni genere.

72 Cfr., in particolare, la Reccomendation R(87)18 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

73 V. art. 50 co. 2 c.p.p., rubricato Azione penale.

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La legge ordinaria (art. 50 co. 2 c.p.p.) pone un limite all’esercizio di ufficio dell’azione penale, prevedendone la paralisi nei casi in cui sia richiesta dalla legge una condizione di procedibilità e questa manchi. Ciò ha fatto ritenere nel passato che questo limite fosse in contrasto con il principio di obbligatorietà sancito dall’art. 112 Cost., ma la stessa Corte cost. (sent. n. 105 del 1967) così dichiara «la riaffermazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale espressa nell’art. 112 Cost. non esclude che, indipendentemente dall’obbligo del pubblico ministero, l’ordinamento stabilisca determinate condizioni per il promovimento o la prosecuzione dell’azione penale, anche in considerazione degli interessi pubblici perseguiti dalla P.A.». Con la posizione della Corte costituzionale concorda anche la dottrina, purchè la prevalenza di interessi esterni a quelli che sottostanno all’obbligatorietà dell’azione penale non si risolva in un’interferenza arbitraria che sacrifichi nei singoli casi concreti l’indipendenza del pubblico ministero; esigendo dunque che si tratti di situazioni predeterminate dalla legge, di categorie generali, non di casi in cui al potere politico sia attribuita la facoltà di impedire il promovimento dell’azione per motivi contingenti ed estemporanei. Poi è ovvio che una volta verificatasi la condizione di procedibilità acquista pieno vigore il principio di obbligatorietà.

L’art. 50 co. 2 c.p.p. non parla, però, in termini generali di condizioni di procedibilità, ma elenca specificatamente la querela, la richiesta, l’istanza e l’autorizzazione a procedere. Sappiamo, infatti, che l’elencazione dei casi in cui si può derogare alla regola della ufficialità non è completa. Sono ritenute condizioni di procedibilità anche la presenza nel territorio dello Stato per delitti comuni commessi dal cittadino o dallo straniero estero74 (art. 10 c.p.) ovvero l’assenza di una sentenza o di un decreto irrevocabili pronunciati nei confronti della

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medesima persona per il medesimo fatto (art. 649 c.p.p.)75. Trattandosi di fatti o atti giuridici, in mancanza dei quali il pubblico ministero non può esercitare l’azione penale, le condizioni di procedibilità76 sono in concreto suscettibili di collidere con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Se la questione è agevolmente superabile ove la scelta sia demandata ai soggetti privati, in quanto essi sono liberi di scegliere se avvalersi o meno della protezione loro accordata dalla legge penale, lo stesso non può dirsi quando la medesima opzione spetti ad organi pubblici. In tali casi infatti, secondo la dottrina più attenta, occorre che l’esigenza di siffatte condizioni sia posta a tutela degli interessi costituzionalmente rilevanti, così da prevalere, in sede di bilanciamento, con il principio di cui all’art. 112 Cost.

Il comma 3 dell’art. 50 c.p.p., invece, enuncia il tradizionale principio di irretrattabilità dell’azione penale. Questa, una volta esercitata, esce dalla sfera di disposizione del pubblico ministero e genera un dovere decisorio in capo al giudice. Ciò equivale a dire che l’oggetto del

processo penale è indisponibile. Più precisamente, questo principio presenta, oltre a quello

dell’impossibilità di una rinuncia all’azione esercitata, altri due profili ossia l’impossibilità della sospensione e dell’interruzione del suo esercizio al di fuori dei casi previsti dalla legge ed impossibilità di regresso alla fase procedimentale investigativa al di fuori dei casi

espressamente previsti. Anche in questo caso il principio è affermato proprio attraverso

l’elencazione delle possibili deroghe. Il codice di procedura penale pone una regola secondo la quale, dopo l'iniziale esercizio dell'azione penale,

75 V. art 669 c.p.p., rubricato Divieto di un secondo giudizio.

Appartengono al genus delle decisioni irrevocabili anche la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, quella pronunciata in esito al giudizio abbreviato e quella predibattimentale di proscioglimento ex art. 460. Invece si considerano estranee all’ambito di applicazione della norma in esame in provvedimenti di archiviazione, non trattandosi di decisioni sull’azione penale.

76 Il tema delle condizioni di procedibilità e della loro compatibilità con l’art. 112 Cost. sarà affrontato nel capitolo quarto.

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nessuno può interrompere il processo fino alla sentenza, a meno che la legge non disponga diversamente; e ciò nemmeno di fronte al giudice competente, al quale gli atti siano stati trasmessi, ai sensi dell’art. 23 c.p.p., dal giudice dichiaratosi incompetente77. A nulla, infatti, servirebbe la fissazione del principio dell’obbligatorietà se poi, una volta esercitata l’azione penale, il pubblico ministero potesse rinunciarvi. Principio di derivazione costituzionale (art. 112 Cost.) che non ha bisogno di ulteriori precisazioni, se non un riferimento all’art. 71 c.p.p. il quale pone un’eccezione a tale regola78, imponendo la sospensione del procedimento nel caso in cui lo stato mentale dell'imputato impedisca la cosciente partecipazione79 (ogni sei mesi il

77 Cass. 10 marzo 1998, n. 1787, in Cass. pen., 2000, 3326, con nota di Di Salvo,

Principio d’irretrattabilità dell’azione penale, regressione del procedimento e poteri del pubblico ministero.

78 L’art. 71 c.p.p. co. 1, rubricato Sospensione del procedimento per incapacità

dell’imputato, è stato oggetto della Riforma Orlando; ed infatti, senza ombra di dubbio,

una delle questioni più spinose che il legislatore ha voluto risolvere in via definitiva con la riforma in esame è rappresentata dalla problematica dei c.d. «eterni giudicabili». Il nuovo testo dell’art. 71 c.p.p. dispone che se lo stato mentale dell’imputato risulta tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e che tale evento è reversibile, è questa l’aggiunta, il giudice con ordinanza dispone la sospensione dello stesso, a meno che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. La vera novità, invero, è rappresentata dall’introduzione di un nuovo articolo ovverosia l’art. 72-bis c.p.p., rubricato Definizione del procedimento

per incapacità irreversibile dell’imputato in forza del quale, se a seguito degli

accertamenti sulla capacità dell’imputato, risulta che l’imputato sia in stato di incapacità mentale e tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l’eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, a meno che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca. Tale norma sembra definito quasi totalmente la spinosa questione.

79 La legge 23 luglio 2008, n. 124 aveva introdotto una speciale causa di sospensione dei processi penali nei confronti delle «alte cariche dello Stato» (Presidente della Repubblica, salvo quanto previsto dall’articolo 90 della Costituzione in caso di alto tradimento o attentato alla Costituzione; Presidente del Senato e della Camera dei deputati; Presidente del Consiglio dei Ministri, salvo quanto previsto dall’art. 96 della Costituzione a proposito dei reati commessi nell’esercizio della funzione). La sospensione si applicava ai processi penali in corso «in ogni fase, stato o grado» e concerneva anche fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione» (art. 1, comma 1). In base alla legge n. 124 del 2008 l’imputato poteva rinunciare in ogni momento alla sospensione (comma 2); la parte civile poteva trasferire l’azione risarcitoria in sede civile e, in tal caso, i termini a comparire erano ridotti della metà e il giudice doveva dare la precedenza al relativo processo (comma 6); il giudice penale poteva procedere alla assunzione di prove non rinviabili ai sensi degli artt. 392 e 467 c.p.p. (comma 3); durante la sospensione del processo era sospeso altresì il termine di

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giudice ordina l’esecuzione di accertamenti sullo stato mentale dell'imputato), tale previsione non ha effetto nel caso debba essere

pronunciata una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. Sempre dall’art. 112 Cost. discendono gli altri due profili disciplinati

espressamente dalla legge ordinaria (art. 50 co. c.p.p.) relativi al divieto di sospensione o di interruzione dell’esercizio dell’azione al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge80.

Promossa l’azione penale, la sua prosecuzione deve portare inesorabilmente e velocemente alla decisione finale, trovando eventualmente ostacoli al suo procedere solo in fattispecie tipizzate, a cui possono aggiungersi quelle non tipizzate che possono trovare ragione nei principi generali (ad esempio è possibile sospendere l’azione per evitare due decisioni sulla stessa azione: la c.d. litispendenza). Una volta esercitata l’azione penale, il processo poi non può regredire alla precedente fase procedimentale investigativa. L’esercizio dell’azione penale infatti comporta per il giudice l’obbligo di decidere. Dal principio dell’irretrattabilità la Corte di Cassazione ha tratto la necessaria conseguenza affermando che il pubblico ministero, una volta chiesto il rinvio a giudizio, in tal modo esercitando l’azione penale (art. 405 c.p.p.), non revoca la richiesta, ed è precluso al giudice per le indagini preliminari all’esito dell’udienza preliminare, pronunciare decreto di archiviazione81. La Corte inoltre ha dichiarato illegittimo il

prescrizione del reato (comma 4); era stata disposta la non reiterabilità della sospensione, salvo il caso di una nuova nomina nel corso della medesima legislatura. La Corte cost. con la sent. n. 262 del 2009 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 124 per i seguenti motivi. La legge ha creato «prerogative di organi costituzionali che si sostanziano nella deroga al principio di eguaglianza in relazione alla sottoposizione alla giurisdizione. Tali prerogative avrebbero richiesto «la copertura costituzionale», in quanto quelle esistenti nel nostro ordinamento sono «sistematicamente regolate da norme di rango costituzionale». Inoltre, è stato violato il principio di eguaglianza in quanto la protezione predisposta dal legislatore ordinario è offerta ai soli presidenti di determinati organi collegiali (le Camere e il Consiglio dei ministri) e non ai singoli componenti di questi ultimi.

80 Questo divieto in realtà è rivolto non solo al pubblico ministero, ma anche al giudice, il quale non può paralizzare o ritardare il corso dell’azione penale al di fuori dei casi consentiti.

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provvedimento con il quale il pubblico ministero, dopo aver ordinato l’iscrizione sul registro penale di un rapporto in cui siano astrattamente configurate ipotesi di reato, disponga successivamente il passaggio nel registro degli atti non costituenti notizia di reato (c.d. mod. 45), sul rilievo che i fatti in esso rappresentati sarebbero penalmente irrilevanti82.

4. L’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 112 della Carta