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Il controllo giurisdizionale e il procedimento archiviativo

NELL’ATTUALE ITER PROCEDIMENTALE.

4. Il controllo giurisdizionale e il procedimento archiviativo

Il fatto che il filtro giurisdizionale sia il congegno più idoneo a rendere effettivo il principio di obbligatorietà dell’azione penale è palese138, ma prima di entrare nel vivo dell’argomento, pare doverosa, sul punto, una breve premessa, la quale, se si vuole, può apparire anche scontata, ma è comunque indispensabile. In un ordinamento come quello italiano, dove fondante è il principio della obbligatorietà nell’esercizio dell’azione penale (art. 112 Cost.), il controllo giurisdizionale può avvenire in modi diametralmente opposti a seconda che s’instauri un sistema processuale prevalentemente inquisitorio o prevalentemente accusatorio. Nel primo caso, il giudice può anche sostituirsi al pubblico ministero in ipotesi di inerzia o di eccessivo impulso nel promovimento dell’azione, non dovendosi rispettare il principio del ne procedat iudex ex officio, affinchè si possa realizzare la garanzia di terzietà del giudice nel processo di parti. Nel secondo caso, invece, al giudice non è consentita alcun tipo di ingerenza, ma non per questo si può dire che il controllo giurisdizionale non possa o non debba essere realizzato in modo, anzi, più effettivo di quanto non consenta il cumulo in capo allo stesso soggetto della duplice funzione di giudice e di promotore dell’azione. A sostegno dell’assunto, nel codice di procedura penale del 1988, vale ineludibilmente la profonda innovazione sistematica del primato della giurisdizione, che si è inteso garantire per offrire ed assicurare alle parti il constante controllo del giudice sulla loro intera attività procedimentale, e non solo quella processuale.

Abbiamo visto in cosa si sostanzi il principio di completezza delle indagini ossia: «Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono,

volto a combattere il fenomeno, assai diffuso in Italia, della lunghezza eccessiva dei processi.

138 Cfr. G. Angiolini, I limiti del controllo sull’adempimento dell’obbligo

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nell’ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale [50, 358, 405, 412]».

Tuttavia, per comprendere la reale portata dell’art. 326 c.p.p. occorre fare un qualche passo indietro e guardare al tema dell’archiviazione ex art. 408 c.p.p.139. «Entro i termini previsti dagli articoli precedenti, il pubblico ministero, se la notizia di reato [335] è infondata, presenta al giudice richiesta di archiviazione».

Oggi, l’archiviazione è prevista come possibile esito delle indagini preliminari come alternativa all’esercizio dell’azione penale. L’art. 408 c.p.p. sul punto è fermamente esplicito, escludendo, sul piano testuale, qualsiasi possibile rischio di ambiguità concettuale tra archiviazione ed esercizio dell’azione penale, configurandole come ipotesi aventi presupposti di fatto e di diritto antitetici. In aggiunta a ciò, il legislatore del 1988 ha voluto evitare ogni equivoco interpretativo, anche in sede di definizione dei presupposti di archiviazione: essi si presentano come presupposti negativi dell’obbligo di esercizio dell’azione penale. Invero, questa scelta, è il riflesso del preciso scopo di razionalizzazione del principio sancito dall’art. 112 Cost. in ragione della struttura e delle caratteristiche del codice di rito del 1988: si è ritenuto compatibile con il precetto costituzionale un sistema nel quale il concreto obbligo di esercizio dell’azione penale risulti legato saldamente alla previa verifica della insussistenza dei presupposti che rendono doverosa la richiesta di archiviazione. Intendendo l’art. 112 Cost. come il canone il base al quale il pubblico ministero ha sempre l’obbligo di esercitare l’azione penale quando ne ricorrono i presupposti, si assegna all’archiviazione una ben precisa connotazione funzionale: il procedimento archiviativo deve servire ad accertare l’inesistenza dei presupposti dell’obbligo di agire e

139 Cfr. C. V. Reuter, Le forme, cit., 64: «È evidente, dunque, come le disposizioni legislative in tema di archiviazione siano in grado non solo di individuare la concreta portata del principio costituzionale di obbligatorietà, ma anche di tracciare, in negativo, i confini definitori dell’azione penale in un dato ordinamento giuridico».

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il provvedimento di archiviazione ad esonerare il pubblico ministero, in via eccezionale, dall’osservanza di tale obbligo.

Come si è già avuto modo di rilevare con efficacia, l’inazione del pubblico ministero non può essere lasciata alle sue libere determinazioni, ma per escludere in senso categorico un governo discrezionale della potestas agendi la legittimità dell’inazione deve essere sottoposta al sindacato del giudice140.

La scelta del controllo giurisdizionale è il frutto della naturale e fisiologica esigenza di ricercare meccanismi di garanzia congegnati in modo tale da evitare abusi nella funzione di impulso processuale attribuita esclusivamente al pubblico ministero.

La volontà del legislatore codicistico di attuare una netta distinzione tra il pubblico ministero quale organo della «azione» e il giudice per le indagini preliminari, quale organo della «giurisdizione di garanzia»141, ha portato all’abolizione del vecchio giudice istruttore e alla sua sostituzione con una figura di giudice «polifunzionale», ma senza alcuna funzione investigativa.

Per quanto concerne i presupposti della richiesta di archiviazione, essi sono indicati negli artt. 408, 411 e 415 del codice di rito e nell’art. 125 disp. att. cp.p.142. Si tratta, innanzitutto, dell’ipotesi di infondatezza della

notizia di reato, (art. 408 c.p.p.) e, accanto ad essa, delle altre ipotesi elencate negli artt. 411 e 415 c.p.p., dove sono compresi, oltre al caso di

140 «La richiesta di archiviazione della notizia di reato […] apre il sipario sulla necessità di dare contemporaneamente attuazione (e quindi contemperare) due principi entrambi di rango costituzionale: da un lato, il principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale sancito dall’art. 112 della Carta Costituzionale e, dall’altro, il principio di terzietà del giudice riconosciuto dall’art. 111 c. 2 della Cost.», sic G. Giostra, L’archiviazione. Lineamenti Sistematici e questioni interpretative, Giappichelli, Torino, 1994, p. 8.

141 L’espressione riferita al giudice per le indagini preliminari è di V. Grevi, Funzioni

di garanzia e funzioni di controllo del giudice nel corso delle indagini preliminari, in

AA. VV., Il nuovo processo penale. Dalle indagini preliminari al dibattimento, Giuffrè, Milano, 1989, p.15 s.

142 Art. 125 disp. att. c.p.p. Richiesta di archiviazione «Il pubblico ministero presenta al giudice la richiesta di archiviazione quando ritiene l’infondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti nelle indagini non sono idonei a sostenere accusa in giudizio».

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improcedibilità dell’azione penale, quello di estinzione del reato, del fatto non previsto dalla legge come reato, nonché l’ipotesi in cui l’autore del fatto resti ignoto; e da ultimo, con la Riforma Orlando (sul punto torneremo nel proseguo di questo paragrafo), è stata aggiunta l’ipotesi del caso in cui il provvedimento di archiviazione sia nullo143. Com’è noto, ai casi di archiviazione originari si era aggiunta con la l. 20 febbraio 2006, n. 46, una nuova ipotesi, il comma 1-bis dell’art. 405 c.p.p., poi dichiarato incostituzionale con sentenza del 24 aprile 2009, n. 121, per la quale il pubblico ministero, al termine delle indagini, era tenuto a formulare richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si fosse pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’art. 273 c.p.p., e non fossero stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta ad indagini. Successivamente, con il d.lgs.16 marzo 2015, n. 28, è stata introdotta nel nostro ordinamento una nuova causa di non punibilità per i reati sanzionati fino a cinque anni di reclusione e per quelli puniti con pena pecuniaria (art. 131-bis c.p.). Tale previsione opera quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare leggerezza e il comportamento non è abituale. Sarà competenza del giudice valutare senza automatismi se sussistono i requisiti per questo tipo di archiviazione, in particolare l'offesa non è lieve se l'autore ha agito per motivi abietti o futili, con crudeltà o sevizie o, ancora, approfittando delle condizioni della vittima nell’impossibilità o incapacità a difendersi. Sotto il profilo soggettivo sono poi esclusi i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, chi ha commesso più reati della stessa indole e chi commette un reato in condotte plurime, abituali e reiterate (es. il c.d. «stalking» ex art. 612 bis

143 Con la Riforma Orlando è stato modificato l’art. 411, rubricato Altri casi di

archiviazione. A tale articolo, infatti, è stata inserita un ulteriore ipotesi di

archiviazione ossia quella dell’art. 410-bis; articolo, quest’ultimo, introdotto con la medesima riforma e rubricato Nullità del provvedimento di archiviazione. Per un più ampio ragguaglio in materia v. G. Spangher, La Riforma Orlando. Modifiche al Codice

penale, Codice di procedura penale e Ordinamento penitenziario, Pacini giuridica,

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c.p. Atti persecutori, piuttosto che Maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p.). La persona offesa e l'indagato potranno opporsi alla richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero. Si tratta, ovviamente, di un’ipotesi che rappresenta nei fatti una forte attenuazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale144.

È ormai questione nota e risaputa come la formula dell’art. 408 co. 1 c.p.p. trovi la sua naturale enunciazione nell’art. 125 disp. att. c.p.p., nel quale si precisa che la notizia di reato è infondata quando «gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa

144 In materia è da richiamarsi la sentenza della Cassazione Penale, sez. III, 20 giugno 2017 (ud. 26 gennaio 2017), n. 30685, Presidente Cavallo, Relatore Socci. Con tale sentenza ha ritenuto che la persona sottoposta alle indagini preliminari non abbia interesse ad impugnare il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, per ragioni diverse da quelle relative alla violazione del contradditorio. La vicenda concreta prendeva le mosse dall’ordinanza di archiviazione, ai sensi dell’art. 131 bis c.p., pronunciata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza con riferimento al reato di cui agli artt. 269 e 279 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Ricorreva per Cassazione la persona sottoposta alle indagini, lamentando, che la motivazione del giudice per le indagini preliminare non avesse dato conto del pieno accertamento del reato contestato, prima di affrontare il tema dell’entità dell’offesa o della relativa punibilità. La Corte concludeva per l’inammissibilità del ricorso presentato, poiché proposto al di fuori dei casi previsti dalla legge. Il tema è ancora vergine e non sono presenti precedenti pronunce in termini. La conclusione tratta dal Supremo Collegio, secondo cui il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto non è suscettibile di ricorso per Cassazione si fonda su due differenti ordini di ragioni. In primo luogo vi è una ragione testuale. L’origine dell’argomentazione è l’inequivoco, ma non incontrovertibile, dato testuale dell’art. 409, co. VI c.p.p., il quale contempla quali uniche ipotesi di gravame, quelle sanzionate da nullità a sensi dell’art. 127 co. V c.p.p. ovvero i casi di mancata corretta instaurazione o sviluppo del contraddittorio nell’ambito dell’udienza fissata a seguito di proposizione di ammissibile opposizione alla richiesta di archiviazione o dell’iniziativa ufficiosa del giudice per le indagini preliminari. La norma è rimasta inalterata anche a seguito dell’approvazione del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28. Sintomo, questo, dell’intenzione del legislatore di mantenere intatto il regime di impugnazione del provvedimento di archiviazione, anche in ipotesi di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. In secondo luogo, la ragione sistematica (di maggior rilievo): non si può ignorare la particolare natura di quella che, seppur si presenta come causa di non punibilità, in sé racchiude un pieno accertamento del reato contestato, sia sotto il profilo oggettivo, che soggettivo. In questi termini, non appare peregrina una rivalutazione del sistema normativo de equo, in particolare alla luce del parametro di matrice costituzionale dell’art. 2 del protocollo 7 C.E.D.U., poiché ci si trova al cospetto di una pronuncia di natura, latu sensu condannatoria, sottratta al vaglio nel merito di un giudice di una giurisdizione superiore. La Corte di cassazione non ignora tali rilievi e, seppur indichi la non manifesta infondatezza dell’abbozzata questione di legittimità costituzionale, fornisce un’interpretazione costituzionalmente orientata del quadro normativo di riferimento, tale da garantire il risetto della Carta fondamentale.

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in giudizio». Quello che immediatamente emerse dalla nuova fisionomia dell’archiviazione, al tempo della riforma del codice di procedura penale nel 1988, fu l’abbandono del tradizionale presupposto della «manifesta» infondatezza della notizia di reato, che invece era ancora presente nella legge delega n. 81 del 1987 (art. 2, direttiva n. 50)145. È la sentenza della Corte costituzionale del 15 febbraio del 1991, più volte menzionata, che ha ben sintetizzato le ragioni del perché il legislatore delegato abbia omesso l’attributo «manifesta». In tale sentenza la Corte ha tenuto conto delle differenze strutturali tra vecchio e nuovo processo, affermando che la formula utilizzata nella direttiva n. 50 della legge delega del 1987, nonostante fosse uguale a quella che, nel vigore del codice del 1930, definiva il grado di infondatezza idoneo a consentire l’archiviazione, facesse riferimento a contesti processuali non assimilabili. Secondo la Corte «la decisione sull’archiviazione, assunta [durante la vigenza del codice Rocco] in base alla sola notizia di reato e a più o meno scarni elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari all’istruzione, tendeva a stabilire se vi fosse o meno un’infondatezza così manifesta da far ritenere superflua o meno l’istruzione vera e propria».

Al contrario, nel sistema delineato dal codice del 1988, ancora afferma la Corte «si tratta di decidere all’esito, e sulla base, di indagini preliminari anche «complete» e talvolta integrate da investigazioni suppletive (artt. 409 e 413)». Quindi si è ritenuto verosimilmente che

145 Gli artt. 408, 411 e 415 c.p.p., sono disposizioni nelle quali, come vi è noto, è via via stabilito che il pubblico ministero presenti al giudice per le indagini preliminari «richiesta di archiviazione […] se la notizia di reato è infondata»; se «risulta che manca una condizione di procedibilità, che il reato è estinto o che il fatto non è previsto dalla legge», ovvero, se è rimasto «ignoto l’autore del reato». Delle varie situazioni così ipotizzate, senza dubbio la più problematica è costituita da quella in cui si allude alla infondatezza della notizia di reato; semplicemente «infondatezza» e non più «manifesta infondatezza», contrariamente a quanto si ricavava dalla dizione originaria dell’art. 74 comma 3 c.p.p. 1930, di quanto si era continuato ad affermare per l’individuazione dei presupposti dell’archiviazione nella vigenza del codice Rocco, nonostante che con la riforma del 1944 – art. 6 d.lgs. 14 settembre 1944, n. 288 – detta formula fosse stata espunta dal testo della disposizione, e di quanto risultava altresì nella direttiva n. 50 legge delega.

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l’infondatezza, collocata al termine delle indagini preliminari, recasse già in sé il segno dell’inequivocità onde il vero significato della regola così dettata consiste nella non equivoca, indubbia superfluità del processo.

A quel punto era necessario che una disposizione si facesse carico di tradurre il presupposto dell’infondatezza in «criterio sufficientemente preciso», idoneo a fungere da parametro cui il pubblico ministero deve riferirsi per valutare, in un’ottica di legalità, se debba, o non, esercitare l’azione penale. Detto in altri termini, l’art. 125 disp. att. c.p.p. impone al pubblico ministero una valutazione degli elementi acquisiti non più nella chiave dell’esito finale del processo, bensì nella chiave della loro attitudine a giustificare il rinvio a giudizio; non nell’ottica del risultato dell’azione, ma in quella della superfluità o no dell’accertamento giudiziale.

Quindi vi è l’intenzione del legislatore di fissare un criterio non arbitrario, attraverso l’individuazione di un parametro valutativo, quello appunto imperniato sulla prognosi di non idoneità degli elementi raccolti a sostenere l’accusa in giudizio, cui il pubblico ministero deve ritenersi vincolato in vista della verifica sull’eventuale infondatezza della notizia di reato. Con la conseguenza che, ove la notizia sia ritenuta infondata, alla stregua del parametro così stabilito, il pubblico ministero dovrà presentare richiesta di archiviazione dovrà presentare richiesta di archiviazione, mentre in ogni altro caso, risultando la notizia non infondata, sarà obbligato a promuovere l’azione penale.

Ancorchè si tratti di un criterio che lascia margini di discrezionalità sul piano della prognosi probatoria, la natura tecnica dell’apprezzamento compiuto dal magistrato inquirente lo rende assolutamente compatibile con il principio di obbligatorietà che, invece, ne risulterebbe offeso se si consentisse al pubblico ministero di operare, ai fini del promovimento dell’azione penale, una valutazione discrezionale fondata su criteri di opportunità politica, la cui natura soggettiva finirebbe con il rendere

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estremamente difficile qualunque sindacato giurisdizionale. Pertanto, il controllo affidato al giudice per le indagini preliminari tenderà ad accertare, sulla base della medesima regola giuridica, la sussistenza o meno dei presupposti legalmente determinati per l’integrazione di una fattispecie di reato, verificando, altresì la necessaria completezza che deve connotare il materiale raccolto nel corso delle indagini146. La regola della completezza, e questa non è una novità, è un corollario del principio di legalità: il dovere di svolgere indagini complete, infatti, «funge da argine contro eventuali prassi di esercizio «apparente» dell’azione penale, che avviando la verifica giurisdizionale sulla base di indagini troppo superficiali, lacunose o monche, si risolverebbe in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale»147.

L’istituto dell’archiviazione ha conservato la funzione di garanzia di un controllo affidato all’organo giurisdizionale sul mancato esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero. D’altra parte, che il filtro giurisdizionale sia il meccanismo più idoneo a rendere effettivo il principio di obbligatorietà dell’azione penale discende da molteplici inconvenienti connessi al vecchio e meno efficace controllo gerarchico, primo tra tutti quello di «[…] sottrarre la discrezionalità al titolare dell’azione per affidarla ad altri»148.

Tuttavia, l’avviamento dell’intero iter, ovverosia quello della procedura di archiviazione - e, quindi, anche del relativo controllo giurisdizionale – dipende, pur sempre, da un comportamento attivo del pubblico ministero. Il controllo postula, infatti, che il titolare dell’azione chieda

146 In tale situazione, il giudice per le indagini preliminari svolge, in veste di «giudice di merito», un controllo «sulle indagini», e che, pertanto, oltre a intervenire come organo di controllo e di garanzia, interviene come «organo di cognizione», in quanto è tenuto a verificare se ricorrono i presupposti per l’archiviazione degli atti, se devono essere svolte ulteriori indagini, o, addirittura, se deve essere formulata l’imputazione, M. Ferrajoli, Il ruolo di «garanzia» del giudice per le indagini preliminari, 3a Cedam, Padova, 2006, p. 63.

147 Corte. Cost. 15 febbraio 1991, n. 88, cit. p. 592.

148 Sic G. Giostra, L’archiviazione. Lineamenti Sistematici e questioni interpretative, 2a ed., Giappichelli, Torino, 1994, p. 8.

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al giudice l’adozione di un provvedimento di archiviazione che lo autorizzi a non agire.

Alla luce della pronuncia della Corte costituzionale sopra citata (sent. n. 88 del 1991), possiamo affermare che l'archiviazione agisce come un limite implicito rispetto all'obbligatorietà dell'azione penale laddove essa è razionalmente intesa, quando il processo risulti oggettivamente superfluo. In sostanza il principio stesso si autodelimita apparendo privo di significato quando l'infondatezza della notizia o la carenza strutturale di prove del fatto storico rendono l'esito prevedibile.

La previsione, in termini di necessarietà, di tale provvedimento giurisdizionale dovrebbe, almeno teoricamente, assicurare il rispetto del canone di legalità, anche se il diffondersi di prassi «devianti» ne rivela l’insuperabile limite rintracciabile proprio nella strutturazione stessa dei poteri del pubblico ministero. Un limite sì fisiologico, ma comunque di ostacolo alla concreta attuazione dell’obbligo d’agire, potendo, il pubblico ministero, con condotte omissive «non ortodosse», decidere autonomamente di non esercitare l’azione penale senza che, sulla predetta decisione, si inneschi alcun controllo. Il risultato è quello di un’inevitabile elusione dell’obbligo di agire ogni qual volta, pur in presenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione penale, il pubblico ministero abusi di tali poteri, sicuro di non essere sottoposto ad alcun sindacato.

La Riforma Orlando, con la sua pretenziosa aspirazione ad operare una completa rivisitazione di tutto l’iter procedimentale penale nei suoi vari segmenti, da quello decisorio a quello esecutivo, passando per quello sanzionatorio, non poteva certamente disinteressarsi di un tema importante come quello dell’archiviazione e prova ne è il fatto che già prima dell’organico intervento di riforma dello scorso anno, il legislatore è intervenuto149, come già detto, in maniera incisiva sulla

149 Si fa riferimento, in particolare, all’introduzione dell’archiviazione per particolare tenuità del fatto.

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relativa disciplina, anche se in modo parziale e non perfettamente coerente. Del resto lo strumento dell’archiviazione rappresenta il primo filtro nel procedimento penale che consente, rendendo effettiva l’obbligatorietà dell’azione penale, di non far sfociare nel giudizio gli esiti di indagini che non sarebbero idonei a sostenere l’accusa a giudizio.