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Lettera dedicatoria (a1v-a2r) Eidem Clarissimo Domino Marino Georgio,

Insigni Brixiae Praefecto, Hieronymus Avantius Foelicitatem.

Girolamo Avanzi augura prosperità al medesimo illustrissimo signore Marino Zorzi, insigne capitano di Brescia.

650 Si tratta di versi giambici: una scelta originale per accordare la dedica con il metro principale della

tragedia, il trimetro giambico, che non a caso costituisce l’oggetto della lettera seguente.

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Admiraberis illustrium magistratuum scientissime quod sine me Brixiam, ubi praefectum agis, te revisurus accedat Raimundus Nugarollus nobilissimus vir, plurimis eximiis, dotibus sed hac potissimum merito amandus, quod, clarissimis viris addictus, singulares ante omnia tuas virtutes tam pie veneratur ut nil antiquius nil spectabilius nil absolutius censeat praedicetve. Ne tamen a vobis prorsus absim, elucubratiunculas his diebus per me concinnatas ad te mitto, quas ut huius incomodae meae egritudinis fastidium sequestrarem, iacens excudi. Decertabant modo, me arbitro, ingenui iuvenes, an pyrrichium et trocheum admittat trimeter iambicus apud Catullum, Martialem et praesertim apud Senecam; quare, sapientium virorum princeps, exactum iudicium tuum expectantes haec praefamur.

Trimeter iambicus, apud receptos auctores, non recipit pyrrichium nec trocheum et imprimis Seneca in tragediis hoc observat, apud quem haec omnia observavi, videlicet apud Senecam versus iste iambicus habet in primo pede iambum, tribrachum, spondeum, dactilum, anapestum et proceleumaticum, qui tamen ad tribrachum et anapestum reducitur, ut «pavet animus horret etc.»652. In secundo pede, iambum habet et anapestum, tribrachumque, numquam dactilum aut spondeum. Tertia sedes habet spondeum, iambum, dactilum, anapestum et tribrachum. Quarta eos pedes habet quos secunda. Quinta habet spondeum et anapestum, numquam habet iambum, nec dactilum, nisi in septem versibus quorum ultimae dictiones sunt quattuor syllabarum. Caeterum temporum incuria depravatissimae tragoediae Senecae hactenus sunt deprehensae.

Codices cum commentariis impressi caeteris sunt mendosiores. Benedictus Philologus (cui studiosi plurimum debent) has tragoedias multis locis reformavit, sed cum festinantibus impressoribus commode

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Ti meraviglierai, tu che sei il più sapiente degli illustri magistrati, del fatto che a Brescia, dove sei capitano, venga senza di me a farti visita senza di me a te Raimondo Nogarola, nobilissimo uomo, di numerose esimie doti ma da amare soprattutto per questa ragione, cioè perché, pur legato a illustrissimi uomini, venera prima di tutto le tue straordinarie virtù con tanto amore che non ritiene o proclama niente di più lodevole654, di più rispettabile o di più onesto. Tuttavia, per non essere troppo lontano da voi, ti invio queste piccole riflessioni da me predisposte in questi giorni, che ho composto stando a letto, per allontanare il tedio di questa mia fastidiosa infermità. Poco fa alcuni nobili giovani discutevano, prendendomi come arbitro, se il trimetro giambico ammetta il pirrichio e il trocheo in Catullo, Marziale e specialmente presso Seneca; ragione per cui premettiamo le seguenti considerazioni, in attesa, o principe dei sapienti, del tuo esatto giudizio.

Presso gli autori comuni, il trimetro giambico non ammette né il pirrichio, né il trocheo e, tra i primi, Seneca osserva questa regola nelle tragedie, presso il quale ho osservato tutte queste cose, cioè che in Seneca il verso giambico ha come primo piede un giambo, un tribraco, uno spondeo, un dattilo, un anapesto e un proceleusmatico, che tuttavia si riduce al tribraco e all’anapesto, come «ut pavet animus horret etc.». Nel secondo piede, troviamo un giambo, un anapesto, un tribraco, mai un dattilo o uno spondeo. La terza sede ha uno spondeo, un giambo, un dattilo, un anapesto e un tribraco. La quarta ha gli stessi piedi della seconda. La quinta ha uno spondeo e un anapesto, e mai ha un giambo, né un dattilo, se non in sette versi le cui ultime parole sono di quattro sillabe. Ma, per l’incuria dei tempi passati, le tragedie di Seneca sono state riconosciute fino ad oggi assai corrotte.

I codici a stampa con i commenti sono più scorretti degli altri. Benedetto Filologo (al quale i letterati devono molto) ha corretto in molti passi queste tragedie, ma, a causa degli

652 Sen., Med., 670.

654 Per questo significato del comparativo antiquior, -ius di antiquus, -a, -um, cfr. TLL, vol. II, pp. 177-

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interesse nequierit. Eius ego codices emaculare et eiusdem mendosos versus in legitimam lectionem restituere sum conatus, ut quam paucissima in Benedicti exemplaribus desiderentur; quod an consecutus fuerim tu vide. Et si quos errores meos per iocum atque vinum653 offenderis,

perspicaci tuo ingenio, cui nulla disciplina intentata, nulla ambigua, nulla est non intellecta, quod optabam assequar, ut scilicet tu meas malas annotationes castigans, et nitidiorem Senecam habebimus et tu cum Raimundo de me cogitabitis, de me diutius agetis: ego sermonibus vestris interesse enim videbor. Lucretium, multis ingenii luminibus, litum iterum recognovi, quem ad te mitterem nisi prefecturae negociis te districtum opinarer; incredibilem enim tuam in magistratibus moderandis dilligentiam solertiam et fidem adeo exploratam habent Veneti patres, ut liberalitate, magnanimitate, integritate, prudentia et singulari tuo erga patriam amore, notior et acceptior sis apud senatum Venetum quam apud eruditos incomparabili tua scientiarum omnium cognitione. Hinc tu, adolescentulus, ad summum pontificem electus orator, et, ut alia omittam tuae gloriae insignia, ea aetate qua nullus Bergomi Brixiaeque prefecturas obiisti; sed non eo scribimus, ut quis me panegiricum agere aut tibi blandiri censeat. Unum peto, Avantium virtutes tuas colentem dillige. 50 55 60 65 70 75 80

stampatori che gli misero fretta, non poté intervenire convenientemente. Io ho tentato di correggere i suoi testi e di restituire ai versi scorretti alla giusta lezione, affinché vengano lamentate meno errori possibili all’interno dei testi di Benedetto; giudica tu se ci sono riuscito. E se troverai qualche mio errore indotto dal gioco e dal vino grazie al tuo ingegno perspicace, che si è cimentato in tutte le discipline e per il quale nessuna è oscura o incompresa, conseguirò quello che desideravo cioè che, grazie alle tue correzioni delle mie annotazioni sbagliate, avremo un Seneca ancora più pulito; e tu, con Raimondo, penserete a me e parlerete più a lungo di me: sembrerà infatti che io partecipi alle vostre discussioni. Di nuovo ho emendato il corrotto Lucrezio655 dai molti lumi di ingegno656, che ti avrei mandato se non ti avessi ritenuto impegnato nelle attività del capitanato; e i senatori Veneti conoscono così bene la tua incredibile diligenza, la solerzia e l’onestà nel gestire le cariche, che sei più noto e più amato presso il senato veneto per la liberalità, la magnanimità, l’integrità, la saggezza e lo straordinario tuo amore nei confronti della patria, di quanto tu non lo sia presso i dotti per la tua incomparabile conoscenza di tutto lo scibile. Per questa ragione tu, da ragazzo, fosti designato oratore al cospetto del sommo pontefice, e, omettendo gli altri insigni elementi della tua gloria a quell’età in cui nessun altro lo ha fatto hai affrontato il capitanato di Bergamo e di Brescia; ma mi fermo qui, in modo tale che nessuno ritenga che io ti faccio un panegirico o che ti aduli. Solo una cosa chiedo, che apprezzi Avanzi che onora le tue virtù.

25 pyrrichium : pyrhichium O 3. Avvertenza al lettore (B4v)

Adverte lector quod Avantius (ut Si avvisa il lettore che Avanzi (come si è

653 Sintagma catulliano: vedere Cat., 50, 6.

655 Il testo del De rerum natura di Lucrezio emendato da Girolamo Avanzi fu pubblicato a Venezia nel

1500 per i tipi di Aldo Manuzio (ISTC il00335000).

656 «Lucretius multis igenii luminibus» dovrebbe essere un’espressione entrata nell’uso dei dotti per

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praefatus est) emaculat solum tragoedias Florentiae impressas, utpote minus depravatas. Nam, si quis codices cum commentariis impressos657 emendare voluerit, Herculis labores sed inutiles experietur.

Ex hoc tamen Avantii opusculo adolescentes prospicient quas pedum mensuras Senecae versus admittant.

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detto nella prefazione) corregge solo le tragedie stampate a Firenze, in quanto meno corrotte. Infatti, se qualcuno volesse emendare le stampe con i commenti, sperimenterebbe le fatiche di Ercole, ma inutilmente.

Nondimeno da questo opuscolo di Avanzi i giovani studenti vedranno quali misure di piedi ammettano i versi di Seneca.

4. Colophon (B4v)

Impressum Venetiis per Ioannem Tacuinum de Tridino. MCCCCCVII die X aprilus

(sic!).

5. Legenda (B4v)

Dictiones quae habent primas duas litteras maiusculas sunt per Avantium emendatae.

Le espressioni che hanno le prime due lettere in maiuscolo sono state emendate da Avanzi.

657 Avanzi si sta riferendo chiaramente (e polemicamente) alle edizioni veneziane delle tragedie

immediatamente precedenti alla giuntina curata da Benedetto Filologo, ovvero alle edizioni del 1492 e del 1493, contenenti rispettivamente il singolo commento di Bernardino Marmitta e il commento del medesimo congiunto a quello di Daniele Caetani.

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Appendice VI Edizione 1514 (B)658

Seneca, Tragoediae, Paris, Josse Bade, 1514. Criteri di trascrizione

Rispetto alla stampa originale ho distinto le «u» vocaliche e semivocaliche dalle «u» consonantiche, indicando queste ultime con «v»; ho sciolto le abbreviature; ho uniformato l’uso delle maiuscole e inserito la punteggiatura conformemente all’uso moderno.

1. Frontespizio

L. Annei Senecae Tragoe||diae pristinae integritati restitutae: per exactissimi || iudicii viros post Avantium et Philologum. || D. Erasmum Roterodamum. || Gerardum Vercellanum. || Ægidium Maserium. cum metrorum praesertim tra||gicorum ratione ad calcem operis posita. || Explanatae diligentissime || tribus commentariis. || G. Bernardino Marmita Parmensi. || Daniele Gaietano Cremonensi. || Iodoco Badio Ascensio. || [Marca tipografica prelum Ascensianum.] || Vaenundantur ab

eodem Ascen||sio: Sub privilegio regio in calce explicando.

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Le Tragedie di Lucio Anneo Seneca restituite alla correttezza originaria da studiosi di accuratissimo discernimento dopo Avanzi659 e Filologo660: Desiderio Erasmo da Rotterdam, Gerardo da Vercelli661, Egidio Maserio662. Con la spiegazione dei metri, in particolare tragici, posta in calce all’opera. Illustrate assai scrupolosamente dai tre commenti di Gellio Bernardino Marmitta da Parma, Daniele Caetani da Cremona, Iodoco Badio Ascensio. Messo in vendita dallo stesso Ascensio, con privilegio del Re descritto in calce.

658 Cfr. Renouard 1908, pp. 252-253, che descrive l’edizione e trascrive la dedicatoria, talora sciogliendo

le abbreviazioni in modo diverso da me; e inoltre Renouard 1969, p. 129, n° 265. Per un commento alla prefazione e la trascrizione e traduzione in inglese di alcune frasi, vedere Gewirtz 2003, pp. 403-404 (e note 631-637). Per ulteriori notizie sull’edizione, cfr. Billerbeck 2004, p. 123 ss. e Billerbeck 2009, p. 247 ss.

659 Girolamo Avanzi, nato a Verona nel 1493, professore di filosofia e filologo. Cfr. IBI2, I, 166;

Mazzucchelli 1753, p. 1226; Eckstein 1871, p. 19.

660 Benedetto Riccardini detto “il Filologo”, umanista fiorentino. Insegnò grammatica alla scuola di San

Lorenzo a Firenze e curò numerosi testi classici per l’editore Filippo Giunti, in collaborazione con Pietro Crinito. Cfr. ABI, I, 136, 16; Negri 1722, p. 92; Bandini 1791; Black 2012, pp. 20-21. In particolare, per approfondire i presunti rapporti fra Riccardini e Machiavelli, vedere le diverse ipotesi di Black 2015 e Bausi 2016.

661 Gérard de Vercel, nato intorno al 1480 a Vercel, una cittadina della Borgogna (e non a Vercelli, come

alcuni erroneamente indicano). Studiò a Parigi e divenne proto e correttore nella stamperia di Ascensio. Cfr. § 2.2.7.1 di questa tesi.

662 Gilles de Mazières. Scarsissime le notizie su questo umanista francese. Collaborò con Ascensio e altri

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2. Dedicatoria (f. Aa1v)663

Generoso admodum viro raroque sapientis eloquentiae lepore decorato D<omino> Ioanni Landano, Landae Bougoniique in dioecesi Nannetensi domino humanissimo et Guilielmi Landani vulgo de la Lande664 procuratoris olim Britanniae generalis primogenito haeredique dignissimo Iodocus Badius Ascensius S<alutem> D<icit>

Quum Christo domino literisque bonis, vir literatissime, debeam omnia, unum tamen praecipuum exultabundo animo literis acceptum fero, quod illarum quantumvis tenuis modicaque in me opinio, magnorum illustriumque heroum gratiam amoremque mihi conciliavit. Ea enim effecit ut, cum nuper voti reus cum decentissima domina consorte tua academiam Lutetianam viseres, in complexus meos homuncionis tantilli, tam humano, hilari, benigno amicoque vultu et tanta lepidissimorum verborum festivitate praestantiam tuam demitteres, ut operae precium peregrinationis tam longinquae fecisse tibi viderere, quod me sospitem incolumemque conspiceres, neque vero salutasse iterum iterumque contentus665 magnifico insuper

apparatu accepisti. Cui humanitati cum propter locorum intercapedinem ne verbis quidem familiaribus

respondere possem, cogitavi

compendium, quo, multorum ore (modo multi haec lecturi sint), sed

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Iodoco Badio Ascensio porge il suo saluto al Signor Jean de la Lande669, uomo generosissimo e ornato della rara piacevolezza di un saggio eloquio, signore virtuosissimo di Bougon de la Lande nella circoscrizione di Nantes e primogenito e degnissimo erede del fu procuratore generale della Britannia Guillaume de la Lande670

Pur dovendo io tutto a Cristo Signore e alle belle lettere, o signore coltissimo671, riconosco però con animo esultante di avere un solo debito principale verso la letteratura, e cioè il fatto che, la reputazione che io ho in questo campo, per quanto modesta e misurata, mi ha procurato il favore e l’affetto di uomini valenti ed illustri. Essa infatti fece sì che tu, legato da un voto, poco tempo fa facendo visita all’Università di Parigi con la tua bellissima signora consorte, calassi la tua eccellenza nei miei abbracci di debole omiciattolo, con volto così umano, gioviale, benevolo e amico e con tale grazia di amabilissime parole, che sembrava che per te vedermi sano e salvo valesse la pena di un viaggio così lungo, e in verità, non pago di avermi fatto visita più e più volte, mi ricevesti con un magnifico apparato. E sebbene io, per la distanza che ci separa, non possa rispondere alla tua gentilezza neppure con parole amichevoli, ho pensato a una via più breve, con cui, per bocca di molti (purché molte persone leggano queste cose), ma con parole mie, ti sia reso omaggio, e per mezzo della quale gli amanti della mia dettagliatissima elucubrazione ti ringrazino

663 Questa lettera dedicatoria si può leggere in traduzione francese (ma senza trascrizione) in Lebel 1988,

pp. 142-144.

664 Letteralmente: Guilielmus Landanus, detto comunemente de la Lande. Il testo originale spiega così la

grafia del nome in latino.

665 «Contentus» regge l’infinito «salutasse».

669 Jean de la Lande, figlio maggiore di Guillaume de la Lande, fu un erudito, signore di Bougon a partire

dal 1505. Cfr. § 2.2.7.3 di questa tesi.

670 Guillaume de la Lande fu signore di Bougon a partire dal 1470 e procuratore generale della Bretagna

dal 1473 al 1487, al servizio del duca François II (anni di governo: 1458-1488). Cfr. § 2.2.7.3 di questa tesi.

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verbis meis saluteris, omnesque expositissimae lucubrationis nostrae amatores partem mecum gratiarum agant, quod, tuo praesidio faustoque

auspicio, L. Annei Senecae

Tragoedias tantorum virorum lucernis emaculatas et nostra explanatione tam familiari nunc legunt enarratas. In qua re (patieris enim si modicum per insipientiam glorier) tam feliciter videor mihi insudasse ut numquam prius. Nam authoris repositione per doctissimos viros D. Erasmum

Roterodamum, Gerardum

Vercellanum et Ægidium Maserium tam sum oblectatus, ut nullus in ipso explanando labor mihi fuerit laboriosus. Accesserunt sententiae ubique, ut gravissimae ita gratissimae, ea stili foecundissimi varietate perstrictae ut, cum sexcenties eaedem occurrant, semper tamen novae, semperque diversae videantur, ut vero sileam fructum legendae tragoediae omnibus perspicuum ac evidentem, qui est summos quosque et reges, et

principes humanorum casuum

admoneri666, cum videant e tam sublimi solio in tam demissum quam plurimos decidisse pulverem. Non tacebo quod in nullo alio auctore tam parabilis sit ad declamationem materia atque in isto, qui in omni fere tragoedia declamatoriam facit disceptationem, nunc patris cum filia, nunc alumnae cum nutrice, nunc alius

cum alio. Quocirca poterit

indulgentissimus et magnae spei, ut avum patremque virtute et sapientia referat filius tuus, ut consummatus orator evadat, haec poemata tuto legere, modo meminerit ipse et quivis alius adhuc ignotus rudisque lector, summopere, cum in aliis tum in hoc poeta, animadvertendum esse ex cuius ore proferantur sententiae, id est quo

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insieme a me, poiché, con la tua protezione e il tuo fausto auspicio, ora leggono le tragedie di Lucio Anneo Seneca corrette dal lavoro di così grandi studiosi e illustrate dal mio commento così accessibile. In questo lavoro (sopporterai infatti se mi vanto un poco scioccamente) mi sembra di aver faticato con tanto successo come mai prima d’ora. Infatti sono stato così deliziato dallo studio dell’autore da parte degli eruditissimi studiosi Desiderio Erasmo da Rotterdam, Gérard de Vercel672 e Gilles de Maizières673 che per me il lavoro di stesura del commento non fu per nulla difficile. [A dilettarmi] si sono aggiunte le sentenze, ovunque nel testo tanto gravissime quanto utilissime, condensate con una tale varietà del ricchissimo stile, che, anche se le stesse occorrono tantissime volte, appaiano tuttavia sempre nuove e sempre diverse; per non parlare dell’utilità di leggere la tragedia, chiara ed evidente a tutti, che consiste nel ricordare a tutti i potenti, re e principi, le vicende umane, vedendo quanti sono caduti in una così squallida polvere da un trono tanto elevato. Non tacerò il fatto che in nessun altro autore si trova una materia tanto adatta alla declamazione quanto in codesto, che quasi in ogni tragedia inserisce una controversia retorica, ora di un padre con la figlia, ora di una fanciulla con la nutrice, ora di qualcuno con qualcun altro. Di conseguenza tuo figlio, assai amabile e di grande avvenire, potrà leggere senza pericolo questi versi poetici, affinché assomigli al nonno e al padre per virtù e sapienza e diventi un perfetto oratore, purché egli stesso e qualunque altro lettore ancora indotto e inesperto consideri che, sia in questo poeta sia in altri autori, bisogna osservare con grande attenzione dalla bocca di chi vengono esposte le sentenze, sia in questo poeta sia in altri autori, cioè con quale intenzione muova gli affetti colui che le pronuncia, affinché non ritenga erroneamente affermato da Seneca ciò che è

666 La costruzione di admoneor in questo caso è la seguente: accusativo della persona a cui si rivolge

l’ammonizione e genitivo della cosa ricordata.

672 Filologo, poeta e curatore di testi per la tipografia ascensiana.

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animo affectum inducat qui eas pronuntiet, ne a Seneca assertum falso existimet quod a tyranno aut alioqui male affecto homine prolatum est. Vult enim quoties umbras ad perniciei conciliationem inducit verba iniqua proferentes, significare malos in ea perversitate qua mortui sunt obduratos667; quoties vero tyrannum aut scelestum quemvis hominem de peccatis aut malis suis exultantem facit, comprobat illud, licet forte non legerit: «Peccator, cum in profundum venerit, contemnet»668. Non igitur cum talis quippiam contemptor salutis suae, impia verba profundet, dicet ex poetae sententia processisse, nisi quatenus docere voluerit cavendum esse, ne in profundum malorum veniamus et similia sentiamus aut dicamus. Sed horum (ut dixi) rudes adhuc lectores admonitos volui. Te vero, virorum doctissime, haec citra periculum saepe perlegisse non dubito; iterum tamen lecturum spero, vel quod tuo nomini felicissimo dicata, vel ut iudicii nostri in tanta re periculum facias. Quod ut facias quamprimum non deprecor, sed precor: tantum, praeter solitum, mihi in hac opera accrevit fidutiae. Tu tamen boni consule ac vale. Ex chalcographia nostra, ad Nonas Decembris MDXIIII. 85 90 95 100 110 115

detto da un tiranno o da un uomo comunque malintenzionato. Infatti, ogni volta che [Seneca] mette in scena le ombre che pronunciano cattive parole per indurre alla rovina, vuole significare che i malvagi persistono nella perversità nella quale sono morti; ogni volta, poi che rappresenta un tiranno o qualunque uomo scellerato fiero dei propri peccati e dei propri delitti, comprova questo passo, pur senza averlo letto: «Il peccatore, dopo avere toccato il fondo, sarà incurante [della propria salvezza]». Dunque, non certo perché qualche sprezzatore della propria salvezza pronuncerà parole empie, il lettore potrà dire che ciò provenga dal pensiero del poeta, se non nella misura in cui egli avrà voluto insegnare a stare in guardia, affinché non giungiamo nel profondo dei peccati e pensiamo o diciamo cose simili. Ebbene (come ho detto) ho voluto che i lettori ancora inesperti fossero consapevoli di queste cose. Ma non dubito che tu, il più colto degli uomini, abbia spesso esaminato a fondo questi testi senza pericolo; spero che, tuttavia, li leggerai una seconda volta, o perché sono dedicati al tuo lietissimo nome,

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