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Il monopolio in capo al pubblico ministero e le prime «timide» esperienze italiane di azione non monopolista

LA TITOLARITA´ DELL’AZIONE PENALE.

1. Il monopolio in capo al pubblico ministero e le prime «timide» esperienze italiane di azione non monopolista

Il monopolio dell’azione penale in capo al pubblico Ministero non è imposto dalla Costituzione88, in quanto durante i lavori dell’Assemblea costituente è stato respinto un emendamento che tendeva a qualificare come «pubblica» l’azione penale. Dunque dobbiamo constatare che con l’ultima codificazione il legislatore ordinario si è spinto, per un certo verso, più in là della Costituzione, sino a configurare, per il pubblico ministero, non solo un obbligo di esercizio (e, dunque, una titolarità di carattere generale), ma un’esclusiva titolarità dell’azione penale89. Al riguardo, la Corte Costituzionale ha affermato che la titolarità dell’azione penale può essere conferita anche a soggetti diversi dal pubblico ministero, purchè ciò non vanifichi il dovere di quest’ultimo di esercitarla90.

88 L’art. 112 Cost. configura in capo al pubblico ministero il dovere di esercitare l’azione penale; non prescrive che quest’ultima sia esercitata soltanto da un organo «pubblico».

89 Al riguardo, si può dire che il massimo di «apertura» in senso opposto al monopolio sia riscontrabile, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, in uno dei progetti redatti in vista della costituzione del codice di procedura penale del 1865 (progetto del 19119). All’art. 3 si prevedeva l’esercizio dell’azione penale da parte delle «associazioni legalmente costituire per uno scopo di interesse professionale, o pubblico, relativamente ai reati che direttamente concernono la loro istituzione», e da parte delle «istituzioni pubbliche di beneficenza relativamente ai reati commessi a danno delle medesime». Poi, ex art. 4, l’ambito di estensione dell’istituto della «citazione diretta» veniva notevolmente ampliato dal punto di vista soggettivo ovvero: oltre che per i reati di diffamazione e di ingiuria (per i quali si aveva una legittimazione riconosciuta alla sola «parte lesa»), il relativo principio risultava infatti affermato pure in rapporto ai «delitti contro le libertà politiche» con legittimazione riconosciuta ad ogni elettore.

90 M. Chiavario, L’azione penale tra diritto e politica, Cedam, Padova, 1995, pp. 100 - 101 non manca di sottolineare l’ambiguità sorta persino in ragione della specificazione soggettiva con cui si apre l’art. 112 Cost. Obbligato sicuramente è il pubblico ministero, ma si chiede se sia il monopolista dell’azione penale. Chiavario sottolinea come più volte la Corte costituzionale abbia escluso ciò; anzi in qualche

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Si tratta, pertanto, di una scelta compiuta dal legislatore ordinario, e più precisamente dal legislatore delegato, in quanto nella legge delega del 1987 non si è rinvenuta alcuna direttiva specifica il tal senso, ed avendo d’altronde la Corte costituzionale affermato che l’esclusività non è conseguenza necessaria del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale dell’art. 112 Cost., il quale non si opporrebbe all’eventuale previsione di azioni penali in capo alla vittima rispetto all’azione penale «principale» del pubblico ministero. Tuttavia, abbiamo detto, il codice di procedura penale ha attribuito unicamente al pubblico ministero il potere di esercitare l’azione penale. Così, il comma 1 dell’art. 50 c.p.p., sancisce il monopolio dell’azione penale in capo al pubblico ministero91, riservando ad esso, in via esclusiva92, il suo esercizio. Tale principio è

pronuncia ha inteso lasciare esplicitamente aperta la strada ad azioni penali sussidiarie o concorrenti con quella del pubblico ministero, limitandosi ad escludere (anche nell’ambito di tali aperture) che l’eventuale riconoscimento di titolarità ad altri soggetti possa precludere al titolare primario di esercitare esso stesso l’azione. Quello delle azioni concorrenti o sussidiarie non sembra comunque essere un discorso attuale in Italia in quanto l’art. 231 delle norme di coordinamento-allegate al codice di procedura penale è giunto ad abrogare le residue disposizioni di leggi o decreti, che sparse nell’ordinamento, prevedevano «l’esercizio dell’azione penale da parte di organi diversi dal pubblico ministero». Chiavario si domanda, poi, se obbligato, allo stesso modo del pubblico ministero, sia anche la polizia giudiziaria cioè la polizia giudiziaria è obbligata a trasmettere al pubblico ministero tutte le notitiae criminis?

La risposta sembrerebbe ovvia e cioè nel senso della stretta correlatività tra l’uno e l’altro obbligo. In realtà, però sulla base di un’interpretazione letterale dell’art. 112 Cost. (obbliga solo il p.m. e non la polizia), si potrebbe essere tentati di scorgere una possibile valvola di sfogo per sfoltire alla radice il carico pendente; e, se in via di principio resta difficile accettare impostazioni del genere, oltretutto contrarie alla più piana interpretazione «logica» e «storica» della norma costituzionale, non si può ignorare che esistono larghe fasce per l’azione e l’inazione della polizia, all’interno delle quali un «filtro» può di fatto esercitarsi.

91 La titolarità esclusiva nell’esercizio dell’azione penale in capo al pubblico ministero è stata ribadita nella delibera del C.S.M., Elaborazione di una risoluzione unitaria in

materia di organizzazione degli Uffici del Pubblico ministero, 16 novembre 2017, art.

2 «Il procuratore della Repubblica, titolare esclusivo dell’azione penale, che esercita personalmente o mediante assegnazione a uno o più magistrati dell’ufficio, organizza l’Ufficio al fine di conseguire gli obiettivi della ragionevole durata del processo, anche nella fase investigativa, e del corretto, e uniforme esercizio dell’azione penale, nel rispetto delle norme sul giusto processo e sull’indipendenza dei magistrati dell’ufficio, ed ispirandosi a princìpi di partecipazione e leale collaborazione».

92 Un’ipotesi indiscussa di titolarità dell’azione penale, derogatoria del monopolio del pubblico ministero, si ricava dalla stessa Carta costituzionale in materia di reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione. L’art. 92 Cost., dispone che in tali casi si è messi in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri. Secondo l’opinione prevalente, proprio con il provvedimento di messa in stato di accusa, si avrebbe l’esercizio dell’azione penale. Per una più ampia analisi

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di carattere generale: infatti se l’art. 50 attribuisce al pubblico ministero l’esercizio dell’azione, l’art. 231 disp. coord., abrogando le disposizioni di leggi o decreti che prevedono l’esercizio dell’azione penale da parte di organi diversi dal pubblico ministero, dà ad esso attuazione in tutto l’ordinamento, secondo quanto previsto dall’impianto costituzionale e più volte ribadito dai giudici del Palazzo della Consulta. Un esempio di norma del genere era quello dell’art. 100 d.p.r. 570/1960 che definiva «azione popolare» il diritto, spettante ad ogni elettore, di attivare un procedimento penale per i reati elettorali.

In applicazione del principio che riserva al solo pubblico ministero l’esercizio dell’azione penale, la Corte di Cassazione ha affermato che è infondato l’assunto secondo il quale sarebbe obbligo del giudice per le indagini preliminari che non accoglie la richiesta di archiviazione, indicare il reato per il quale l’imputazione deve essere elevata ed il soggetto chiamato a rispondere. Alla formulazione dell’imputazione deve provvedere lo stesso pubblico ministero come risulta, oltre che dalla lettera della legge, dalla titolarità dell’azione penale che a tale organo compete. Per la stessa ragione non è consentita al giudice per le indagini preliminari un’archiviazione di portata più ampia rispetto a quella richiesta del pubblico ministero e deve ritenersi abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari rifiuti la proroga delle indagini in caso di procedimento a carico di ignoti perché il potere autorizzatorio attribuito al giudice – a fronte della richiesta dell’organo dell’accusa di archiviazione o di prosecuzione delle indagini – deve essere esercitato sulla base di un parametro di discrezionalità vincolata in funzione del principio di obbligatorietà dell’azione penale. Tuttavia, non mancano opinioni che vanno nel senso di una compatibilità in linea teorica tra i principi generali dell’ordinamento e

sul tema si veda E. Marzaduri in Enciclopedia, Treccani, voce Azione, IV), Diritto processuale penale, pp. 6, 7 e 8.

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ipotesi di previsioni particolari di azione privata, individuale o collettiva93; ma perlopiù la dottrina associa alla deroga, all’abbandono del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale il problema dell’autonomia del pubblico ministero e della sua sottoposizione al controllo dell’esecutivo o del Parlamento.

Gran parte della dottrina si è mostrata favorevole al mantenimento del principio di obbligatorietà, pur con diverse argomentazioni e suggerendo diversi correttivi, mentre una parte minoritaria si è espressa nel senso della necessità del suo superamento.94

Storicamente, l’esperienza italiana di attribuzione dell’azione penale o di poteri attinenti al suo concreto esercizio a soggetti diversi dal pubblico ministero – facenti o meno parte dell’apparato pubblico – è abbastanza limitata. Esistevano poteri devoluti ad organi dell’amministrazione statale, ad esempio quelli in origine attributi al Prefetto e poi all’ingegnere capo del Genio civile dall’art. 378, comma 3 l, 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, che nel testo modificato dalla legge 19 novembre 1921, n. 1688, aveva fatto venire meno la titolarità prefettizia, in forza dei quali era consentito, irrogare sanzioni amministrative, ma anche promuovere l’azione penale95.

La disciplina resistette al giudizio di costituzionalità sino alla sentenza n. 84 del 28 luglio 1979 quando venne dichiarata incompatibile con la

93 V. sul tema V. Reuter, Le forme di controllo sull’esercizio dell’azione penale, Cedam, 1994, pp. 48-49.

94 V. in proposito, oltre gli atti del convegno di Saint Vincent sopra citati, anche gli Atti del convegno di Senigallia 2-3 febbraio 1990, L’azione per la repressione

dell’illecito tra obbligatorietà e discrezionalità, in Giustizia e costituzione 1991, ed in

particolare gli interventi di V. D’Ambrosio e B. Caravita nel primo senso e quelli di E. Amodio nel secondo.

95 L’art. l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, prevedeva «per le contravvenzioni alla presente legge, che alterano lo stato delle cose, è riservato all’ingegnere capo del genio civile l’ordinare la riduzione al primitivo stato, dopo di aver riconosciuta la regolarità delle denunce, e sentito l’ufficio de Genio civile. Nei casi di urgenza il medesimo fa eseguire immediatamente di ufficio i lavori per il ripristino. Sentito poi il trasgressore per mezzo dell’autorità locale, l’ingegnere capo del Genio civile provvede al rimborso a di lui carico delle spese degli atti e della esecuzione di ufficio, rendendone esecutoria la nota, e facendone riscuotere l’importo nelle forme e coi privilegi delle pubbliche imposte. L’ingegnere capo del Genio civile promuove inoltre l’azione penale contro il trasgressore, allorchè lo giudichi necessario od inopportuno».

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Costituzione. Le ultime forme di azione penale domestica vennero, come già anticipato, eliminate con l’art. 231 delle disp. att. c.p.p.