• Non ci sono risultati.

Il canone dell'obbligatorietà nell'esercizio dell'azione penale: tra aspirazioni di principio e adattamenti pratici

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il canone dell'obbligatorietà nell'esercizio dell'azione penale: tra aspirazioni di principio e adattamenti pratici"

Copied!
135
0
0

Testo completo

(1)

Università di Pisa Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Il Relatore Chiar.mo Professor Luca Bresciani

Il Candidato Giulia Vagli

Anno Accademico 2016-2017

IL CANONE DELL’OBBLIGATORIETA´ NELL’ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE TRA ASPIRAZIONI DI PRINCIPIO E ADATTAMENTI PRATICI

(2)

(3)

3

INDICE

INTRODUZIONE..……… 7

CAPITOLO PRIMO

PROFILI STORICI DEL PRINCIPIO COSTITUZIONALE DELL’ OBBLIGATORIETA´ NELL’ ESERCIZIO

DELL’ AZIONE PENALE.

1. Alle origini del principio………... 9 2. L’impronta autoritaria data all’esercizio dell’azione penale dal codice Rocco del 1930………. 12

CAPITOLO SECONDO

I CARATTERI COSTITUZIONALI DELL’ AZIONE PENALE.

1. Il canone dell’obbligatorietà diviene principio……… costituzionale.………. 18 2. L’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale…... 24 2.1 Prospettiva comparata: il principio dell’obbligatorietà oltre l’ordinamento italiano………. 40 3. Procedibilità d’ufficio ed irretrattabilità dell’azione penale... 42 4. L’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 112 della Carta

(4)

4

CAPITOLO TERZO

LA TITOLARITA´ DELL’ AZIONE PENALE.

1. Il monopolio in capo al pubblico ministero e le prime «timide»

esperienze italiane di azione non

monopolista………. 52 2. La «travagliata» vita delle azioni popolari………... 56 3. La compatibilità dell’articolo 112 Costituzione con l’istituzione di un’azione penale privata………. 60 4. La frantumazione del monopolio del potere di richiesta del

pubblico ministero: il giudice di pace………. 63

CAPITOLO QUARTO

PROFILI DI CRITICITA´ E PRESIDI DI LEGALITA´ DELL’OBBLIGO DI ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE

NELL’ATTUALE ITER PROCEDIMENTALE.

1. Premessa…..…..……….. 67 2. Il criterio della completezza delle indagini preliminari…….. 70 3. Termini per l’esercizio dell’azione penale ed avocazione del

Procuratore generale……… 77 4. Il controllo giurisdizionale e il procedimento archiviativo…. 90 5. Il contributo della persona offesa dal reato in supporto al

controllo sull’inazione del pubblico ministero……….. 106 6. La compatibilità delle condizioni di procedibilità con l’articolo

112 della Costituzione………... 108 7. L’appello incidentale: dal Codice Rocco alla Riforma Orlando

(5)

5

CONCLUSIONI………... 127 Bibliografia………... 132

(6)

6

(7)

7

INTRODUZIONE

L’obiettivo della presente trattazione è quello di un’attenta riflessione sul fondamento e l’attualità del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale all’interno dell’iter procedimentale, nonché della crisi che lo sta attraversando, e dunque, delle scelte legislative che possono risultare utili per preservarlo e renderlo maggiormente effettivo, anche e soprattutto, alla luce della recente Riforma Orlando. Nell’affrontare un argomento da sempre connotato da implicazioni di considerevole ampiezza non si potrà prescindere dalla prospettiva storica; difficilmente, infatti, si potrebbero cogliere le linee fondamentali dell’attuale dibattito in tema di obbligatorietà dell’azione penale se non si partisse dall’ormai lontana e tormentata congiuntura istituzionale nella quale maturarono la necessità di una garanzia esplicita contro il pericolo dell’asservimento della giustizia penale ad interessi di tipo politico, nonché il bisogno di esprimere tale valore al più elevato livello delle fonti normative. Pertanto prenderemo le mosse dall’evoluzione storica del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, con una particolare attenzione all’impronta autoritaria impressa dal codice Rocco del 1930 dove l’azione penale era subordinata alle politiche direttive del fascismo. Il passo successivo non può che essere quello di un’attenta riflessione intorno alla consacrazione che del principio dell’obbligatorietà se ne è data nella Carta fondamentale «Il pubblico ministero ha l’obbligo di

esercitare l’azione penale», così recita l’articolo 112 della Costituzione.

Una formula, quella consegnataci dai Costituenti, lapidaria, ma che nasconde, come vedremo, non poche implicazioni ed ambiguità. L’analisi poi proseguirà con uno sguardo a quelli che sono i tratti che più caratterizzano, oltre quello dell’obbligatorietà, l’azione penale: ufficialità, pubblicità ed irretrattabilità. Altrettanto doverosa, al pari di quella storica, tanto da essere al centro della nostra trattazione, sarà la

(8)

8

riflessione su come l’obbligatorietà dell’azione penale abbia inciso e continui ad incidere sull’iter procedimentale e lo faremo, dapprima, alla luce della riforma del codice di procedura penale del 1988 (un’analisi attenta su quelle che sono state le principali novità che hanno ancor di più hanno rimarcato il monopolio in capo al pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e la sua obbligatorietà), e poi, della già richiamata Riforma Orlando (Legge 23 giugno 2017, n. 103, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario», pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 154 del 4 luglio 2017). Guarderemo al sistema procedimentale che è stato approntato dal legislatore a presidio del rispetto del principio di obbligatorietà: dal principio della completezza delle indagini preliminari, ai termini per l’esercizio dell’azione penale ed avocazione del Procuratore generale, per passare al controllo giurisdizionale ed il nuovo procedimento archiviativo, al contributo della persona offesa dal reato in supporto al controllo sull’inazione del pubblico ministero, ed infine la nostra concluderemo la trattazione con l’appello incidentale, un istituto, questo, dalle alterne vicende.

Com’è noto, tuttavia, l’articolo 112 della Costituzione è una delle disposizioni più laconiche della Carta fondamentale della Repubblica1,

fonte, come poche altre, di dispute interpretative e soprattutto terreno di scontro per diverse concezioni di «politica di giustizia penale»; oramai è palese la difficoltà del sistema italiano di garantire a pieno, da un lato, l’effettività di tale principio e dall’altro conciliarla con le nuove esigenze di politica criminale.

Dunque, alla luce di quanto vedremo sarò d’obbligo chiedersi: l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale è ancora principio attuale e cogente o, oramai, citando Valerio Spigarelli, è solo una «una

favola nociva»?

1 M. Chiavario, L’obbligatorietà dell’azione penale: il principio e la realtà, in Cass.

(9)

9

CAPITOLO PRIMO

PROFILI STORICI DEL PRINCIPIO COSTITUZIONALE DELL’ OBBLIGATORIETA´ NELL’ESERCIZIO

DELL’AZIONE PENALE.

1. Alle origini del principio dell’obbligatorietà

Si può ben dire che il principio di obbligatorietà dell’azione penale2 sia sempre stato immanente nell’ordinamento giuridico italiano, anche se formalmente enunciato solo con la Costituzione repubblicana del 1948. In effetti di questo principio lo Statuto Albertino3 non parlava, sia per i limiti propri di quella Carta costituzionale, sia perché all’epoca la moderna teoria dell’azione penale non era ancora stata compiutamente elaborata in Italia. Sarà necessario arrivare a Chiovenda4 perché si affermi il principio della piena autonomia, anche dell’azione penale, rispetto al diritto che mediante l’azione si vuol far valere. La teoria

2 L’obbligatorietà dell’azione penale implica che il p.m. è tenuto a mettere in moto l’attività di indagine ogni volta venga a conoscenza di una notizia di reato ed in qualsiasi modo gli derivi questa conoscenza. Questa non sfocia necessariamente in un processo perché può anche essere seguita dalla richiesta di archiviazione (art. 408 c.p.p.) sulla quale deve comunque pronunciarsi il giudice per le indagini preliminari (art. 409 c.p.p.). La disposizione è volta a garantire sia l’indipendenza del pubblico ministero quale organo appartenente alla magistratura (v. artt. 101, 104 co. 1 e 107 Cost.) sia l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (art. 3 Cost.).

3 Lo Statuto del Regno o Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia del 4 marzo 1848 (noto come Statuto Albertino dal nome del re che lo promulgò, Carlo Alberto di Savoia), fu la costituzione adottata dal Regno di Sardegna il 4 marzo 1848 a Torino. Il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d’Italia, divenne la Carta fondamentale della nuova Italia unita e rimase formalmente tale, pur con modifiche, fino al biennio 1944-1946 quando, con successivi decreti legislativi, fu adottato un regime costituzionale transitorio, valido sino all’entrata in vigore della Costituzione, il 1° gennaio 1948.

Il codice di procedura penale italiano del 1865 sostituì l’analogo codice sabaudo del 1847. Il codice constava di un Titolo preliminare e di 857 articoli, compresi in 3 libri:

Dell’istruzione preparatoria; Del giudizio; Di alcune procedure particolari e alcune disposizioni regolamentari.

4 Per un quadro completo circa la teoria dell’azione di Chiovenda si v. G. Chiovenda,

(10)

10

dell’azione penale si affermò velocemente5. Di ciò ne è prova il fatto che già all’inizio del secolo si poteva leggere nell’Enciclopedia giuridica che l’azione penale è «l’impulso che il rappresentante della legge, nell’interesse della società, dà alla funzione a lui demandata di promuovere la punizione di chi viola la legge penale»6.

Poco più tardi Vincenzo Manzini definirà, nel suo Trattato del diritto

processuale penale, l’azione penale come «l’attività processuale del

pubblico ministero diretta ad ottenere dal giudice una decisione in merito alla pretesa punitiva dello Stato derivante da un reato» 7 e tale definizione è di fatto arrivata sino a noi.

Pertanto, senza pretese di esaustività, si può assumere come spunto l’assenza, nel contesto dello Statuto Albertino, di un precetto riconducibile al paradigma dell’obbligatorietà dell’azione penale. Più tardi, nell’ambito della prima codificazione processuale penale italiana, alla tematica dell’azione penale era stata riservata una collocazione di primo rilievo: l’art. 1 co. 1 del codice di procedura penale del 18658 statuiva che «ogni reato dà luogo ad azione penale». Nonostante l’innegabile riconoscimento di una componente declamatoria, tra i commentatori si affermò una lettura rigida della disposizione, tale da connotarla ai nostri occhi in termini di espressione embrionale del principio di obbligatorietà dell’azione penale. In tal modo, la cultura giuridica del tempo ed il legislatore, accolsero un principio di esclusione dell’opportunità nell’esercizio della pretesa punitiva. Del resto, lo Statuto affidava la disciplina dell’ufficio del pubblico ministero alla

5 Già alla fine del XIX secolo il tema dell’azione penale rappresentava un passaggio cruciale nell’intero panorama del dibattito sul processo penale. Infatti, L. Lucchini in

Elementi di procedura penale, Firenze, 1895, p. 79 afferma: «L’azione penale mira

all’applicazione della legge penale; e con ciò si identifica con la stessa ragion d’essere del processo, della quale è espressione».

6 Cfr. Enciclopedia Giuridica Italiana, voce Azione penale, 1904.

7 Sic V. Manzini, Trattato del diritto processuale penale, Unione tipografica torinese, Torino, 1967.

8 Il codice di procedura penale italiano del 1865 sostituì l’analogo codice sabaudo del 1847. Il codice constava di un Titolo preliminare e di 857 articoli, compresi in 3 libri:

Dell’istruzione preparatoria; Del giudizio; Di alcune procedure particolari e alcune disposizioni regolamentari.

(11)

11

legge di ordinamento giudiziario; un corpus normativo che subì scansioni temporali pressochè corrispondenti a quelle che segnarono l’avvicendarsi dei primi codici di procedura penale italiani. Così il contenuto dell’art. 146 OG del 1959 «il pubblico ministero è il rappresentante del potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria, ed è posto sotto la direzione del ministro della giustizia» trasmigrò nell’art. 129 della successiva stesura del provvedimento nel 1865. Proprio dal combinato disposto dell’articolo 1 del codice di procedura penale del 1865 e dell’articolo 129 OG si può ricavare, anche se con una certa approssimazione, l’equilibrio che reggeva al tempo la saliente alternativa tra azione ed inazione. Certamente, il dato della dipendenza istituzionale del rappresentante dell’accusa dal Ministro Guardasigilli9 proietta sull’assunto di obbligatorietà dell’art. 1, un’ombra.

Successivamente si addiviene alla cristallizzazione formale, nel nuovo codice di rito10, dell’obbligo per il pubblico ministero, che non intendesse esercitare l’azione penale, di richiedere al giudice istruttore l’emanazione di un decreto di archiviazione (art. 179 co. 2 c.p.p. codice di procedura penale del 1913). Unitamente a ciò si riconosceva all’organo giurisdizionale il potere di pronunciare ordinanza di archiviazione qualora non si trovasse concorde con la determinazione di esercitare l’azione penale manifestata dal pubblico ministero. Così, seppur ancora in assenza di carte costituzionali, il quadro legislativo in

9 Cfr. L. Lucchini, Elementi, cit. 125: «Si formano pertanto di esso una persona ibrida (..), un poco parte e un po' magistrato, un po' soggetto al governo e un po' indipendente».

10 Il secondo codice di procedura penale dello Stato italiano risale al 1913 e si deve all’opera teorica e politica di Aprile Finocchiaro, Camillo. L’impegno di A. Finocchiaro su questo progetto risale al 1898, quando, per la prima volta ministro guardasigilli nel governo Pelloux, nominò una Commissione incaricata di studiare le modifiche necessarie al codice vigente. A lui va il merito di aver intrapreso la strada di una riforma integrale del codice di procedura penale del 1865, chiaramente ispirato ad una logica inquisitoria. A causa della fine della legislatura questo disegno di legge decadde e nessuno lo presentò di nuovo in Parlamento. Fu quindi lo stesso Finocchiaro a portare a termine l’opera a cui aveva lavorato. Il progetto venne approvato nel 1912 dal Parlamento, il quale autorizzò il governo ad operare le modifiche ritenute necessarie. A fronte di un’opera di revisione piuttosto profonda e pervasiva, il testo definitivo del nuovo codice di procedura penale apparve alquanto diverso da quello presentato da Finocchiaro Aprile.

(12)

12

tema di azione penale si fece nettamente più chiaro, ovvero: alla statuizione dell’art. 1, del tutto analoga a quella della codificazione precedente, si aggiungeva un preciso elenco degli atti imputativi all’art. 179, veicoli per la scelta di attivazione del pubblico ministero11, nonché il riconoscimento esplicito (art. 179 co. 2) del controllo giurisdizionale sull’opposta intenzione, interruttiva, del procuratore. Quello che però continuava a mancare era una esplicita determinazione dell’indice probatorio che orientasse l’inquirente (qui la locuzione «inquirente» è da intendersi riferita sia al pubblico ministero sia al giudice istruttore) nell’alternativa cristallizzata dai due commi dell’art. 179. Sicuramente tale carenza, calandosi in un contesto ordinamentale12 che continuava a considerare il procuratore del Re come espressione organica dell’Esecutivo, non precludeva in astratto forme di influenza del Governo sulla gestione della pretesa punitiva.

Nel complesso, però, l’impressione che si ricavava era quella di un sistema globalmente orientato verso un criterio di obbligatorietà, da intendersi come negazione dell’arbitrio del pubblico ministero nel vaglio delle notizie da archiviare.

2. L’impronta autoritaria data all’esercizio dell’azione penale dal codice Rocco del 1930

All’indomani della Prima guerra mondiale, la crisi dello Stato liberale sarebbe sfociata nel fascismo che, tra il 1922 ed il 1926, instaurò un

11

V., per una più dettagliata analisi, F. Caprioli, L’archiviazione, cit., 22 ss., in ordine alle perplessità suscitate dal dettato dell’art. 179 co.1 c.p.p. del 1913 in tema di rapporti tra decreto di archiviazione e sentenza istruttoria di proscioglimento.

12Per un quadro generale degli assetti ordinamentali del pubblico ministero nell’Italia

post-unitaria, cfr. M. Scaparone, Pubblico ministero, cit., 1094 ss. Nel 1912 venne emanato il r.d. 13.8.1912 n. 1978 il quale preannunciava l’emanazione di un nuovo testo unico contenente tutte le disposizioni in materia di ordinamento giudiziario, nonché di un nuovo regolamento generale giudiziario. L’intento, frustrato, fu ribadito dal r.d. 14.8.1921 che recava anche alcune modifiche all’ordinamento giudiziario. Tuttavia, M. Vellani ne Il pubblico ministero così affermava «quanto all’ordinamento e alle funzioni del pubblico ministero si può osservare che le modifiche e le aggiunte riscontrabili erano poche e non importanti», cit. 439 s.

(13)

13

nuovo regime, sostanzialmente, ed anche formalmente, diverso dal precedente, nonostante si conservassero antiche istituzioni, come la monarchia. La figura tradizionale del pubblico ministero come organo del potere esecutivo preposto a promuovere la repressione dei reati davanti all’autorità giurisdizionale, a vigilare sull’osservanza delle leggi e sulla regolare amministrazione della giustizia da parte dei giudici, che si era sviluppata in Italia, sull’esempio del modello francese napoleonico, a partire dal c.d. ordinamento giudiziario «Cortese» del 186513, ben si adattava alla concezione fascista dei pubblici poteri che si sviluppò progressivamente dopo la nomina da parte del Re del capo del movimento fascista, Benito Mussolini, a Presidente del Consiglio dei ministri. Secondo tale ideologia lo Stato doveva essere l’unica organizzazione capace di assicurare la cura totale degli interessi della collettività attraverso la concentrazione delle funzioni pubbliche nel Governo, diretto dal Duce, rispetto al quale tutti gli altri organi pubblici, compresi quelli giudiziari, erano in posizione subordinata14.

L’istituto del pubblico ministero permetteva al Governo di avere a disposizione, nel settore della giustizia civile e penale, un apposito organo capace sia di garantire il rispetto delle direttive impartite per l’ordine e la sicurezza pubblica da parte di tutti i sudditi sia di garantire la conformità alle politiche del Regime da parte dei giudici, così da sostanziarsi in strumento di collegamento tra il potere politico e l’amministrazione della giustizia15.

13 R.d. 6 dicembre 1865, n. 26269.

14 In proposito si segnala l’analisi di G. De Vergottini, Diritto costituzionale, che ha evidenziato come, in contrapposizione alla forma di stato liberale reputato inadeguato a tutelare gli interessi nazionali a causa del frazionamento «del potere di indirizzo politico fra più organi e al tipo di rapporti esistenti fra tali organi e la base sociale», il fascismo operò la concentrazione «della somma dei poteri di indirizzo, tramite l’assegnazione della funzione legislativa ed esecutiva ad un unico organo», sulla base della concezione dello Stato totalitaria per la quale lo Stato era l’unica organizzazione «in cui avrebbe dovuto identificarsi la società nazionale», trovando in tale organizzazione la cura totale dei suoi interessi.

15 Inoltre, sulla forma di governo del regime fascista si consulti: Panunzio, Teoria

generale dello stato fascista, Padova, 1937; De Francesco, Il governo fascista nella classificazione delle forme di governo, in Scritti giuridici in onore di Santi Romano, I,

(14)

14

Nonostante il carattere dichiaratamente autoritario del nuovo regime, almeno da un punto di vista formale, i princìpi dettati dal codice precedente in tema di azione penale non vennero abrogati. Così, l’art. 1 del codice di procedura penale del 1930 ribadiva che l’azione penale è pubblica ed è iniziata d’ufficio in seguito alla notizia di reato (anche se con alcune significative eccezioni) e l’art. 74 stabiliva che il pubblico ministero «inizia ed esercita con le forme stabilite dalla legge l’azione penale». Ancora l’Ordinamento Giudiziario del 1941, all’art. 74 stabiliva, fra le attribuzioni del pubblico ministero, «il pubblico ministero inizia ed esercita l’azione penale». Era lo stesso Vincenzo Manzini ad assicurare che nel codice del 1930, da lui redatto su incarico del Duce e di Alfredo Rocco, si voleva sottolineare il carattere dell’obbligatorietà16. Più tardi, Alfredo De Marsico, asserì che l’art. 112

della Costituzione repubblicana altro non era che «la programmatica riaffermazione di quanto già stabilito nell’art. 74 del Codice Rocco»17. Dal dettato normativo emerge un’azione penale che presentava già le caratteristiche18, oltre a quella dell’obbligatorietà, della pubblicità, di ufficialità e di irretrattabilità19. Nell’esercizio dell’azione penale non era possibile fare valutazioni di opportunità o di convenienza, ma gli unici motivi che potevano impedire al pubblico ministero di procedere penalmente erano quelli inerenti alle condizioni di procedibilità e alla mancanza degli elementi costitutivi del reato. Si poteva quindi riscontrare l'elemento dell'indiscrezionalità ossia un elemento fondante

Paladin, Fascismo, in Enc. dir., XVI, 1986, 7 ss.; Cassese, Lo Stato fascista, Bologna, Il Mulino, 2010.

16 Cfr. V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano secondo il nuovo

codice vol. 1, Torino 1931, p. 210 «Il pubblico ministero deve promuovere l’azione

penale, sempre quando ne ricorrano in concreto le condizioni, in esecuzione di un assoluto precetto di legge escludente ogni discrezionalità. Questa regola, già accolta nel codice del 1913, è stata adottata anche dal codice vigente, il quale non ammette che il pubblico ministero possa astenersi dal promuovere l’azione penale per sola ragione d’opportunità».

17 Cfr. A. De Marsico, Lezioni di diritto processuale penale, 3°ed., Napoli 1952, p. 74.

18 Cfr. F. Siracusa, Il pubblico ministero, Torino,1929, pp.7-8.

19 Ancora oggi l’azione penale presenta i suddetti caratteri; sul tema si rinvia al capitolo successivo.

(15)

15

dell’obbligatorietà. Tuttavia non si può negare che durante il regime fascista due elementi vanificavano di fatto il suddetto princìpio: da un lato la totale dipendenza della magistratura inquirente dal potere esecutivo e la mancanza di controlli giurisdizionali sull’archiviazione la quale veniva sottoposta esclusivamente a quelli gerarchici, ritenuti sufficienti a garantire che si procedesse ogni volta che ne era necessario. Del resto l’art. 69 sanciva espressamente che il pubblico ministero esercitava le sue funzioni «sotto la direzione del Ministro di grazia e giustizia». In particolare il Ministro aveva il potere di esercitare il proprio potere direttivo sull’azione penale anche in relazione a singoli casi concreti20. Ciò si traduceva nella possibilità di obbligare il pubblico ministero a promuovere l’azione penale, ed in quella occasione di non procedere in presenza di gravi motivi di ordine politico. Pertanto, alla luce delle ultime considerazioni, se ne ricava che solo formalmente i princìpi solenni enunciati dallo Statuto rimasero in vigore. Anche l’esercizio dell’azione penale, assieme agli altri princìpi fondamentali quali quello di eguaglianza, di libertà di espressione e di stampa, di libertà di riunione ed associazione, che erano state le caratteristiche nel nuovo regime costituzionale che dal 1848 era stato alla base dello spirito del Risorgimento e dell’unificazione nazionale, vennero stravolti. Di fatto l’esercizio dell’azione penale venne subordinato alle direttive politiche del fascismo.

Sul fronte dell’archiviazione, la nuova codificazione recepì un indirizzo opposto a quello della codificazione del 1913 circa il principio del necessario controllo giurisdizionale sulle scelte del procuratore in relazione al promovimento o meno dell’azione penale. Il carattere strumentale della scelta involutiva operata dal legislatore fu celata dietro

20 Contra A. De Marsico, Lezione di diritto processuale penale op.cit., p. 117 ss. L’autore ritiene che le istruzioni del Ministro potevano essere richieste dal pubblico ministero in merito a circostanze di chiara valenza politica e dovevano contenere elementi politici obiettivi in grado di condurre alla valutazione dell’infondatezza della

notitia criminis. La scelta di archiviazione, inoltre, rimane di competenza del pubblico

(16)

16

la proclamata sopravvivenza dell’obbligo del pubblico ministero di esercitare l’azione penale al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge. Conferma di ciò è dato da quanto scritto nella relazione ministeriale di accompagnamento al progetto preliminare redatto da Vincenzo Manzini nel 1929 «Si ritorna in sostanza al sistema vigente in Italia prima del Codice del 1913 per ciò che concerne l’esercizio dell’azione penale. Rimane fermo l’obbligo del pubblico ministero d’iniziare e di esercitare l’azione penale quando ne ricorrano le condizioni, ma si è tolto il controllo del giudice (il più delle volte praticamente illusorio) sulla valutazione che il pubblico ministero fa, nei singoli casi concreti, circa l’esistenza di dette condizioni».

Come già anticipato, la disciplina originaria dell’art. 74 del codice Rocco esordiva con un primo comma che sanciva l’onere del pubblico ministero di iniziare ed esercitare l’azione penale con le forme previste dalla legge, regolando contestualmente i casi di difetto di competenza o di giurisdizione del giudice presso il quale l’organo dell’accusa fosse radicato, in ordine al fatto oggetto di reato (co. 2)21. Proseguiva poi, al comma 3, statuendo che nei casi di manifesta infondatezza della notitia

criminis il pubblico ministero, il quale ancora non avesse richiesto

l’istruzione formale o il decreto di citazione a giudizio, avrebbe ordinato la trasmissione degli atti all’archivio. A fronte di questa ampia discrezionalità riconosciuta in capo al rappresentante dell’accusa, l’ultimo periodo dello stesso comma 3, imponeva al procuratore e al pretore di informare dell’avvenuta archiviazione il Procuratore generale ed il procuratore del Re, affinchè potessero, eventualmente, richiedere gli atti e disporre che si procedesse in relazione ai fatti già ritenuti manifestamente infondati.

Il quadro che ne emergeva era al quanto contraddittorio. Grazie ad un intervento «chirurgico», di considerevole portata, i reattori del nuovo

21 Lo stesso Giovanni Leone sostenne la sopravvivenza veemente di una coscienza liberale nella cultura processual-penalistica italiana durante il ventennio fascista.

(17)

17

codice sono intervenuti sulla disciplina previgente in modo tale da poter continuare a «rivendicare» il rigetto di ogni forma di opportunità nell’esercizio dell’azione penale. Manzini ribadiva che, il fatto che il nuovo codice non richiedesse più il decreto del giudice per legittimare l’inazione del pubblico ministero, non faceva venir meno l’obbligo del pubblico ministero di procedere sempre quando vi fosse un’apparenza di fondamento della notizia di reato22.

Pertanto, brevemente, possiamo dire che in questo settore il sistema non fu profondamente rivoluzionato tramite interventi legislativi, ma piuttosto il regime scelse di subordinare l'azione penale alle proprie direttive politiche e di ricondurla all'ambito della politica penale per renderla strumentale a logiche di controllo sociale23.

22 Per maggiori ragguagli v. V. Manzini, Trattato di diritto processuale penale secondo

il nuovo codice, I, Torino, 1931, 211.

23 Per un quadro più completo sulle origini e l’evoluzione del principio dell’obbligatorietà nell’esercizio dell’azione penale nell’ordinamento italiano si v. altresì M. N. Miletti, Il principio di obbligatorietà dell’azione penale oggi: confini e

(18)

18

CAPITOLO SECONDO

I CARATTERI COSTITUZIONALI DELL’AZIONE PENALE.

1. Il canone dell’obbligatorietà diviene principio costituzionale

All’indomani della caduta del fascismo e della fine della Seconda guerra mondiale, si fece cogente l’esigenza di fissare in una Costituzione rigida quei princìpi fondamentali che, già presenti nella legislazione ordinaria, erano stati poi di fatto disapplicati e stravolti nell’applicazione pratica dal fascismo24. Dal ricordo delle «amare esperienze», era nata così la scelta di sancire in Costituzione l’obbligatorietà dell’azione penale25 quale premessa per tutelare l’indipendenza del pubblico ministero, e non solo. Così, nella Carta fondamentale di cui l’Italia «delle rovine» andava dotandosi, avrebbe trovato spazio anche la coincisa disposizione dell’art. 112 «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale»26. Per ricostruire la nascita dell’articolo in esame è necessario partire dal suo antecedente storico ossia l’articolo 101 del Progetto di Costituzione della Repubblica italiana27. Al primo comma così

24 Il ritorno al regime di libertà politica provocò ovvie ripercussioni sul processo penale e sull’ordinamento giudiziario. Le conseguenze immediate furono dovute alla legislazione intervenuta tra la data dell’armistizio (8 settembre 1943) e la data di entrata in vigore della Carta fondamentale (1° gennaio 1948). Quelle riflesse vennero individuate nei nuovi princìpi consacrati nella Costituzione medesima.

25 M. Chiavario, Riflessioni sul principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, in

Aspetti e tendenze del diritto costituzionale: scritti in onore di Costantino Mortati,

Giuffrè, 1977, vol. IV, p. 98.

26 Coinciso e rigido, il carattere tranchant di quella previsione – che sarebbe stata destinata, oltre che ad attacchi frontali, a censure e rimodellamenti – traeva «le sue ragioni storiche da un giudizio negativo circa l’uso che, durante il regime fascista, era stato fatto del principio di discrezionalità, anche per effetto di forti condizionamenti di tipo politico. Condizionamenti resi possibili dalla previsione, nell’ordinamento giudiziario allora vigente (art. 69 r.d.l. 30 gennaio 1941, n. 12), di un rapporto di subordinazione del pubblico ministero rispetto al ministro della giustizia, sotto la cui «direzione» il magistrato titolare dell’azione penale doveva svolgere le funzioni di accusa attribuitegli dalla legge», così V. Grevi, Rapporto introduttivo su «diversion»

e «mediation» nel sistema penale italiano, in Rassegna penitenziaria e criminologica,

1983, p. 47 ss.

27 La formulazione attuale dell’art 112. Cost. trova il proprio antecedente nell’art. 101 del Progetto di Costituzione della Repubblica italiana, discusso in Assemblea

(19)

19

disponeva «Il Pubblico Ministero ha l'obbligo di esercitarla e non la può mai sospendere o ritardare». Sul tema si sviluppò un interessante dibattito in ambito di Assemblea Costituente. In seno alla Commissione per la Costituzione28, articolazione essenziale dell’Assemblea costituente, il tema dell’azione penale fu affrontato dalla seconda sottocommissione29, incaricata di trattare le tematiche attinenti al potere giudiziario. Sin dall’inizio, all’interno della seconda sottocommissione, vi fu accordo unanime sul principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, da intendersi come manifestazione del principio fondamentale di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, adeguandosi «ad un ordine democratico nell’ambito di uno Stato di diritto», come disse Bettiol. Il Presidente Conti pose in votazione una versione leggermente, ma significativamente modificata, del testo originariamente proposto dall’on. Calamandrei. Essa, secondo l’emendamento prospettato dall’on. Leone, così recitava «L’azione penale è pubblica e il pubblico

costituitene nella seduta antimeridiana del 27 novembre 1947. L’art. 101, inserito nel Titolo IV intitolato La Magistratura, Sez. II Norme sulla giurisdizione, così recitava: «L’azione penale è pubblica. Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla e non la può mai sospendere o ritardare.

Le udienze sono pubbliche, salvo che la legge per ragioni di ordine pubblico o di moralità disponga altrimenti.

Tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati».

28 La Commissione per la Costituzione, più spesso chiamata Commissione dei 75, fu una commissione speciale, composta di 75 membri scelti tra i componenti dell’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana, che fu incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione repubblicana. La Commissione fu istituita il 15 luglio del 1946 e avrebbe dovuto terminare i propri lavori entro il 20 ottobre dello stesso anno. La Commissione era presieduta da Meuccio Ruini, già presidente del Consiglio di Stato, e venne organizzata in tre sottocommissioni: la prima, sui diritti e doveri dei cittadini, presieduta da Umberto Tupini; la seconda, sull’organizzazione costituzionale dello Stato, presieduta da Umberto Terracini; la terza, sui rapporti economici e sociali, presieduta da Gustavo Ghidini. Fu inoltre istituito un comitato di redazione, detto «Comitato dei 18», formato dall’Ufficio di presidenza della Commissione dei 75 allargato ai rappresentanti di tutti i gruppi politici. A tale comitato fu affidato il compito di coordinare ed armonizzare il lavoro prodotto dalle tre sottocommissioni. I lavori della Commissione dei 75 si protrassero fino a 1° febbraio del 1947. La discussione generale sul progetto di Costituzione iniziò il 4 marzo del 1947 e si concluse con la definitiva approvazione il 22 dicembre dello stesso anno. 29 La II sottocommissione era composta da: Ambrosini, Bocconi, Bozzi, Bulloni, Calamandrei, Cappi, Castiglia, Conti, Di Giovanni, Farini, Leone, Mannironi, Patricolo, Porzio, Ravagnan, Targetti.

(20)

20

ministero ha l’obbligo di esercitarla in conformità della legge, senza potere in nessun caso sospenderne o ritardarne l’esercizio». Si può dunque ben dire che il principio di obbligatorietà dell’azione penale rappresenta uno dei princìpi fondamentali della Costituzione e dello Stato democratico repubblicano. Viceversa, il dibattito si incentrò piuttosto sulla conciliabilità di detto principio con la posizione ordinamentale del pubblico ministero. Nelle pagine che raccolgono i resoconti delle sedute è difficile scindere le discussioni incentrate sull’azione da quelle dedicate allo status del pubblico ministero. Ogni decisione circa l’azione penale e la sua obbligatorietà non poteva prescindere da una definizione della figura istituzionale del pubblico ministero. Su questo terreno si scontrarono due diverse posizioni, una sostenuta dall’on. Calamandrei, l’altra dall’on. Leone. Se per Calamandrei l’affermazione del principio di obbligatorietà e di legalità dell’azione penale implicava necessariamente l’istituzione di un pubblico ministero indipendente ed inamovibile, per l’on. Leone l’obbligatorietà dell’azione penale era compatibile con la configurazione del pubblico ministero quale organo del potere esecutivo, purchè il pubblico ministero fosse sganciato dalla dipendenza gerarchica dal potere esecutivo e ne fosse sancita comunque l’inamovibilità (come era già avvenuto con la legge sulle Guarentigie della magistratura emanata nel 1946)30.

In commissione alla fine ebbe la meglio la tesi del Calamandrei per la quale non era possibile mantenere il pubblico ministero alle dipendenze dell’Esecutivo «se si vogliono evitare i gravi inconvenienti verificatisi sotto il regime fascista e che potrebbero rinnovarsi sotto qualsiasi governo: che si verifichi cioè che gli stessi fatti siano considerati reati per appartenenti ad una determinata tendenza politica e per altri no». Lo stesso Leone, sostenitore della figura di un pubblico ministero - funzionario, sottoposto al potere esecutivo, era ben consapevole del

(21)

21

rischio sotteso a tale soluzione cioè il rischio di eventuali ingerenze del potere esecutivo, volte ad inibire il promovimento dell’azione penale. Si rendevano pertanto necessari due correttivi, ossia: da un lato si sarebbero potute sancire specifiche garanzie costituzionali in favore dei cittadini al fine di mettersi al riparo dall’arbitrio esercitato dagli organi di governo e dall’altro la necessità di accordare al giudice il potere di promuovere l’azione penale nell’eventualità che l’inerzia dell’inquirente fosse stata dettata dalla strumentale interferenza governativa. Dal canto suo, Calamandrei, redarguiva che il mantenimento di un qualsiasi legame tra esecutivo e Procure avrebbe perpetuato il pericolo di asservimento che la giustizia penale aveva conosciuto durante il governo fascista.

Pertanto, un pubblico ministero - magistrato, dotato di tutte le garanzie proprie dei giudici, doveva considerarsi un corollario imprescindibile dell’imposizione al pubblico ministero dell’obbligo di procedere in relazione a qualunque notitia criminis.

Alla luce di ciò, la proposta che venne presentata all’assemblea plenaria fu quella di «un pubblico ministero gode di tutte le garanzie dei magistrati»31.

La questione dell’azione penale approdò all’esame dell’Assemblea plenaria inserita nel testo dell’art. 101 del Progetto preliminare alla Costituzione. I resoconti della discussione sul testo dell’art. 101 del progetto regalano pagine di profonda vivacità intellettuale e di indiscusso valore giuridico.

Il momento decisivo per l’approvazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, nella formula a noi nota, fu segnato dalla presentazione di un emendamento ad opera dell’on. Bettiol32 il quale

31 Per la possibilità di concepire soluzioni intermedie rispetto a questi due poli estremi si v. M. Scaparone, Elementi di procedura penale.

32 Onorevole G. M. Bettiol durante i lavori dell’Assemblea Costituente in seduta antimeridiana del 27 novembre 1947: «Se non possiamo rinunziare, come sarebbe desiderio di molti, a tutte queste norme che hanno un carattere troppo particolare, è chiaro che almeno dobbiamo cercare di emendare le norme di tutto il superfluo. A me sembra che queste parole abbiano carattere di superfluità. Di carattere veramente

(22)

22

proponeva di sopprimere, al primo comma, il divieto per il pubblico ministero di sospendere o ritardare l’azione penale. La ratio di una così incisiva decurtazione risiedeva nella superfluità di quel riferimento di dettaglio rispetto alla veste di essenzialità che avrebbe dovuto contraddistinguere i precetti costituzionali. Così disse l’on. Bettiol nel suo Resoconto «di carattere veramente costituzionale è l’affermazione esplicita del principio dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale perché è un principio che si adegua ad un ordine democratico nell’ambito di uno Stato di diritto33. Bastevole a scongiurare il rischio dell’affermarsi del principio di discrezionalità, tratto distintivo di ordinamenti politici anti-democratici, stranieri e nazionali, data l’indiscussa libertà di archiviazione concessa al pubblico ministero dal codice di procedura penale del 1930, sarebbe stata una formulazione più concisa, quale, appunto «L’azione penale è pubblica e il pubblico

ministero ha l’obbligo di esercitarla». La proposta dell’on. Bettiol offrì lo spunto per un’ulteriore discussione

non emersa durante i lavori della sottocommissione, troppo «impegnata» a dibattere attorno allo status del pubblico ministero.

costituzionale è l'affermazione esplicita del principio di obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, perché è un principio che si adegua ad un ordine democratico nell'ambito di uno stato di diritto in contrasto a due princìpi: quello di discrezionalità, da un lato, per cui il pubblico ministero è arbitro di potere esercitare o non l'azione penale, e il principio di obbligatorietà o di legalità, per cui il pubblico ministero, quando ricorrano i presupposti di fatto e di diritto, deve esercitare l'azione penale stessa.

Abbiamo assistito, nella regolamentazione di ordinamenti politici antidemocratici stranieri, all'affermazione del principio di discrezionalità. Anche da noi, nel 1930, col Codice di procedura penale, quel principio aveva fatto capolino col permettere al pubblico ministero di archiviare gli atti del processo, quando il documento che conteneva la notizia fosse manifestamente infondato. Oggi questo potere del pubblico ministero di archiviare gli atti del processo senza ottenere il benestare del giudice istruttore è eliminato, per cui siamo tutti orientati verso l'affermazione chiara e precisa che l'esercizio dell'azione penale ha carattere obbligatorio. E pertanto mi sembra che la frase: «il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitarla» sia chiara, breve e precisa, mentre il resto della formulazione: «e non la può mai sospendere o ritardare» può rappresentare eccezioni che possono essere previste in leggi particolari o nel Codice di procedura penale».

33 Per una più dettagliata analisi si v. Resoconto, seduta dell’Assemblea plenaria del 27.11.1947, VIII, 4145.

(23)

23

Infatti, l’on. Leone, ritirando il proprio emendamento soppressivo, propose di porre in votazione un assunto ancora più stringente: «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale». Messo in votazione, l’Assemblea ne approvò immediatamente il testo. Un coinciso asserto che in sede di coordinamento confluì poi nell’art. 112 della Costituzione.

Alla luce di quanto detto, l’introduzione ed il mantenimento dell’art. 112 Cost. nel tessuto costituzionale, è da ricondurre a due fattori storico-politici fondamentali: l’art. 112 nasce, in primis, nasce dalla volontà di discostarsi da un passato autoritario (quello fascista) ove la soggezione dei pubblici ministeri al Ministro della giustizia di fatto nullificava la concreta applicabilità dell’omologo principio, pur se anche allora formalmente espresso. Si decise per una soluzione di compromesso: da un lato si assicurò la massima indipendenza ai pubblici ministeri, dall’altro, si cercò di contemperare tale indipendenza con la previsione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Invece la ragione per cui il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale continua ad operare, sino ad oggi, è da ricondurre anche ad un assetto di rapporti tra magistratura e politica che, dalle vicende degli anni novanta, è in continua e progressiva crisi.

La sommaria ricostruzione dell’impegno dei costituenti per un’attenta ed incisiva disciplina dell’azione penale mette in evidenza come quella fitta rete di interconnessioni tra valori democratici non può essere in alcun modo trascurata nell’indagine sul significato attuale del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Infatti, nonostante la codificazione costituzionale suddetta, nella pratica, il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale era destinato ad incontrare varie difficoltà di applicazione sia per la difficoltà di delimitare concretamente la portata e l’estensione di tale principio34 sia, e

34 Lo stesso on. G. Leone, nell’intervento in Assemblea costituente durante la seduta del 27 novembre del 1947, sosteneva che per i cultori del diritto penale il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale non fosse un concetto ben definito.

(24)

24

soprattutto, per il mare magnum di notizie di reato che pervengono alle Procure, impedendone di fatto il concreto ed adeguato esame di tutte35.

2. L’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale

In tema di obbligatorietà, dopo aver detto ampiamente delle origini e delle ragioni che hanno portato l’Assemblea costituente a sancirla in Costituzione e di come sia una delle disposizioni della Carta fondamentale in cui più forte si sente la reazione contro il regime fascista, dobbiamo ora interrogarci su in che cosa essa si sostanzi e concretizzi. Un concetto, quello dell’obbligatorietà, non di poco conto. Del resto lo stesso Giovanni Leone, ancora nel 1947, sosteneva che per i cultori del diritto penale il concetto di obbligatorietà dell’azione penale non fosse un concetto ben definito.

Come oramai è stato ribadito più volte, il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale trova consacrazione nell’art. 112 Cost., il quale, perentoriamente, statuisce che «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale».

L’art. 112 cost. non deve essere sminuito, ma non deve nemmeno essere, nel suo significato immediato, sopravvalutato; soprattutto non gli debbono essere attribuiti significati maggiori o diversi da quelli che ad esso sono deducibili e che sino ad ora la Corte costituzionale ha cercato di trarre36.

Dalla formula «Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale» si ricavano due princìpi: un’attribuzione di titolarità dell’azione

35 Non sono mancate, dal 1948 ad oggi, via via sempre più pressanti, perplessità e critiche rivolte ad un sistema che - non in grado di smaltire il carico giudiziale penale – quel principio non sempre riesce ad onorare, generando situazioni di discrezionalità patente più che strisciante. In tema di spazi di discrezionalità che si insinuano tra dettato normativo e prassi, cfr. G. Pecorella, Esercizio dell’azione penale:

caratteristiche ed ambiguità dell’azione e dell’indipendenza del Pubblico Ministero,

in Giust. pen., 1996, III, c. 51 s.

36 Sul punto si rimanda alla trattazione che dell’art. 112 Cost. è stata fatta, sotto il profilo interpretativo, nel cap. 1 del presente elaborato «Evoluzione storica del

(25)

25

penale e una dichiarazione di obbligatorietà dell’azione. Rinviamo la riflessione sul primo profilo, quello della titolarità, al capitolo successivo37, ponendo ora l’attenzione, invece, sul secondo aspetto. Anzitutto, pare doverosa una considerazione preliminare ovvero è necessario sottolineare come il significato dell’obbligatorietà cambi a seconda di cosa si intende per azione penale e del luogo in cui la si colloca all’interno dell’iter procedimentale che sappiamo andare dalla

notitia criminis alla comminazione della pena. Una cosa, infatti, è

parlare dell’obbligatorietà se l’esercizio dell’azione penale va collocato all’inizio di quell’iter; altra cosa è invece parlare di azione penale se, come dispone l’art. 405 c.p.p., l’azione penale è ciò che viene esercitato dal pubblico ministero quando non deve richiedere l’archiviazione, formulando l’imputazione nei casi previsti dai titoli II, III, IV e V del Libro VI ovvero richiedendo rinvio a giudizio38.

Inteso nel primo senso, il principio dell’obbligatorietà implica l’automaticità del procedere del pubblico ministero dinanzi alla notitia

criminis; intesa nel secondo senso, invece, l’obbligatorietà

dell’esercizio dell’azione penale coincide con l’attivazione della

facultas puniendi dello Stato39.

Nel primo caso ci si può porre il problema della discrezionalità o meno dell’esercizio dell’azione; nel secondo caso, se l’azione è la richiesta al giudice di esercitare la facultas puniendi, l’obbligatorietà, qualora l’archiviazione non sia richiesta, è conseguenza diretta, immediata ed imprescindibile degli artt. 3 e 112 della Costituzione.

All’interno di questa seconda concezione, perfettamente coerente con il codice italiano di procedura penale del 1988, l’obbligatorietà non può essere contrapposta alla discrezionalità. Infatti non può nemmeno

37 V. cap. terzo La titolarità dell’azione penale.

38 In questo secondo senso, le indagini preliminari, essendo «quelle necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale» si pongono chiaramente prima e al di fuori di quest’ultima (artt. 326 e 358 c.p.p.).

39 Sul punto, v. Corte cost. sent. n. 284/1990 in tema di giudizio abbreviato e le sentenze nn. 349 e 445 del 1990.

(26)

26

postularsi la discrezionalità dell’esercizio dell’azione penale quando questa venga esercitata solo nel caso in cui la notitia criminis è fondata. «Discrezionalità» significa scelta tra più soluzioni teoricamente possibili e legittime, al fine di raggiungere uno scopo specificato e predeterminato. Al contrario, non c’è discrezionalità nella decisione del pubblico ministero di richiedere l’archiviazione o di rinviare a giudizio. C’è piuttosto una valutazione ponderata degli elementi di fatto a sua conoscenza, che non implica scelte tra più soluzioni tutte legittime, una sola potendo, invece, essere la conclusione correttamente adottabile. L’obbligatorietà dell’azione, così intesa, è in realtà manifestazione di una idea di non discriminazione e di parità nell’applicazione della statuizione legislativa, come precisa la Corte costituzionale nella sent. n. 84 del 1979. L’obbligatorietà dell’azione penale è l’applicazione processuale di due princìpi cardini sostanziali: sul versante dei cives, quello della parità di trattamento (art. 3 Cost.) ossia lo stato di indigenza della persona offesa non deve essere di ostacolo al perseguimento del reato, e sul versante dei iudices, quello di indipendenza. A questi due princìpi si aggiunge il principio di legalità (art. 25 co. 2 c.p.): soltanto la legge può determinare chi debba essere punito e chi invece debba andare esente da pena40.

Sicuramente l’art. 112 Cost. nella sua letterale drasticità è una rarità nel panorama delle Costituzioni contemporanee. Esso sembra portare all’estremo quanto ad assolutezza espressiva, nel momento stesso in cui lo cristallizza, al livello più alto dell’ordinamento, un principio che altrove è normativamente tradotto in termini assai più morbidi e con una valenza più relativa. Si fa riferimento al principio di legalità dell’azione penale che vanta una illustre tradizione e riconoscimenti di tutto rispetto. La nozione di «legalità» nel linguaggio comune a parecchie culture

40 Princìpi, quelli dell’eguaglianza e della legalità, violati durante il regime fascista. Del resto non si dimentichi il clima in cui la norma prese corpo. Era ancora bruciante il ricordo delle amare esperienze che pure in questo campo il passato aveva fatto registrare; da meno di due anni era stata abolita nei confronti del pubblico ministero la potestà di «direzione» del guardasigilli.

(27)

27

penalistiche e processualistiche nazionali, evoca di per sé una tematica di ampio respiro, ed insieme assume un significato alquanto specifico e mirato, come esclusione di intermediazioni di ragioni di semplice opportunità tra le scelte della legge di incriminare determinati tipi di condotta ed i comportamenti del titolare pubblico dell’azione penale. Infatti il principio contrapposto (e conseguentemente il sistema) viene solitamente individuato attorno al concetto di «opportunità»41, oltre che con riferimento al concetto di «facoltatività» o di «discrezionalità». Terminata questa breve parentesi in chiave comparativa42, appare poi doveroso ricordare come il principio dell’obbligatorietà non poteva che essere recepito dal legislatore codicistico del 1988 e trasposto nel comma 1 dell’art. 50 c.p.p. 1988 che così recita: «Il Pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale». Dunque questo primo comma enuncia, all’interno del codice, il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale previsto dall’art. 112 Cost., e costituisce al tempo stesso uno dei cardini e dei punti più discussi dell’ordinamento processuale penale43. Obbligo dunque che, a chi ne è

41 V., in tema di ordinamenti stranieri, M. Chiavario, L’azione penale tra diritto e

politica, Cedam, Padova, 1995, p. 98-99. Chiavario osserva come in nessuna delle

Costituzioni straniere si trova una clausola che suoni allo stesso modo del nostro art. 112 Cost. Ciò, non solo in riferimento agli ordinamenti dei Paesi che si ispirano palesemente al principio opposto di «opportunità» dell’azione penale, ma anche a quelli che fanno bensì, della «legalità» dell’azione penale, una regola generale per i comportamenti degli organi chiamati ad esercitarla ed a controllarne l’esercizio, e che tuttavia evitano di trasportarla in termini di «obbligatorietà» a livello costituzionale. Un esempio è dato dalla Germania dove un’indicazione, tendenziale, della Costituzione a favore della «legalità» nel senso descritto viene solitamente ricavata dai princìpi fondamentali di democrazia e di eguaglianza, e segnatamente, dall’esplicito riconoscimento costituzionale del principio di determinatezza delle fattispecie criminose.

42 Per un quadro generale sul principio dell’obbligatorietà nell’esercizio dell’azione penale negli ordinamenti stranieri si rinvia al par. 2.1 del presente capitolo.

43 Per un quadro dell’ampio dibattito sulla possibilità di garantire e rendere effettiva l’obbligatorietà dell’azione, v. Pubblico ministero oggi, Atti del convegno di studi «Enrico de Nicola», organizzato dal Centro studi di prevenzione e difesa sociale, Saint Vincent, 3-5 giugno 1993, Giuffrè, 1994; in particolare gli interventi di M. Chiavario,

Obbligatorietà dell’azione penale: il principio e la realtà; V. Zagrebelsky, Stabilire le priorità nell’esercizio obbligatorio dell’azione penale e G. Neppi Modona, Principio di legalità e nuovo processo penale. Prospettano una ampia gamma di

strategie per conciliare il principio di obbligatorietà con la limitatezza delle risorse, sia su un piano più strettamente processuale, attraverso l’ampliamento dell’area della procedibilità a querela, una più elastica valutazione dei presupposti per l’archiviazione

(28)

28

titolare, impone di dover procedere per ogni reato conosciuto, negando di fare scelte in merito al suo esercizio (se non quelle di archiviazione44). Segnatamente, l’obbligatorietà impone al pubblico ministero di valutare la fondatezza di ciascuna notizia di reato e di compiere le indagini necessarie per decidere se occorre formulare l’imputazione o chiedere l’archiviazione45.

Dunque, il principio di obbligatorietà, icasticamente formulato nell’art. 112 Cost., trova la sua ratio più genuina nelle finalità, da un lato, di vietare inerzie arbitrarie da parte degli stessi rappresentanti del pubblico ministero, dall’altro, e forse ancora di più, di offrire una sorta di «scudo» di fronte ad eventuali pressioni esterne (istituzionali e non), dirette a suggerire o ad imporre l’inazione46.

e del principio dell’offensività in concreto prevista dall’art. 49 c.p., sia su quello organizzativo degli uffici, attraverso l’archiviazione delle indagini senza esito con provvedimenti cumulativi e la scelta delle priorità da parte dei dirigenti degli uffici. Per una più ampia trattazione in materia rinviamo ai capitoli seguenti: cap. III

«Patologia» e cap. IV «Rimedi».

44 Il principio di obbligatorietà dell’azione penale, unitamente alla presunzione di non colpevolezza (art. 27, co. 2 Cost.), postulano sempre una scelta «doverosa» da parte dell’organo pubblico: il p.m. ha il «potere-dovere» d’agire quando si realizzano le condizioni previste dalla legge per l’esercizio dell’azione; e una volta che egli abbia scelto d’agire, non ha la possibilità di revocare l’opzione, stante il principio di irretrattabilità dell’azione penale (art. 50, co. 3, c.p.p.); il p.m. ha il «potere-dovere» di richiedere l’archiviazione nel caso opposto (Corte cost. 8.9.95, n. 420, in Giur.it.,1997, I, 207; Corte cost. 15.2.91, n.88, in Giur. cost., 1991, 586; Corte cost. 26.7.79, n. 84,

ivi, 1979, 637; per la configurabilità di un corrispondente «diritto all’archiviazione» in

capo all’indagato, cfr. Cass. 5.12.06, n.4447, in Cass. pen., 2007, 4625, sia pure riferita alla richiesta obbligatoria di archiviazione di cui all’art. 405, c. 1bis, c.p.p., dichiarato incostituzionale da Corte cost. 24.4.09, n. 121, in Giur. cost., 2009, 1131). Per una panoramica più ampia in tema di archiviazione e dei relativi presupposti si rinvia al capitolo quarto.

45 Il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale non impone, ovviamente, che il pubblico ministero debba necessariamente «accusare». L’obbligo istituzionale del pubblico ministero è quello di controllare che la legge sia rispettata (art. 73 ord. giud.). Pertanto il pubblico ministero chiede l’archiviazione se gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio; se successivamente ritiene che possano essere svolte nuove investigazioni, chiederà al giudice la riapertura delle indagini (art. 414 c.p.p.). Parimenti, nel corso del dibattimento il pubblico ministero non è vincolato a chiedere la condanna; può infatti chiedere il proscioglimento se tale è la conclusione da trarre dagli elementi di prova acquisiti. Cfr. P. Tonini, Manuale di procedura

penale, Giuffrè, XVIa Milano, 2015, p. 585.

46 Cfr. M. Chiavario, Riflessioni, cit., 40 «nell’art. 112 Cost. si volle scorgere una garanzia pregiudiziale – «minima» – se si vuole, ma non perciò meno importante – per l’indipendenza dei magistrati del pubblico ministero». Ancora, in materia, P. Borgna, – M. Maddalena, Il giudice e i suoi limiti, cit., 111, secondo i quali:

(29)

29

Spesso si afferma che senza tale norma, di cui è difficile trovare corrispondenti nelle Costituzioni di altri stati, quanto almeno ad apparente assolutezza, si avrebbe una violazione del principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (art. 3 Cost.). Certamente l’affermare un opposto principio di discrezionalità - opportunità dell’azione penale può aprire la porta, già in linea teorica, alla liceità di applicazioni diseguali della legge penale. Al tempo stesso però è eccessivo sostenere che negli altri paesi civili e democratici, dove il principio di obbligatorietà non è senza eccezioni o addirittura negato in radice, non si badi affatto all’eguaglianza di tutte le persone di fronte alla legge47.

Quindi, l’art. 112 Cost., esige che la legge attribuisca l’esercizio dell’azione penale in capo al pubblico ministero, in rapporto a qualsiasi ipotesi di reato sia configurata dall’ordinamento, e quindi che l’azione penale popolare o privata, eventualmente prevista dalla legge, sia non esclusiva, ma tutt’al più concorrente con quella pubblica conferita al pubblico ministero48. Abbiamo detto poi come l’art. 112 Cost., nello stabilire che il pubblico ministero ha non il potere discrezionale, ma il dovere di esercitare l’azione penale, ed allora rappresenta anche un corollario del principio di determinatezza della norma penale

«l’esperienza ci insegna che, a volte, le pressioni esercitate sul pubblico ministero non sono dirette ad impedirgli di indagare, ma al contrario, a indurlo ad aprire indagini su fatti che occupano la discussione politica, ma che non necessariamente hanno un chiaro profilo penale».

47 In alcuni paesi, quali Francia e Paesi anglosassoni, vige l’opposto principio dell’obbligatorietà dell’azione penale ossia il principio di opportunità dell’azione penale. In essi l’esercizio o meno dell’azione penale si basa su valutazioni discrezionali dell’interesse pubblico a perseguire un reato in concreto. Nell’ordinamento tedesco, invece, si dà per scontato che il principio dell’obbligatorietà valga in via generale, ma esso non è codificato in Costituzione e viene ricavato da altri princìpi ivi contenuti. Dunque, proprio in quanto non è principio costituzionale, non costituisce una regola rigida ed assoluta, ma conosce numerosi temperamenti e deroghe esplicite da parte della legislazione ordinaria, tanto che spesso di ritiene che esso sia ormai soppiantato, nell’insieme della realtà normativa, dell’opposto principio dell’«opportunità». Per un quadro più completo si v. V. M. Caianello, Poteri dei privati nell’esercizio dell’azione

penale, Giappichelli, Torino, 2003, Vol. 10 pg.131-132.

48 In tema di titolarità del potere di esercizio dell’azione penale si rinvia al paragrafo successivo.

(30)

30

incriminatrice statuito dall’art. 25 co. 2 Cost. Se questo postula che i reati siano delineati dalla legge in termini chiari e precisi, così da escludere per quanto possibile ogni discrezionalità del giudice nel ravvisarne l’integrazione, è logico che l’art. 112 Cost. vieti di inserire, come il principio di discrezionalità dell’azione penale invece implicherebbe, valutazioni di opportunità tra l’esercizio dell’azione penale e l’accertamento del reato.

Pertanto, alla luce di quanto detto, in forza del principio dell’obbligatorietà, il pubblico ministero:

a) allorchè, acquisita una notizia di reato, ravvisi elementi sufficienti per sostenere un’accusa in giudizio, deve formulare l’imputazione ed esercitare l’azione penale;

b) ove non ravvisi tali elementi e quindi ritenga che l’azione penale non debba essere esercitata, deve provocare il controllo del giudice su questo suo convincimento, ed il giudice che non lo condivida, uscendo eccezionalmente dalla passività processuale impostagli dal precetto costituzionale d’imparzialità49, ordinare al pubblico ministero di proseguire le indagini oppure di formulare un’imputazione50.

49 Il giudice chiamato ad adottare una certa misura giurisdizionale non deve subire condizionamenti esterni, personali o di altro tipo, ma deve pronunciarsi soltanto in base alle risultanze in fatto ed in diritto acquisite e comunque emergenti nel processo condotto secondo le regole. Un complesso di norme costituzionali cerca di garantire questa finalità, ossia di garantire l’indipendenza ed imparzialità del giudice. Si v. artt. 25 co. 1 Cost.; 101 co. 2 Cost.; 102 co. 1 e co. 2 Cost.; 104 co. 1 Cost.; 107 co. 1 e co. 3 Cost.; 108 co. 2 Cost. e 111 co. 2 Cost.

50 Sul controllo del giudice per le indagini preliminari e sull’eventuale obbligo di ulteriori indagini si rinvia al capitolo quarto. Si anticipa solo quanto segue: dal principio di obbligatorietà dell’azione penale si può ricavare il seguente corollario: se l’azione penale è obbligatoria, è necessario che sia previsto uno strumento tecnico che renda effettivo l’adempimento di tale dovere. Lo strumento esiste: esso consiste in un controllo effettuato dal giudice. Si tratta di un istituto che appartiene alla tradizione italiana remota (art. 179 c.p.p. 1913) e che dal 1944 è stato reintrodotto nel vecchio codice (art. 6 d.lgt. n. 288). In base al vigente art. 409, la scelta del pubblico ministero di non esercitare l’azione penale si traduce nella richiesta di archiviazione, essa è sottoposta al controllo del giudice per le indagini preliminari. Come vedremo nel capitolo quarto, si tratta di un procedimento molto penetrante. Il giudice può indicare al pubblico ministero le indagini che egli reputi necessarie (art. 409 co. 4); può altresì ordinargli di formulare l’imputazione (art. 409 co. 5); non può tuttavia, sostituirsi al pubblico ministero nel precisarne il contenuto perché lo vieta il principio di

(31)

31

Il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale non è violato dalle disposizioni di legge che stabiliscono non doversi procedere in caso di irrilevanza sociale o di particolare tenuità del fatto51. Queste disposizioni sono di diritto penale sostanziale e delimitano la fattispecie criminosa escludendone le ipotesi di irrilevanza sociale o di particolare tenuità del fatto, e al più potrebbero violare l’art. 25 co. 2 Cost. per indeterminatezza della norma sostanziale che configura la fattispecie. Esse, al contrario, non contrastano con l’art. 112 Cost. ove resti fermo che il pubblico ministero, se intende non procedere perché ritiene il fatto socialmente irrilevante o particolarmente tenue, e quindi penalmente irrilevante, deve sottoporre tale sua risoluzione al sindacato dell’organo giurisdizionale52.

Abbiamo accennato della difficoltà di rendere effettivo il principio di obbligatorietà dell’azione penale come conseguenza del mare magnum di notizie di reato che giungono agli uffici. Non vi è dubbio che una delle ragioni principali alla base di questa situazione sia l’ipertrofia delle norme penali presenti nell’ordinamento. Una scelta di politica criminale che potrebbe migliorare notevolmente la situazione è quella di

separazione tra le funzioni processuali. V. M. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, Milano, 2015, XVIa ed., pp. 585-586.

51 Il d.lgs. 14 marzo 2015, n. 28 (Gazz. Uff. 18 marzo 2015, n. 64) ha introdotto «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma

dell’art. 1 comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67». Gli elementi che

connotano «la particolare tenuità del fatto» sono i seguenti: il limite di pena, la tenuità dell’offesa, la non abitualità del comportamento. Più precisamente, il requisito base – costituito da una soglia limite di pena (non superiore a cinque anni o una pena pecuniaria sola o congiunta a quella detentiva) – si integra di ulteriori fattori: oltre alle situazioni espressamente escluse, sia oggettivamente che soggettivamente, vanno considerate le modalità della condotta, caratterizzata da un comportamento, non abituale, e l’eseguità del danno e de pericolo, tali da configurare un’offesa particolarmente tenue. Per una più ampia panoramica in materia si v. D. Carcano,

Depenalizzazione e particolare tenuità del fatto, Giuffrè, Milano, 2016, p. 153 ss.

52 Corte cost. n. 280/1995 ha disposto che il dovere del pubblico ministero di esercitare l’azione penale ex art. 112 Cost. non si prolunga nel dovere di tale organo di impugnare il provvedimento giurisdizionale emesso in seguito all’esercizio dell’azione. Il potere di impugnazione è attribuito anche alle parti private del processo, le quali non sono titolari dell’azione penale, e quindi non sarebbe una manifestazione di questa azione. Pertanto l’art. 112 Cost. non è violato dalle disposizioni di legge che attribuiscono al pubblico ministero il potere discrezionale di non proporre l’appello principale e di proporre l’appello incidentale oppure di revocare l’impugnazione proposta. In materia di appello incidentale si rinvia al capitolo successivo.

(32)

32

procedere ad una massiccia opera di depenalizzazione. Con il termine depenalizzazione si designa, in un’accezione ampia, il fenomeno di politica legislativa consistente nella riduzione dell’area di tutela coperta dal sistema penale e nella sua sostituzione con altri mezzi di controllo sociale53. Oramai da tempo si ha la piena consapevolezza di come il nostro ordinamento sia affetto dal fenomeno della produzione di un altissimo numero di leggi presidiate con la sanzione penale, una proliferazione di nuove figure di reato. Questo fenomeno, denominato dell’ipertrofia penale, comporta, da un lato, notevoli inconvenienti pratici ovverosia l’ingorgo giudiziario e la semi-paralisi della giustizia penale; e dall’altro, gravi conseguenze sul piano assiologico: la svalutazione della pena come strumento general e special preventivo. Quindi il processo di depenalizzazione serve sia a rimediare ai guasti economici e funzionali prodotti dall’inflazione penalistica, sia a razionalizzare e rendere trasparente la selezione dei fatti da punire54. Le ragioni di fondo della politica di depenalizzazione risiedono, pertanto, nel processo di ipertrofia del diritto penale: l’idea che la sanzione penale rappresenti lo strumento esclusivo di controllo sociale della devianza. Con il conseguente sovraccarico degli apparati giudiziario e di polizia, che ha condotto ad un progressivo affievolimento della loro capacità di far fronte alla domanda di accertamento e di repressione dei delitti più gravi. Di conseguenza, l’obiettivo concretamente perseguito dal legislatore con la depenalizzazione è quello di attuare una politica di deflazione del carico giudiziario per consentire un’efficace ed adeguata risposta nei confronti delle più gravi forme di criminalità.

Nello specifico, l’obiettivo prioritario dell’opera di depenalizzazione in senso ampio, nell’ottica del legislatore, è storicamente consistito nel soddisfare l’ineludibile esigenza di una deflazione del carico giudiziario, tramite la razionalizzazione del sistema depenalizzando o

53 C.E. Paliero, voce Depenalizzazione, cit. p. 426 ss. 54 C.E. Paliero, voce Depenalizzazione, cit. p. 427 ss.

Riferimenti

Documenti correlati

Qui infatti si stabilisce che, nell’esercizio della delega, i decreti dovranno “prevedere che gli uffici del pubblico ministero, per garantire l'efficace e uniforme

112 Cost., il tema della obbligatorietà dell’azione penale è ancora attuale alla luce dell’emergere di profili di discrezionalità nella operatività degli uffici di Procura dove

125 disp. D’altronde, le conseguenze sul piano statistico non dovrebbero far avvertire una significativa crescita delle notizie di reato affidate alla fase processuale,

È vero, infatti, che quest’ultima rap- presentò un punto nevralgico, in relazione al quale l’obiettivo dei costituenti fu di ribaltare l’assetto precedente in ordine alla

196/2003, sanziona il manca- to adeguamento del titolare del trattamento alle misure individuate da un “allegato” tecnico situato “in calce” al decreto legislativo (art. 196/2003)

Ad essere precisi nessun sistema artistico codificato (narrativa inclusa) è capace di raffigurare la realtà, senza artifici e convenzioni; ciò vale a maggior ragione

Come vedi abbiamo pensato a diversi modi alternativi per utilizzare una cuffia da doccia.. Vai alla pagina successiva per vedere il

[r]