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Immaginare le tragedie di Seneca: le miniature medieval

I codici miniati delle tragedie di Seneca presentano illustrazioni di due tipi: o un ritratto dell’autore131, o la raffigurazione delle scene principali dell’azione; le

illustrazioni erano solitamente collocate all’interno dell’iniziale miniata, o in una

131 Un esempio di questo uso è presente nel manoscritto Banco rari 49 della Biblioteca Medicea

Laurenziana di Firenze, risalente all’ultimo quarto del Trecento; in esso, Seneca è rappresentato all’interno di alcune iniziali miniate in veste di dottore medievale: una testimonianza del fatto che l’opera era ormai ben inserita nel contesto scolastico e letterario. Cfr. Villa 1996, p. 64; Fiaschi 2004.

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vignetta sulla carta in cui figurava l’incipit del testo. Sebbene le commedie e le tragedie durante il Medioevo non venissero rappresentate (Pietrini parla di una «rimozione della funzione spettacolare della drammaturgia» ad opera dei Padri della Chiesa132), esse suscitarono una grande fascinazione presso i miniatori. Infatti le scabrose trame tragiche, che non potevano essere oggetto di spettacoli pubblici o di opere di grande formato, furono spesso accolte nella sede più discreta delle miniature dei manoscritti133. La rappresentazione della violenza contenuta nelle storie mitologiche delle tragedie non era infatti giustificata da un motivo sacro o storico. Mentre fino ad almeno tutto il Cinquecento i soggetti tragici restarono confinati alla produzione manoscritta o a stampa, era invece comune trovare la raffigurazione di scene violente nei cicli pittorici biblici all’interno dei luoghi di culto, o di scene di guerra all’interno dei palazzi pubblici134. Pensiamo ad esempio alla raffigurazione del fratricidio di Abele ad opera di Caino, rappresentato con frequenza nelle cicli di affreschi di argomento biblico, ad esempio nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi, forse per mano di Giotto (1275 – 1299), oppure in una delle formelle a bassorilievo compiute da Jacopo della Quercia per la facciata della basilica di San Petronio a Bologna (1427-1437). Un terzo esempio è contenuto nel ciclo affrescato Storie della Genesi approntato da Paolo Uccello per il Chiostro Verde della Basilica di Santa Maria Novella di Firenze (1425- 1430). L’atto è rappresentato in maniera ieratica, fuori dal tempo: non c’è attualizzazione in queste immagini che pertengono alla sfera del sacro. Quanto al Nuovo Testamento, fra i soggetti pittorici più fortunati ci sono i martìri dei santi, che costituiscono vere e proprie meditazioni sulla sofferenza del corpo, cruciali in ottica cristologica e di Christomimesis135.

132 Pietrini 2001, p. 114.

133 E, più tardi, delle illustrazioni dei testi a stampa: cfr. il secondo capitolo di questa tesi.

134 Innumerevoli potrebbero essere gli esempi; basti ricordare la produzione artistica di Paolo Uccello, che

si occupò di soggetti sia religiosi che storici: si veda ad esempio il ciclo di affreschi Storie della Genesi del Chiostro Verde nella Basilica di Santa Maria Novella, in cui troviamo l’uccisione di Abele da parte di Caino (1425-1430), o il trittico della Battaglia di San Romano (1438).

135 I martìri furono oggetto di un vero e proprio genere letterario e illustrativo: il mart irologio, ovvero la

descrizione delle vite e delle morti dei martiri cristiani. Le illustrazioni rendevano immediata la comprensione della sofferenza subìta dai martiri cristiani, specialmente agli analfabeti: questi manoscritti illustrati erano solitamente posseduti dalle confraternite di Battuti, laici che si occupavano dell’assistenza dei condannati a morte durante i giorni precedenti la loro esecuzione. Parte preponderante dell’assistenza consisteva proprio nella meditazione sulle sofferenze patite da Cristo e dai Santi in vita e al momento della morte. Nelle illustrazioni vengono sottolineati gli aspetti che mostrano esplicitamente l’annientamento del corpo: il versamento del sangue, la scomposizione delle membra, etc. Il momento della sofferenza e mortificazione della carne era considerato una sublimazione verso la gloria della vita eterna.

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Per trovare riferimenti ai dettagli più cruenti delle vicende di Medea, Tieste, Edipo, oppure ancora della caduta di Troia, dobbiamo addentrarci all’interno dei manoscritti, evidentemente percepiti come la collocazione più adatta per temi affascinanti ma nel contempo spaventosi. Non a caso, le definizioni di tragedia più diffuse durante il Trecento, basate sull’auctoritas di Isidoro da Siviglia oppure sulla più recente proposta di Uguccione da Pisa (cfr. par. successivo), insistono particolarmente sulla violenza tipicamente inscritta in questo genere letterario. Da Isidoro da Siviglia apprendiamo che il soggetto delle antiche tragedie erano le «antiqua gesta atque facinora sceleratorum regum» (Etym., 8, 18, 45), ovvero le gesta antiche e i delitti dei re scellerati. I testi raccontavano scene che si prestavano all’illustrazione di re e regine coinvolti in situazioni sconvolgenti, in contrasto con l’apparente splendore e inattaccabilità del loro potere, simboleggiato dalle ricche vesti e dalle lussuose corti136.

Il miniatore più celebre delle tragedie di Seneca fu Niccolò di Giacomo di Nascimbene da Bologna, capobottega nella seconda metà del Trecento, attivo dal 1349 ai primi anni del 1400137. Egli fu il primo a cimentarsi nella «raffigurazione di temi piuttosto nuovi e non sempre facilmente visualizzabili»138 come erano le tragedie di

Seneca. Dagli anni Sessanta del Trecento in poi, egli cominciò a occuparsi dell’illustrazione di opere letterarie dell’antichità, producendo 5 esemplari delle tragedie senecane139 e 3 esemplari della Pharsalia di Lucano, di cui uno per Francesco

Gonzaga140. Nelle miniature di Niccolò da Bologna è evidente il tentativo di attualizzare le scene raffigurate, in modo da calare i personaggi senecani all’interno dell’ambiente cortese coevo: questo salta all’occhio, ad esempio, nella raffigurazione del macabro banchetto di Tieste alla c. 20r del manoscritto Marciano lat. XII 26 (un codice di pregio del 1385, posseduto da Giacomo Zabarella e poi dal cardinale Francesco Zabarella, che lo annotò141).

136 Non a caso, Pietrini (2001, p. 114) ha sostenuto che nel Medioevo «il teatro è un fenomeno lontano ma

una tentazione potente dell’immaginario».

137 Fornisco qui di seguito una bibliografia sulla produzione di Niccolò di Giacomo da Bologna: D’Arcais

1984; D’Arcais 1992; Todini 1994; Pasut 1998; Pasut 1999; Pasut 2013.

138 Pasut 2013, p. 226.

139 I 5 esemplari sono i seguenti: Milano, Bibl. Ambrosiana, C 96 inf.; Innsbruck, Universitätsbibliothek,

87; Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. XII 26; Vat. lat. 1645; Siena, Bib. Intronati, K V 10.

140 Cfr. Pasut 1998.

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Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Lat. XII, 26 (=3906), c. 20r. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Biblioteca Nazionale Marciana. Divieto di riproduzione.

Nella miniatura è raffigurato il vero e proprio banchetto di una corte medievale, con i musici che suonano il liuto (a sinistra) e la viella (a destra), strumenti tipici dell’epoca, il cui inserimento corrisponde al tentativo di attualizzazione del testo. I re gemelli vengono rappresentati identici, diversi solo per l’abito, molto più fastoso per Atreo, il re legittimo, che offre il cibo al fratello sulla destra, abbigliato con vesti più spoglie (difatti, Tieste aveva fatto ritorno presso Argo dopo un lungo esilio nel deserto). Notiamo che l’immagine parla al lettore, indicando esplicitamente quello che contengono le pietanze, ovvero le carni dei figli di Tieste: esse vengono rappresentate con le manine e i volti degli infanti, a differenza di ciò che accade nella “realtà” dell’azione tragica, dove il macabro pasto è camuffato da normale pietanza per non insospettire Tieste. D’altronde, nella miniatura, Tieste sembra mostrare sorpresa sollevando le mani. Perché il miniatore ha voluto rappresentare l’azione in maniera diversa rispetto al testo? Egli ha scelto la scena culminante del dramma, e ha voluto rappresentarla in maniera didascalica, permettendo al lettore di capire a prima vista quale fosse il soggetto della tragedia. Il criterio di rappresentazione non è dunque la fedeltà al testo, bensì l’efficacia di sintesi e di esposizione. In questo modo, la memorizzazione dell’azione principale è facilitata: la miniatura si somma all’argumentum trevetano esposto prima del testo e svolge una funzione comparabile ai versi mnemonici ideati da Pietro da Moglio (il cui verso relativo al Thyestes non a caso

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è focalizzato sul “fiero pasto” allestito da Atreo: «inde seconda142 dapes et prandia

saeva Thieste»)143.

1.11 Uguccione da Pisa, Giovanni di Garlandia e Dante: definizioni alternative del

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