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Termini per l’esercizio dell’azione penale ed avocazione del Procuratore generale

NELL’ATTUALE ITER PROCEDIMENTALE.

3. Termini per l’esercizio dell’azione penale ed avocazione del Procuratore generale

È noto come la questione dei termini delle indagini preliminari sia alquanto dibattuta. Al fine di ridurre i c.d. «tempi morti» del processo penale tra il deposito degli atti ex art. 415-bis c.p.p.122 e l’esercizio dell’azione penale, con conseguente avvio della fase processuale davanti al giudice dell’udienza preliminare, la c.d. Riforma Orlando123 ha aggiunto un comma 3-bis all’art. 407 c.p.p.124. In questo quadro si inserisce il tema dell’obbligatorietà dell’azione penale. La formulazione del dettato costituzionale è stringente, configurando un vero e proprio dovere, in capo al pubblico ministero, suscettibile di provvedimento disciplinare in caso di ingiustificato ritardo, al di là dell’intervento - come si dirà – del Procuratore generale con un provvedimento di avocazione. Il dato emerge con chiarezza dall’incipit della norma che prevede l’operatività della previsione «in ogni caso». Si stabilisce che il

122 V. art. 415- bis c.p.p., rubricato Avviso all’indagato della conclusione delle indagini

preliminari.

123 Legge 23 giugno 2017, n. 103, recante «Modifiche al codice penale, al codice

di procedura penale e all’ordinamento penitenziario», pubblicata in Gazzetta Ufficiale Ufficiale n. 154 del 4 luglio 2017. Come già detto, il provvedimento introduce modifiche di grande rilievo nell'ordinamento penale, sia sul piano del diritto sostanziale sia su quello del diritto processuale; alcune delle novità sono entrate in vigore sin da subito (ossia il 30° giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta, vale a dire dal 3 agosto), altre invece sono state oggetto di specifiche deleghe che sono state poi attuate dal Governo.

124 Il nuovo art. 407, comma 3-bis c.p.p. sancisce l’obbligo per il pubblico ministero di chiedere l’archiviazione oppure esercitare l’azione penale, in ogni caso, entro «tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all’articolo 415-bis». In prima battuta si può dunque affermare che lo spazio decisionale del pubblico ministero è stato formalmente ampliato quantomeno di tre mesi rispetto a ciò che era finora previsto. Ma non è tutto. Nel caso in cui si presenti la situazione di cui al comma 2, lett. b., ossia debbano essere vagliate «notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l’elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese», il rappresentante dell’accusa può rivolgersi al Procuratore generale presso la Corte di Appello per ottenere una proroga fino a ulteriori tre mesi. Inoltre, è stato stabilito che, in relazione ai gravi reati di cui al comma 2, lett. a, nn. 1, 2, 3 e 4, sempre dell’art. 407 c.p.p., il tempo lasciato all’autorità inquirente per decidere il da farsi sia addirittura di quindici mesi e non di tre, come ordinariamente previsto; dal tenore della disposizione in esame, non si può peraltro escludere che, pure in quest’ultima ipotesi, possa essere concessa una dilazione.

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pubblico ministero deve esercitare l’azione penale ovvero richiedere l’archiviazione entro tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all’art. 415-bis c.p.p. Le due ipotesi alternative, ossia esercizio dell’azione penale piuttosto che archiviazione, si correlano alle situazioni di inoperatività dell’art. 415-bis c.p.p.

In ogni caso, nell’ipotesi in cui le indagini si esauriscano in termini più brevi rispetto a quelli massimi, si deve ritenere che dalla loro scadenza decorra il riferito termine di tre mesi. Il rigore della previsione, considerata la variabilità delle situazioni prospettabili, è suscettibile di un qualche temperamento. Infatti si prevede che nel caso in cui il pubblico ministero non assuma le proprie determinazioni in ordine all’azione penale, prima della scadenza del termine di tre mesi, il Procuratore generale presso la Corte d’Appello possa – con decreto motivato – prorogare il termine per non più di tre mesi, dandone notizia al procuratore della Repubblica. La richiesta del pubblico ministero dovrà, naturalmente, essere adeguatamente motivata. Sempre nella logica del contemperamento della scelta e della finalità sottesa alla previsione, si stabilisce che in relazione ai procedimenti di cui ai nn. 1, 3 4 del comma 2 dello stesso art. 407 c.p.p. il termine per l’esercizio dell’azione penale è fissato in quindici mesi125; ma in tema di Riforma

Orlando torneremo nel proseguo del presente paragrafo.

Pertanto, in termini generali, affermare l’obbligatorietà dell’azione penale significa sia escludere che il pubblico ministero possa, per ragioni di opportunità, decidere se investire o meno il giudice della questione relativa ad una notitia criminis sia esigere che il sistema preveda efficaci strumenti di controllo che impediscano al medesimo di sottrarsi al dovere impostogli.

125 D’obbligo però è sottolineare che esistono già alcune previsioni che configurano un dovere di accelerazione per il pubblico ministero. Infatti nel comma 2-ter dell’art. 406 c.p.p. si prevede che la proroga delle indagini non può essere concessa per più di una volta quando si procede per i reati di cui agli artt. 572, 589 co. 2, 589-bis, 590 co. 3, 590-bis e 612-bis c.p. e al co. 2-bis art. 416 c.p.p. si stabilisce che qualora si proceda per i reati di cui all’art. 589 co. 2 e art. 589-bis c.p., la richiesta di rinvio a giudizio del p.m. deve essere depositata entro trena giorni dalla chiusura delle indagini preliminari.

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Ecco che si spiega la ratio che sta alla base dell’istituto dell’avocazione, disciplinato all’art. 412, comma 1 del codice di rito. Esso è stato concepito proprio come rimedio all’inerzia del titolare dell’accusa relativamente alle sue determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale126.

L’art. 412 co. 1 c.p.p., come anticipato poc’anzi, è stato interessato dalla c.d. Riforma Orlando. Prima di essa, così recitava: «Il Procuratore generale presso la Corte di Appello dispone con decreto motivato l’avocazione delle indagini preliminari se il pubblico ministero non esercita l’azione penale [405] o non richiede l’archiviazione [408] nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice [406]. Il Procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste entro trenta giorni dal decreto di avocazione». Il primo inciso è stato così modificato: «Il Procuratore generale presso la Corte d’Appello, se il pubblico ministero non esercita l’azione penale o non richiede l’archiviazione nel termine previsto dall’art. 407, comma 3-bis, dispone con decreto motivato, l’avocazione delle indagini preliminari», mentre rimane inalterata la parte restante del comma 1.

Quindi, qualora il pubblico ministero non eserciti l’azione penale o non richieda l’archiviazione «nel termine stabilito dalla legge»127, appare

126 Nel diritto vivente, l’avocazione non gode di grande successo sul piano dell’effettività. Il Procuratore generale di fronte all’impossibilità di esercitare il potere avocativo, seppur normativamente necessitato, nei confronti dell’enorme quantità di procedimenti che, ogni settimana, ne integrerebbero i presupposti. Pertanto, il Procuratore generale dovrà scegliere il male minore, avocando solo quei procedimenti per i quali si riveli indispensabile esercitare il potere in oggetto, ispirandosi a criteri di «buon senso».

127La legge 23 giungo 2017, n. 103, la c.d. Riforma Orlando, ha interessato anche i

termini di chiusura delle indagini preliminari. Specificatamente, il comma 30 dell’art. 1 della legge n. 103 del 2017 ha introdotto nel corpo dell’art. 407 c.p.p. il comma 3-

bis, che scandisce una serie di termini entro i quali, scadute le indagini preliminari,

devono essere assunte le determinazioni circa l’esercizio o meno dell’azione penale. Il rinvio a giudizio o l’archiviazione dovranno essere chiesti dal pubblico ministero entro 3 mesi (prorogabili di altri 3 dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello se si tratta di casi complessi) dalla scadenza di tutti gli avvisi e notifiche di conclusa indagine. Per i delitti di mafia e terrorismo il termine è però di 15 mesi. In caso di inerzia del pubblico ministero si ha l’avocazione d’ufficio del fascicolo disposta dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello. Poi è previsto uno specifico potere di vigilanza del procuratore della Repubblica sulla tempestiva e regolare iscrizione delle

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ragionevole consentire, attraverso l’applicazione dell’art. 412 c.p.p., un intervento del Procuratore generale al fine di avocare le indagini preliminari.

Dunque, la disciplina dell’avocazione delle indagini da parte del Procuratore generale presso la Corte di Appello è strettamente connessa a quella dell’archiviazione. Precisamente, l’avocazione è un intervento che è previsto sia quando il pubblico ministero abbia deciso di fare richiesta di archiviazione, e tale istanza non sia condivisa dal Procuratore generale, sia quando il pubblico ministero sia rimasto inerte. Nella prima delle circostanze delineate (è il caso della c.d. avocazione discrezionale), sia nella vecchia che nuova formulazione, al fine di permettere l’esercizio del potere di avocazione, gli artt. 409 comma 3, e 412 comma 2 c.p.p., stabiliscono che della fissazione dell’udienza camerale il giudice dispone che venga data comunicazione anche al Procuratore generale. In tali situazioni il Procuratore generale effettua una valutazione discrezionale in ordine alle iniziative del pubblico ministero, potendo concludere nel qualificarle come insufficienti, inopportune o, addirittura, illegittime; e può revocare l’iniziale richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero; il Procuratore

notizie di reato. Da precisare è poi che la nuova disciplina, in ragione del regime transitorio previsto, ha effetti soltanto per il futuro, risultando applicabile solo «ai procedimenti nei quali le notizie di reato siano iscritte nell’apposito registro successivamente alla data di entrata in vigore» della legge di riforma (art. 1, comma 36 della legge n. 103 del 2017). Così, dunque, il nuovo art. 407 c.p.p., rubricato

Termini di durata massima delle indagini preliminari, al comma 3-bis recita «In ogni

caso il pubblico ministero è tenuto ad esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all’art. 415-bis. Nel caso di cui al comma 2, lettera b), del presente articolo, su richiesta presentata dal pubblico ministero prima della scadenza, il Procuratore generale presso la Corte di Appello può prorogare, con decreto motivato, il termine per non più di tre mesi, dandone notizia al procuratore della Repubblica. Il termine di cui al primo periodo del presente comma è di quindici mesi per i reati di cui al comma 2, lettera a), numeri 1) e, 3) e 4), del presente articolo. Ove non assuma le proprie determinazioni in ordine all’azione penale nel termine stabilito dal presente comma, il pubblico ministero ne dà immediata comunicazione al Procuratore generale presso la Corte d’Appello». Vedi altresì G. Spangher, La Riforma Orlando. Modifiche al Codice penale, Codice di

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generale, invece, non è legittimato ad impugnare l’ordinanza emessa dal giudice.

Nella seconda circostanza (c.d. avocazione obbligatoria), invece, il Procuratore generale interviene d’ufficio ovvero su sollecitazione dell’indagato o della persona offesa (art. 413 c.p.p.), avocando le indagini, laddove sia decorso inutilmente il termine fissato per le indagini128, anche eventualmente prorogato, e vi sia stata l’inerzia del pubblico ministero, il quale non decide se promuovere o meno l’azione penale (art. 412 c.p.p.).

L’avocazione serve, così, a ripristinare un itinerario procedimentale, compromesso dall’inazione e dallo scarso impegno investigativo del pubblico ministero129.

Per la dottrina la disposizione relativa alla c.d. avocazione obbligatoria trova applicazione analogica anche nelle ipotesi di procedimento a carico di ignoti e nel caso in cui il giudice abbia adottato un’ordinanza di indagini «coatte» o di formulazione dell’imputazione ex art. 409 commi 4 e 5 c.p.p., e vi sia stata l’inerzia da parte del pubblico ministero. In entrambi i casi il Procuratore generale svolge le indagini preliminari ritenute indispensabili e, entro 30 giorni dall’avocazione (profilo non

128 La Corte costituzionale, più volte chiamata a pronunciarsi circa la compatibilità tra l’apposizione di limiti temporali allo svolgimento delle indagini preliminari e il principio di obbligatorietà dell’azione penale, ha ripetutamente ribadito che non vi sarebbe alcuna contraddizione logica tra la previsione di un termine entro il quale deve essere portata a compimento l’attività di indagine e il precetto sancito all’art. 112 Cost., non essendo quel termine, in sè e per sé considerato, un fattore che sempre e comunque è astrattamente idoneo a turbare le determinazioni che il pubblico ministero è chiamato ad assumere al suo spirare.

In proposito, E. Marzaduri, Enciclopedia, Treccani, voce Azione, cit., p. 11, ritiene che le soluzioni suggerite dalla Corte costituzionale per giungere ad un accettabile contemperamento tra le esigenze perseguite con la disciplina dei termini massimi di durata delle indagini preliminari e l’esigenza di assicurare al pubblico ministero la possibilità di valutare se agire o meno sulla base di un’attività investigativa completa non appaiono particolarmente convincenti.

129 Con una precisazione, però: «l’avocazione, così come gli altri strumenti posti a salvaguardia dell’obbligatorietà (ci si riferisce all’imputazione «coatta» e all’indagine ulteriore in sede di procedimento di archiviazione, all’opposizione della persona offesa, all’integrazione investigativa in udienza preliminare), non può evitare che tempi e risorse preziose siano comunque definitivamente bruciate da omissioni e intempestività del pubblico ministero incaricato in prima battuta delle indagini», così M. Chiavario, Obbligatorietà dell’azione penale, p. 77.

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interessato dalla riforma Orlando), formula le sue richieste, che ovviamente possono avere ad oggetto sia l’esercizio dell’azione penale, sia concretizzarsi in una istanza di archiviazione.

Dobbiamo però evidenziare che, in caso di revoca della richiesta avanzata dal pubblico ministero ad opera del Procuratore generale avocante, non viene meno il potere del giudice per le indagini preliminari di disporre, all’esito dell’udienza in camera di consiglio, l’espletamento di ulteriori indagini, a norma dell’art. 409 comma 4 c.p.p., attraverso la fissazione del termine indispensabile per il compimento delle stesse130.

La Riforma Orlando è altresì intervenuta in materia di termini per l’esercizio dell’azione penale: uno dei profili più controversi del provvedimento di riforma è rappresentato proprio dall’intervento sulla disciplina dettata dagli artt. 407 e 412 c.p.p. in tema di controllo sui tempi delle indagini preliminari, non previsto nella versione originaria del disegno di legge.

Com’è noto il codice di rito del 1988 ha previsto dei termini massimi entro i quali il pubblico ministero deve esercitare l’azione penale ovvero richiedere l’archiviazione. Tale previsione risponde a tre diverse e pregnanti esigenze. Anzitutto, all’esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo penale, elevata poi a principio costituzionale a seguito delle modifiche apportate all’art. 111 Cost. dalla legge cost. 23 novembre del 1999; in secondo luogo, all’esigenza che il pubblico ministero, il quale ha l’obbligo di esercitare l’azione penale in virtù dell’art. 112 Cost., non si sottragga indefinitivamente al controllo giurisdizionale sull’eventuale mancato esercizio di tale azione, ed infine, all’esigenza che la persona sottoposta alle indagini non rimanga troppo a lungo in questa spiacevole situazione131.

130 V. Cass., sez. II, 28 gennaio 2003, Scuto Caterina, in C.E.D. Cass., n. 224855 131 Così, M. Scaparone, Procedura penale, 4a ed., vol. II, Giappichelli, Torino, 2015, p. 74. Cfr. altresì Corte cost., 15 aprile 1992, n. 174, in Cass. pen., 1992, p. 1756, la quale ha affermato che la presenza di un termine serve «a imprimere tempestività alle

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L’art. 1, comma 30 della novella, inserendo nell’art. 407 c.p.p. il nuovo comma 3-bis, prevede che, «in ogni caso», alla scadenza del termine massimo di durata delle indagini preliminari (rimasto immutato) o comunque alla scadenza dei termini previsti dall’art. 415-bis c.p.p. in tema di avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari, il pubblico ministero deve esercitare l’azione penale o richiedere l’archiviazione. Dunque, concretamente, decorsi i venti giorni concessi all’indagato per esercitare le prerogative ivi previste – il pubblico ministero deve avere tre mesi di tempo per manifestare le proprie opzioni in ordine agli epiloghi delle indagini preliminari e, quindi, per decidere se richiedere l’archiviazione o promuovere l’azione penale. Il nuovo termine di tre mesi per le determinazioni del pubblico ministero può essere prorogato di ulteriori tre mesi dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello, con decreto motivato emesso a seguito della richiesta del pubblico ministero presentata prima della scadenza, nel caso in cui si tratti di una notitia criminis che renda particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti o di persone offese dal reato (v. art. 407, comma 2, lett. b, c.p.p.), dandone notizia al procuratore della Repubblica. Ancora, come anticipato, un termine più ampio, ossia 15 mesi, viene concesso al pubblico ministero per sciogliere l’alternativa tra archiviazione e rinvio a giudizio per i reati di mafia, di terrorismo e per altri delitti di particolare gravità ex art. 407, comma 2 lett. a) n. 1), 3), 4), c.p.p.

Tutte queste modifiche, che in virtù di un’espressa norma transitoria (art. 1, comma 36, legge n. 103/2017), trovano applicazione soltanto ai procedimenti nei quali le notizie di reato sono iscritte nell’apposito registro di cui all’art. 335 c.p.p. successivamente alla data di entrata in vigore della «legge Orlando» (ossia dopo il 3 agosto 2017)132, hanno lo

indagini e contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tale indagini è soggetto».

132 La legge 23 giugno 2017, n. 103, infatti è stata pubblicata sulla G.U., serie generale, 4 luglio 2017, n. 154, con la previsione di un periodo di vacatio legis più lungo di quello ordinario ovvero di 30 giorni (art. 1 comma 95).

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scopo di evitare che, dopo la fine delle indagini preliminari e il deposito degli atti, ci siano «tempi morti» prima dell’udienza preliminare e, soprattutto, evitare il pericolo che indagini già concluse restino sospese in un limbo per troppo tempo, lasciando le persone coinvolte, ed in

primis l’indagato, in un perdurante stato d’ansia ed incertezza.

La ratio della novità è piuttosto chiara: il legislatore ha cercato di far fronte a quei casi in cui il pubblico ministero, dopo lo scadere dei termini delle indagini, pur non potendo compiere validamente ulteriori atti investigativi (art. 407, comma 3 c.p.p.), resta inerte, senza prendere alcuna decisione133. La via tentata ed intrapresa è quella del compromesso: si è rinunciato a «pretendere» che il pubblico ministero agisca subito in un senso o nell’altro ed è stata formalizzata una «fase di riflessione», trascorsa la quale si augura che la decisione venga presa. In breve, la riforma ha legittimato la prassi del «ritardo», nella speranza di poterne contenere i tempi, e la fase delle indagini preliminari consta ora di due sottofasi: nella prima, il pubblico ministero compie atti investigativi; nella seconda non li può compiere, limitandosi a valutare quanto raccolto.

Indubbiamente una scelta di tal tipo può far emergere alcuni dubbi, non solo a fronte della potenziale ampiezza di questi periodi di stasi procedimentale in cui materialmente nulla accade, ma anche delle modalità prescelte per indurre l’autorità inquirente all’osservanza della nuova disciplina. Il pubblico ministero, infatti, se nemmeno allo scadere dei nuovi termini stabiliti dal legislatore abbia assunto le proprie determinazioni, dovrebbe darne «immediata comunicazione al procuratore generale presso la Corte di Appello», affinchè eserciti il proprio potere di avocazione ex art. 412 c.p.p. Precisamente, laddove il pubblico ministero non eserciti l’azione penale o non richieda l’archiviazione nei nuovi termini indicati dall’art. 407 c.p.p. comma 3-

133 Si vedano, a tal proposito, le riflessioni critiche di G. Spangher, Riforma Orlando:

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bis c.p.p. (ordinari o prorogati dal Procuratore generale), dovrà darne

«immediata comunicazione» al Procuratore generale presto la Corte d’Appello, il quale, a sua volta, dovrà disporre, con decreto motivato, l’avocazione del procedimento. Questo è quanto recita il nuovo comma 1, primo periodo, dell’art. 412 c.p.p., come sostituito dall’art. 1, comma 30, lett. b), legge n. 103/2017, mentre il testo originario prevedeva il potere del Procuratore generale di disporre l’avocazione del procedimento in fase di indagini in ordine al quale il pubblico ministero non avesse esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice134.

In sede di lavori parlamentari, le suddette innovazioni sono state guardate con occhio di riguardo dall’avvocatura associata mentre sono state fortemente contestate dall’Associazione Nazionale Magistrati, non mancando di sottolinearne le forti criticità, ritenendo la soluzione normativa prescelta contraddittoria ed irrazionale. Non appare in linea con l’intero impianto del codice di procedura penale, che attribuisce al giudice per le indagini preliminari il controllo giurisdizionale sulle indagini e sull’esercizio dell’azione penale, prevedere il potere di proroga del nuovo termine di tre mesi in capo al Procuratore generale presso la Corte d’Appello. Si è poi detto come le modifiche proposte non avrebbero contribuito all’accelerazione dei processi, ma sarebbero state destinate a creare una stasi negli uffici giudiziari, rallentando il lavoro delle Procure sino a bloccarlo completamente e a portarlo al collasso. Le Procure generali non sarebbero in grado di dar seguito