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NELL’ATTUALE ITER PROCEDIMENTALE.

2. Il criterio della completezza delle indagini preliminar

L’articolo 112 della Costituzione, oltre a sancire il carattere doveroso della domanda di giudizio nelle ipotesi in cui non si siano realizzati i presupposti legittimanti l’istanza di archiviazione, esercita efficacia impositiva anche nella fase delle indagini preliminari innervandovi il principio di completezza delle stesse. Solo un tale modus operandi permette di attribuire effettività alla risoluzione di un’opzione, esercizio

Matarrese, Il Governo presenta alla Camera un articolato pacchetto di riforme del

codice penale, del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario, in Dir. pen. cont., 15 gennaio 2015.

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o meno dell’azione penale, fondata su presupposti simmetrici. Per far coesistere l’art. 112 Cost. con la discrezionalità investigativa, si è venuto a delineare uno scenario che vede il pubblico ministero obbligato a verificare la fondatezza della notitia criminis attraverso lo svolgimento di indagini complete. È proprio il principio di completezza dell’indagine preliminare ad unire la fase discrezionale all’obbligo posto all’esito della stessa.

La necessità di svolgimento di indagini complete ed il loro «intimo» legame con l’art. 112 Cost. viene implicitamente sottolineato per la prima volta nella pronuncia della Corte. cost. n. 445 del 1990113; ma è con la sentenza n. 88 del 1991, più volte richiamata, che «il principio di tendenziale completezza delle indagini» riceve la sua concreta consacrazione ed elaborazione114. La Consulta, partendo

dall’importanza fondamentale che riveste, sia la direttiva contenuta nel punto n. 37 della legge delega sia la sua successiva traduzione normativa (artt. 326 e 358 c.p.p.), giunge alla limpida conclusione che da tale disciplina si può trarre il principio di tendenziale completezza delle indagini.

La sentenza n. 88 del 1991, dunque, ha contribuito ad attribuire il valore di un vero e proprio principio a quello che può essere individuato come un «dover essere dell’indagine».

Gli artt. 326 e 358 c.p.p.115 impongono, a ben vedere, al pubblico ministero di raccogliere tutto quanto è necessario alle sue determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale, compresi gli elementi a discarico116. L’obbligo a questa tendenziale completezza delle indagini ha come obiettivo quello di garantire l’efficienza del

113 Si veda in proposito la sent. Corte cost., 12 ottobre 1990, n. 445.

114 La Consulta, partendo dall’assunto dell’importanza fondamentale che rivesta, sia la direttiva contenuta nel punto n. 37 della legge delega sia la sua successiva traduzione normativa (artt. 326 e 358 c.p.p.), giunge alla chiara conclusione che da tale disciplina si può trarre il principio di tendenziale completezza delle indagini.

115 Art. 326 c.p.p., rubricato Finalità delle indagini preliminari e l’art. 358 c.p.p., rubricato Attività di indagine del pubblico ministero.

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controllo giurisdizionale sulla richiesta di archiviazione, proprio per assicurare il principio di obbligatorietà sancito dalla Carta fondamentale117. A tal proposito, non rileva, la regola di giudizio dettata dal legislatore con riguardo al momento conclusivo delle indagini e contenuta nell’art. 125 disp. att. c.p.p. a proposito dell’archiviazione per infondatezza. L’assunto di fondo ovverosia che il principio di completezza è funzionale alla realizzazione del principio dell’obbligatorietà resta impregiudicato dalla questione se l’art. 125 disp. att. abbia illegittimamente esteso l’ambito di operatività dell’archiviazione ai fini meramente deflattivi o se invece sia solo una conseguenza della nuova struttura della fase procedimentale, riconducibile ad una ipotesi di discrezionalità tecnica.

Solo passando per il rispetto del principio dell’obbligatorietà, il titolare dell’azione penale può garantire l’eguaglianza tra gli indagati. Se così non fosse nessuno potrebbe mai essere certo del risultato dell’attività del pubblico ministero, la cui eventuale incompletezza delle indagini condurrebbe, arbitrariamente, ad una richiesta di archiviazione. Poiché il pubblico ministero deve esercitare l’azione penale solo nel caso in cui sia in possesso degli elementi idonei a provare il fatto di reato in giudizio, è ovvio che per decidere tra avvio o meno del processo, egli debba ricercare tutti i relativi elementi di prova. L’art. 326 c.p.p., rubricato Finalità delle indagini, precisa che il pubblico ministero e polizia giudiziaria svolgono le indagini «necessarie» per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale. Inoltre l’art. 358 c.p.p., ribadendo che il pubblico ministero compie ogni attività «necessaria» ai fini indicati nell’art. 326 c.p.p., aggiunge che egli

117 L’art. 112 Cost. è il referente privilegiato per affermare, anche in sede processuale, il principio di uguaglianza. Come è noto, l’art. 112 fu introdotto nella nostra Costituzione senza una particolare discussione, all’esclusivo fine di sancire quello che era già stato introdotto nella legislazione ordinaria nell’immediato dopoguerra ossia l’autonomia del rappresentante della pubblica accusa da qualsiasi ingerenza del potere politico dopo la negativa esperienza del regime fascista; cfr. M. Chiavario,

Obbligatorietà dell’azione penale: il principio e la realtà, in Il pubblico ministero oggi, cit., pp. 69 ss.

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«svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini».

Del resto, la raccolta del materiale investigativo serve al pubblico ministero per la ricostruzione del fatto risultante dalla notizia di reato per verificare se vi siano effettivamente le condizioni per una fruttuosa apertura del processo. La presenza di un vincolo tra l’indagine preliminare ed azione è innegabile; questo è perché proprio dallo svolgimento e dall’estensione delle indagini che si traggono gli elementi per far assumere al pubblico ministero le doverose determinazioni riguardo all’esercizio dell’azione penale, sia in senso positivo sia in quello negativo118. Doverose non tanto perché il pubblico ministero, all’esito dei termini legislativamente imposti per lo svolgimento delle indagini, è tenuto comunque a decidere le sorti del procedimento, quanto e soprattutto, perché è il suo stesso agire ad essere caratterizzato in termini di doverosità. Il tutto in ossequio al chiaro dettato costituzionale: sussistendone i presupposti, la domanda penale deve essere proposta, senza che vi sia alcun spazio per valutazioni di opportunità estranee all’obiettiva infondatezza della notizia di reato119. Dunque, se diciamo che l’attività di indagine condiziona l’agire del pubblico ministero è inevitabile che, per la tenuta stessa del principio dell’obbligatorietà, quella ne rimanga, a sua volta, condizionata. Diversamente, se si riconoscesse una piena discrezionalità del pubblico ministero in fase preliminare, sarebbe del tutto svuotato di significato il principio dell’obbligatorietà nell’esercizio dell’azione penale. Per dar corpo all’azione è necessario che lo svolgimento delle indagini sia condotto in modo da sondare e sviluppare, sia in positivo sia in negativo, tutti gli interrogativi che la notizia di reato pone120.

118 Rileva al riguardo Valentini, L’obbligatorietà dell’azione penale, cit., p. 136 che «il dovere di effettuare l’accertamento dei presupposti fattuali in presenza dei quali scatta l’obbligo di esercitare l’azione penale […] sembra essere un portato logico ineludibile dell’obbligo costituzionale iscritto in capo al p.m.».

119 Questo è il parametro che sovraintende alla scelta tra azione ed archiviazione. 120 Sottolinea particolarmente tale aspetto F. S. Cassibba, La «completezza» e la

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La tutela dei valori di fondo, sottesi all’art. 112 Cost., impone che la diagnosi di infondatezza della notizia di reato sia sottoposta al vaglio del giudice, titolare di poteri di controllo piuttosto penetranti proprio a garanzia del corretto bilanciamento tra principio di non superfluità del processo e canone dell’obbligatorietà dell’azione. Deve trattarsi di un monitoraggio, effettuato secondo un meccanismo che consenta un controllo sulla legalità del mancato esercizio dell’azione e che non si riduca in un semplice dissenso del giudice sull’operato dell’accusatore pubblico. Tutto ciò con l’obiettivo di evitare il celebrarsi di processi superflui, senza però eludere il principio di obbligatorietà dell’azione, e, anzi, controllando caso per caso la legalità dell’azione. Tale esigenza ha imposto la costruzione di una disciplina dell’archiviazione particolarmente complessa. Essa è articolata in modo tale da prevedere un controllo giurisdizionale esteso e penetrante che coinvolge non solo il giudizio di fondatezza della richiesta avanzata dal pubblico ministero, ma anche la stessa funzionalità e capacità investigativa dell’organo inquirente. In un sistema che pone la decisione in ordine all’esercizio dell’azione penale nella fase conclusiva delle indagini preliminari, il sindacato sulla fondatezza o meno della notizia di reato non può prescindere da un accertamento volto a verificare se l’attività investigativa che ha condotto alla richiesta di archiviazione è stata svolta nel rispetto del principio di completezza. Principio questo, come più volte detto, che costituisce un argine contro prassi elusive della regola dell’obbligatorietà. Le linee portanti dell’istituto sono tracciate dalla direttiva n. 50 della legge delega ossia: da un lato il potere-dovere del giudice di disporre, su richiesta del pubblico ministero, l’archiviazione

pen., 2006, p.1236 evidenziando che se l’indagine non venisse condotta ad ampio

raggio finirebbe per essere menomato il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Diversa, e non condivisibile, è la posizione di M. Caianello, voce

Archiviazione, in En. dir., Annali, II, Milano, 2008, p. 64, secondo il quale il principio

di completezza delle indagini dovrebbe essere inteso cum grano salis, come dovere di diligenza gravante sul pubblico ministero.

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e dall’altro si riconosce il potere del giudice di richiedere al pubblico ministero ulteriori indagini.

Qualora il giudice per le indagini preliminari ritenga che la denunciata infondatezza della notizia di reato costituisca l’inevitabile approdo di un’indagine incompleta, ed individua i possibili itinerari per attuare il necessario completamento, ordina al pubblico ministero di svolgere ulteriori indagini. Così il comma 4 dell’art. 409 c.p.p. lega indissolubilmente la legalità dell’azione alla completezza investigativa. Se l’azione penale deve essere sempre esercitata qualora sussistano determinati presupposti, ed è l’indagine a svelarne l’esistenza, l’obbligo di indagare diviene necessaria premessa dell’obbligo di agire, anzi, ne costituisce un suo ineliminabile aspetto. Nel caso in cui durante la fase delle indagini preliminari non si sia compiutamente assolto tale obbligo investigativo, è lo stesso principio costituzionale enunciato all’art. 112 a risultarne intaccato:

sia nell’ipotesi in cui l’inerzia investigativa abbia condotto alla richiesta di archiviazione, sia nell’ipotesi opposta in cui il pubblico ministero abbia ugualmente esercitato l’azione penale.

L’implicita costituzionalizzazione del dovere di completezza, trova un’opportuna tutela nello snodo della procedura giurisdizionale di controllo sull’archiviazione che dà luogo alle c.d. «indagini coatte». Nell’ipotesi in cui il giudice riscontri specifiche lacune nelle indagini, è legittimato ad interferire nella funzione investigativa del pubblico ministero, anche se limitandosi ad indicare, con ordinanza, le ulteriori indagini ritenute necessarie e a fissare il termine indispensabile per il loro compimento (art. 409, comma 4, c.p.p.).

È questa disposizione, insieme a quella che attribuisce al giudice il potere di imporre al pubblico ministero di formulare, entro 10 giorni, l’imputazione (art. 409, comma 5, c.p.p.), ha destato non poche perplessità in dottrina, a causa della loro forza evocativa del vecchio giudice istruttore; una figura di certo non più conciliabile con un

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processo che si vuole definire un «processo di parti». Non per altro infatti si è efficacemente affermato come i due poteri imperativi dovrebbero passare attraverso la strettoia segnata da due imprescindibili esigenze: quella di evitare che il giudice interferisca in un’attività di ricerca della prova, che è attività squisitamente di parte, e quella di sottrarre al pubblico ministero ogni possibilità di eludere l’obbligo di agire. Ecco che allora il legislatore, proprio a tutela di quest’ultima esigenza, ha predisposto un meccanismo volto a sbloccare la situazione di stallo determinata dalla persistente inerzia del titolare delle indagini: la facoltà del Procuratore generale di esercitare il potere di avocazione

ex art. 412 comma 2, c.p.p. Ciò conferma la tendenza di potenziare il

controllo sul corretto svolgimento delle indagini.

Ad ulteriore presidio dell’obbligo dell’art. 112 Cost., il legislatore riconosce in capo alla persona offesa il diritto di presentare una richiesta di prosecuzione delle indagini preliminari, contenente l’indicazione dell’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova (art. 410 c.p.p.). Dunque una sorta di controllo sull’inazione del pubblico ministero121.

Quindi, in definitiva, possiamo dire che l’intervento avocante del Procuratore generale, da un lato, e la partecipazione della persona offesa al procedimento di archiviazione, dall’altro, rappresentino meccanismi processuali che si innestano nella «zona di cerniera» tra il procedimento ed il processo al fine di supportare l’attività giurisdizionale di controllo dell’inazione del pubblico ministero domandata, a tutela della legalità nel procedere, al giudice per le indagini preliminari. Tuttavia, sia in materia di potere di avocazione del Procuratore generale sia in materia di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione vi torneremo nei prossimi paragrafi del presente capitolo.

121 In materia di potere di avocazione ed opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione si vedano i paragrafi successivi del presente capitolo.

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3. Termini per l’esercizio dell’azione penale ed avocazione del