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Frontespizio: SENECAE TRAGOE | DIAE (a1r) 597 2 Lettera dedicatoria (a2r-a3v)

BENEDICTI PHILOLOGI

FLORENTINI | PRAEFATIO SUPER

.L. ANNEI SE | NECAE

TRAGOEDIIS. AD DO | MINICUM BENEVENIUM | DIVI LAURENTII | CANONI | CUM | .

NISI GRATIAS AGEREM tibi, vir optime, cum referendi nulla se nobis pro magnitudine tua facultas offerat, profecto non tam ingratus et incivilis, quantum inhumanus et impius censendus essem, cum tu, urbis nostrae delitiae, nos (contra animi nostri sententiam et diu in humanioribus his studiis versatos) tua illa propensa in omnes bonitate et singulari doctrina, ad sacrarum litterarum cognitionem induxeris, quae inter omnes studiorum disciplinas, quibus hominum vita instruitur, supremum ac eminentissimum locum sibi ascripsere, quippe quae (ut mihi videtur) vera sunt hominibus lumina ad coelestia et divina capessenda, quae

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PREFAZIONE DI BENEDETTO

FILOLOGO FIORENTINO SULLE

TRAGEDIE DI LUCIO ANNEO

SENECA A DOMENICO BENIVIENI CANONICO DI SAN LORENZO.

SE NON RINGRAZIASSI te, uomo eccellente, poiché non ho nessuna possibilità di ripagare la tua nobiltà d’animo, sarei da considerare davvero non tanto ingrato e scortese, quanto rozzo e scellerato, poiché tu, delizia della nostra città, hai introdotto me (versato a lungo negli studi umanistici e contro il parere del mio animo) alla conoscenza della letteratura sacra, grazie alla tua bontà rivolta verso tutti e alla tua singolare cultura; tali discipline, tra tutte le discipline di studio, con le quali si ammaestra la vita degli uomini, si riservarono la posizione più alta ed eminente, poiché esse (come mi sembra) sono per gli uomini vere luci per raggiungere le cose celesti e divine, che

596 Si trova una trascrizione di questi paratesti anche in Cosentino 2003, pp. 227-230.

597 In FG2 cambia la disposizione dei caratteri: SENECAE TRA | GOEDIAE. Questo vale anche in alcuni

punti delle pagine successive, che non segnaliamo. La seconda edizione in ogni caso mantiene l’impaginazione della princeps.

598 Questa lettera dedicatoria fu trascritta integralmente da Bandini 1791, p. 20 e parzialmente da Moreni

1817, pp. 200-201. Lebel (1988, p. 145, nota 4) erroneamente afferma che questa prefazione è presente nell’edizione del 1513 ma non in quella del 1506. Black, 2015b ha svolto la trascrizione e la traduzione in inglese di qualche brano della lettera, che documento nelle note e in apparato.

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(ut Paulus ait) «nec oculos vidit, nec auris audivit, nec cor hominis cogitavit»599. Latet enim in hac <sententia>600 vis quaedam coelestis, viva et efficax, quae legentis animum in divinum amorem mirabili quadam potestate transformat601. Haec est illa

Dei sapientia, quae rectam et salutarem bene vivendi rationem insinuat, quae virtutum omnium suppeditat copiam, quae mentes nostras ab huius mundi voluptatibus, quae, dum quaeruntur, fatigant, cum acquiruntur, infatuant, cum amittuntur, excruciant, abducit602. Nam, si omnes homines natura scire desiderant603, si «omnes trahimur (ut inquit Cicero) et ducimur ad cognitionis et scientiae cupiditatem»604, si naturam hominis Deus veri adipiscendi cupientissimam fecit, quid est quod possimus in huius vitae tenebris aut quaerere melius, aut fructuosius investigare, quam quae divinis percipiuntur litteris atque sacris produntur oraculis? Fateor ingenue haec esse illa studia, quae Platonis dicendi copiam, vim Demosthenis, Isocratis suavitatem605 et Aristotelis, sagacissimi naturae

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(come afferma Paolo) «occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo»620. Si cela infatti in queste parole, per così dire, la forza celeste viva e potente, che trasforma l’animo dei lettori in divino amore proprio grazie a un certo potere miracoloso. Questa è la sapienza di Dio, che inculca la norma retta e salvifica del vivere bene, che procura in abbondanza tutte le virtù, che allontana le nostre menti dalle voluttà del mondo, che, mentre vengono cercate, sfiniscono, quando vengono procurate, illudono, quando si perdono, tormentano. Infatti, se tutti gli uomini per natura desiderano conoscere, se «tutti veniamo tratti – come dice Cicerone – e condotti al desiderio della conoscenza e della sapienza», se Dio fece la natura dell’uomo desiderosissima di impossessarsi della verità, che cosa possiamo nelle tenebre di questa vita cercare di meglio, o indagare di più fruttuoso, delle cose che si apprendono dalle Sacre Scritture, e vengono rivelate dalle sacre profezie? Confesso apertamente che questi sono studi che superano la facondia di Platone, la forza di Demostene, la gradevolezza di

599 Si tratta di 1 Cor., 2,9. Questa citazione è presente anche in Giovanni Pico della Mirandola, Ioannes

Picus Mirandula Ioanni Francisco ex fratre nepoti s. in eo qui est vera salus (Ferrara, 15 maggio 1492),

contenuta nell’editio princeps delle opere pichiane: Pico della Mirandola, Opere, Bologna, Benedetto Faelli, 1496, f. RR3v; Garin 1977, pp. 826-827 (con traduzione); Borghesi 2018, p. 82 (edizione critica): «[…] ad coelestia atque divina, quae nec oculus vidit neque auris audivit, neque cor cogitavit […]». Come vedremo, la lettera di Giovanni Pico è ripresa più volte.

600 Suppl.

601 Ioannes Picus Mirandula Ioanni Francisco ex fratre nepoti s. in eo qui est vera salus (Ferrara, 15

maggio 1492) in Pico della Mirandola, Opere, Bologna, Benedetto Faelli, 1496, f. RR4v; Garin 1977, pp. 830-831; Borghesi 2018, p. 85: «Latet enim in illis caelestis vis quaedam, viva et efficax, quae legentis animum […] in divinum amorem mirabili quadam potestate transformat». Il fatto che in questa epistola (che è fonte di Riccardini) compaia il genitivo «legentis» rafforza la nostra scelta della lezione di FG (appunto «legentis») in luogo del corrispondente dativo contenuto in FG2.

602 Il passaggio è tratto dall’epistola di Pico della Mirandola: Ioannes Picus Mirandula Ioanni Francisco

ex fratre nepoti s. in eo qui est vera salus (Ferrara, 15 maggio 1492), cfr. Giovanni Pico della Mirandola, Opere, Bologna, Benedetto Faelli, 1496, f. RR3v; Garin 1977, pp. 826-827; Borghesi 2018, p. 82: «Quid

enim optabile in voluptatibus mundi, quae, dum quaeruntur, fatigant, cum acquiruntur, infatuant, cum ammittuntur excruciant?» (segnalo che nell’ e. p. troviamo «amittuntur» in luogo di «ammittuntur»: il verbo amitto è effettivamente più coerente con il contesto, in quanto ha il significato di perdere, e così lo intende Riccardini; legge «amittuntur» anche l’edizione Garin).

603 Cfr. Arist., Metaph., I, 980a, 21. 604 Cfr. Cic., off., 1, 18.

605 Cfr. Qvint., Inst., 10, 108: «Nam mihi videtur M. Tullius, cum se totum ad imitationem Graecorum

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interpretis, acumen excedunt, quae litterarum humanarum flores, blandas poetarum illecebras, splendida Rhetorum ornamenta longissime antecellunt.

In his enim humanae vitae

firmissimum praesidium constitutum est, contra terrena, caduca, incerta, vilia et cum brutis quoque nobis communia606; in his tutissimus quidam

ac tranquillissimus portus, quem si peterent homines, turbulentas huius maris procellas atque gravissimas fluctuantis pelagi tempestates penitus effugerent. Unde Divus Hieronymus inquit: «In Sanctarum Scripturarum gravitate vera vulnerum medicina est et dolorum sunt certa remedia»607. Quibus, tuis sanctissimis praeceptis admonitus, me addixi, ut, coelesti cibo satiatus, terrestrium ac humanarum rerum famem deponerem, atque aquam salutarem de perenni fonte ore plenissimo haurirem. Sed utinam cor impii, quasi mare fervens608, conquiescat, et caecus homo videat, ac surdus audiat, et mutus loquatur, et demum mortuus, reviviscens609, haec cum propheta610 dicat: «Ad te, Domine, levavi animam meam, Deus meus in te confido, non erubescam etiam si irrideant me inimici mei, et enim universi qui sperant in te non confundentur. Vias tuas Domine demostra mihi, et semitas tuas edoce me»611. Quam ob rem, quantum aut

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Isocrate e l’acume di Aristotele, sagacissimo interprete della natura, e questi testi sono di gran lunga superiori alle finezze delle belle lettere, alle vezzose lusinghe dei poeti, agli splendidi ornamenti dei retori.

In questi testi, infatti, è stabilita una saldissima difesa per la vita umana, contro le cose terrene, caduche, incerte, vili e comuni a noi e agli esseri irrazionali; in questi testi si trova un porto oltremodo sicuro e tranquillo, e, se gli uomini lo cercassero, eviterebbero del tutto le turbolente burrasche di questo mare e le violentissime tempeste del pelago ondoso. Per questo San Girolamo dice: «Nell’autorità delle Sacre Scritture c’è la vera medicina per le ferite e si trovano rimedi infallibili per i mali». Avvertito dai tuoi santissimi precetti, mi sono dedicato ad esse, per rinunciare, saziato dal cibo divino, alla fame per le cose terrestri e umane, e per bere a piene sorsate l’acqua salvifica dalla fonte eterna. Ma voglia il cielo che il cuore dell’empio, agitato quasi come il mare in tempesta, trovi la pace, e l’uomo ceco veda, e il sordo oda, e il muto parli, e infine il morto, risuscitando, dica col profeta queste cose: «A te, Signore, ho elevato l'anima mia, Dio mio, in te confido, non proverò vergogna nemmeno se i miei nemici mi deridono, chiunque spera in te non resterà deluso. Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri». Per questo io preferisco

620 Traduzione tratta da La Sacra Bibbia – CEI.

606 Cfr. Ioannes Picus Mirandula Ioanni Francisco ex fratre nepoti s. in eo qui est vera salus (Ferrara, 15

maggio 1492), f. RR3v; Garin 1977, pp. 824-825; Borghesi 2018, p. 82: «Ergo terrena haec caduca, incerta, vilia et cum brutis quoque nobis communia sudantes etiam et anhelantes vix consequemur».

607 Cfr. San Girolamo, Epistula CXVIII (ad Iulianum), 1.

608 Cfr. Giovanni Pico della Mirandola, Opere, Bologna, Benedetto Faelli, 1496, f. RR3v; Garin 1977,

pp. 826-827; Borghesi 2018, p. 82: «Cor impii quasi mare fervens quod quiescere non potest […]».

609 Nella Bibbia numerosi passaggi rimandano alle figure del cieco, del sordo, del muto; basti vedere,

nell’Antico Testamento, Deuteronomio, 29:4; Isaia 6:9-10; Isaia 32:3; Geremia 5:21; Ezechiele 12:2; nel Nuovo Testamento, Matteo 13:15 (profezia di Isaia); Matteo 15:31; Marco 7:37; Atti 28:26-27.

610 Davide.

611 Il brano qui riportato rimanda al Salmo 24, conosciuto anche in forma di canto gregoriano (cfr. Salmo

24, La Sacra Bibbia – CEI, da cui ho ripreso in parte la traduzione). È anche un’antifona, nella forma: «Ad te levavi animam meam: Deus meus in te confido, non erubescam: neque irrideant me inimici mei: etenim universi qui te exspectant, non confundentur. Vias tuas, Domine, demonstra mihi: et semitas tuas [e]doce me» (Antiphona ad introitum VIII, in Billecocq e Fischer 1998, p. 15. Vedere anche p. 17 e

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mihi gaudeam aut tibi debeam, malo mihi conscius esse quam te potioris spe condictionis612 electare613. Tamen est animus de te tam libenter ubique gentium praedicare ut nihil maiori voluptate sim facturus, non solum quia nihil iucundius auditur (ut ait Plato) quam veritas, sed etiam quia multo est dicere quam audire vera iucundius. Caeterum <…>614 testandi animi erga

te mei, testandae fidei et observantiae, has Senecae Tragoedias, quibus inest candida eloquentiae ubertas, verborum proprietas atque sententiarum gravitas, ex mediis philosophiae fontibus

deprompta615, tuo nomini

nuncupavimus, dignae profecto quae Benevenio nominatim dicentur, cui uni omnes sacrarum litterarum amatores multum debere existimo. Nam dialecticam et philosophiam sic tenes ut et defendas acriter quaestiones propositas et impugnes vehementer. De priscis ecclesiae doctoribus deque neotericis theologis, tantum iudicium apud te residet ut, siquis ex tempore

abstrusam illorum cuiuspiam

quaestionem enucleandam petat, eam tanti ingenii tui felicitate enodem reddis, ut magnum sit quod ille de te sibi polliceatur. Taceo volumina elaborata quae ad bene beateque vivendum pertinentia publicasti. Tuum praeterea illud opus, iam ad coronidem perductum, quod Lucerna

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essere consapevole di quanto debbo rallegrarmi con me stesso o del mio debito nei tuoi confronti, piuttosto che attirarti con la speranza di una migliore condizione. Tuttavia ho in animo di tessere le tue lodi tanto volentieri e ovunque che non farò niente con maggior piacere che lodarti, non solo poiché (come afferma Platone) niente di più piacevole si ascolta della verità, ma anche poiché è molto più piacevole dire che udire cose vere. Ora, per testare il mio animo nei tuoi confronti, per testare la mia devozione e il mio ossequio, ho dedicato al tuo nome queste tragedie di Seneca, nelle quali è presente una chiara ricchezza di eloquenza, la raffinatezza del linguaggio e la gravità di pensieri scaturita dal centro delle fonti della filosofia, degne certamente di essere dedicate esplicitamente a Benivieni, al quale solo stimo che debbano molto tutti gli amanti delle Sacre Scritture. Infatti tu padroneggi la dialettica e la filosofia tanto bene da sostenere energicamente le questioni esposte e da controbattere con forza. A riguardo degli antichi dottori della Chiesa e dei nuovi teologi, c’è in te un tale discernimento che, se qualcuno su due piedi ti chiede di sviscerare una questione astrusa di qualche loro materia, tu la rendi chiara grazie alla felicità del tuo ingegno, tanto grande che sono grandi le speranze che nutre riguardo a te. Taccio dei libri curati, concernenti il

Psalmus 24 alle pp. 701-702). Il salmo è citato anche da Giovanni Pico della Mirandola nella lettera al

nipote Giovanni Francesco del 2 luglio 1492: Ioannes Picus Mirandula Ioanni Francisco Pico nepoti S. (Ferrara, 2 luglio 1492), in Opere, Bologna, Benedetto Faelli, 1496, f. VV5v; cfr. l’edizione critica Borghesi, 2018, p. 149: «[…] clamans cum Propheta: Ad te domine levavi animam meam. Deus meus in te confido non erubescam, etiam si irrideant me inimici mei, et enim universi qui sperant te non confundentur, confundantur iniqua agentes supervacue, vias tuas domine demonstra mihi, et semitas tuas edoce me […]».

612 Grafia complicata per «condicio».

613 Si tratta del verbo electo, -as, -are, intensivo di elicio, -is, -ui, -itum, -ere. 614 Sembra che si debba supplire una parola come causa, gratia, cupiditate.

615 La triade ubertas-proprietas-gravitas è tratta dall’edizione del 1491 a cura di Gellio Bernardino

Marmitta, così come il riferimento alle sentenze dei testi tragici, che risultano essere in diretto rapporto con la filosofia. Vedere Gellio Bernardino Marmitta, L’interpretazione delle tragedie di Seneca, in Appendice II, rr. 26-29: «in quibus lactea eloquii ubertas, verborum proprietas et sententiarum gravitas ex mediis philosophie fontibus deprompta videtur», «[tragedie] nelle quali la soave ricchezza dell’eloquio, la proprietà nell’uso delle parole e la gravità delle sentenze sembrano essere state attinte dalle fonti centrali della filosofia».

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religiosorum616 inscribitur, ita

amplector ut admirer, ita admiror ut commendare non desinam. Quod adeo cupide vidimus et legimus, ut, prius pene ad calcem prae studio pervenisse, quam ex carceribus promovisse me senserim. Sunt adhuc in manibus In

sacros omnes ecclesiae hymnos

commentaria617, quae (et si scio me non esse in hoc albo618, nec eum qui

huc ascendam idest, ad iudicium rerum tuarum) non sunt tua, naturae sunt, Dei sunt, quanquam si aliquid tuum est, haec maxime tua sunt. Sed noli, longi<us> incubatus foetura, nos in expectatione macerare; ac de his quae loquentis ingenium excedunt hactenus. Superest, mi Dominice, ut hae nuper excus<s>ae Tragoediae, utcunque erunt et quanticunque, in bonam accipias partem rogemus. Quod si feceris, maximo mihi fueris invitamento ad caetera quoque edenda quae domi cottidie minus elaborata excuduntur.

Vale, laborum meorum dulce

lenimen619. 125 130 135 140 145 150

vivere bene e serenamente, che hai pubblicato. Inoltre, quella tua opera già portata a termine, che si intitola Lucerna

religiosorum, la apprezzo tanto da

ammirarla e l’ammiro tanto da non smettere di raccomandarla. E l’ho vista e letta così avidamente621 che mi sono

accorto, per così dire, di essere giunto alla fine dello studio ancora prima di averlo cominciato. È ancora in mano mia il commento a tutti gli inni sacri della Chiesa, che (anche se so di non essere nel novero dei lettori abituali, né di essere colui che potrebbe arrivare al punto di giudicare i tuoi scritti) non proviene da te, bensì dalla natura, da Dio622; sebbene, se qualcosa è tuo, questo commento lo è al massimo grado. Ma, covando troppo a lungo le cose che partorirai, non macerarci nell’attesa; e riguardo a queste lodi, che superano le capacità intellettuali del sottoscritto, può bastare. Non mi resta, caro Domenico, che chiederti di accettare di buon grado queste tragedie

appena composte, per quanto

insignificante sia questo dono. E, se lo farai, questo sarà per me di grandissimo stimolo per finire i miei restanti scritti meno elaborati, che ogni giorno a casa vengono composti.

Sta’ bene, o dolce sollievo dei miei affanni.

616 Questa opera, ascrivibile agli ultimi anni di vita di Domenico Benivieni, non ci è pervenuta (cfr.

Vasoli, 1966: «Gli ultimi anni di vita del B. furono dedicati a opere di pietà e alla composizione di operette devozionali. Benedetto de' Riccardini, che gli dedicò nel 1506 la sua edizione delle Tragedie di Seneca, edite dai Giunti, parla infatti di due scritti: la Lucerna religiosorum e i Commentarii in Sacros

omnes Ecclesiae Hymnos, che il B. stava portando a compimento. Ma di queste operette ci è pervenuta

solo la seconda»).

617 Questa operetta non fu terminata e che, tuttavia, ci è pervenuto un abbozzo manoscritto dal titolo

Expositio supra hymnos totius anni Dominico Benivieni interprete, che si trova nel ms. 44 del fondo

Gianni-Mannucci (già Leonetti) dell'Archivio di Stato di Firenze (P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, 1963, p. 64); cfr. Vasoli 1966, DBI.

618 «In hoc albo»: con riferimento al novero dei lettori di un’opera, è un’espressione tratta da Plinio, Nat.,

Praef., 6. L’espressione è riportata anche da Erasmo da Rotterdam negli Adagia (Lelli 2013, pp. 636-637,

n° 634).

619 Cfr. Hor., Carm., 1, 32, 14-15.

621 Per questo passaggio, vedere Black 2015b, p. 126: «Riccardini particularly admired a now lost work of

Benivieni’s, Lucerna religiosorum, “which I embrace and admire, to such an extent that I do not cease to commend it, so eagerly seen and read by me”».

622 Per questo passaggio, vedere Black 2015b, pp. 126-127: «another work of Benivieni’s, Comentarii in

sacros ecclesiae omnes hymnos, was still in his hands, “which, even if I know I am not qualified to

ascend to that point, that is to judge your competence, [nevertheless] I know it emanates not from you but from nature, from God”».

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Apparato critico

3 ANNEI FG2 : ANNEAE FG 27-28 sententia suppl. dubitanter 29 legentis FG : legenti FG2 34 virtutum FG : virtutem FG2 48 litteris FG : literis FG2 55 litterarum FG : literarum FG2 108 litterarum FG : literarum FG2 125 religiosorum FG2 : relligiosorum FG 125-126 ita amplector ut admirer, ita admiror FG, FG2 : ita amplector et admiror623 Black 128 ut FG : et FG2 139 longi<us> em. : longi FG, FG2

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3. De tragoedia (a4r)624

DE TRAGOEDIA.

Tragoedia grande genus poematis est, heroicae fortunae in adversis comprehensio625. Dicta apo tu tragu,

kai tis odis, hoc est ab hirco et cantu,

quasi “hirci cantus”, quoniam olim autoribus tragicis hircus in praemium cantus dabatur626, qui musici et pastores erant: Horatius: «Carmine qui tragico vilem certabat ob hircum»627; vel ab hirco vinearum hoste qui, accensis altaribus, alterno hoc carminis genere decantato, Libero patri mactabatur628. Alii

autem putant a faece, quam Graeci

tryga vocant, tragoediam

appellatam629, quoniam olim, non dum personis a Thespide repertis, talis fabulas peruncti ora faecibus agitabant630. Idem: «Ignotum tragicae genus invenisse Camoenae / dicitur, et plaustris vexisse poemata Thespis / quae canerent agerentque peruncti faecibus ora»631.

Tragoediae autores quidam

Thespidem et Phrynicum volunt, at Plato antiquiorem fuisse putat632. Alii Tragoedias primum in lucem Aeschylum protulisse asserunt, sed longe clarius Sophoclem, et

5 10 15 20 25 30 SULLA TRAGEDIA.

La trageda è un genere sublime di poesia, ed è il racconto del destino degli eroi nei casi avversi. È così chiamata dal greco

tragu e odis, cioè da “capro” e “canto”,

come se fosse “canto del capro”, poiché un tempo agli autori tragici, che erano musici e pastori, veniva offerto un capro come premio per il canto, vedi Orazio: «E colui che aveva gareggiato nell’agone tragico per un misero caprone»; oppure dal “capro” nemico delle vigne che, dopo che gli altari erano stati accesi, dopo aver recitato questo genere di canto alternato, veniva sacrificato al dio Libero. Altri invece ritengono che la tragedia si denomini così da “fango”, che i greci chiamano tryga, poiché un tempo, quando Tespi non aveva ancora inventato le

maschere, recitavano queste

rappresentazioni con il volto coperto di fango. Lo stesso Orazio: «Si tramanda che il genere ignoto delle tragiche Camene è stato inventato e i drammi di Tespi, che uomini con il volto coperto di fango cantavano e recitavano, hanno viaggiato su carri».

Alcuni ritengono Tespi e Frinico autori di tragedie, ma Platone ritiene che [la tragedia] fosse più antica. Altri affermano

624 In Lebel 1988, pp.145-146 si trova la traduzione francese di questo brano. 625 Diom., gramm., III (Keil 1857, p. 487, r. 11).

626 Diom., gramm., III (Keil 1857, p. 487, r. 14). Isid., Orig., VIII, 7, 5. Cfr. Marmitta, L’interpretazione

delle tragedie di Seneca, 1491, in Appendice II, rr. 62-65.

627 Hor., Ars, 220. Citato anche da Diom., gramm., III (Keil 1587, p. 487, rr. 16-17); Marmitta, op. cit., rr.

65-66.

628 Notizia presente in Evanth., De fabula, I, 2; talvolta attribuita a Elio Donato, essendo il trattatello

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