Capitolo secondo Percorsi di integrazione tra identità in
2.2 La funzione della memoria e del ricordo nella creazione dell’identità
Per poter comprendere cosa sia l’identità è necessario esaminare i meccanismi attraverso i quali si forma, si consolida e si perpetua.
Tra questi un ruolo di primo piano è svolto dalla memoria.
La memoria non è una specie di contenitore in cui vengono raccolte e immagazzinate tutte le informazioni provenienti dai sensi o una fedele rappresentazione filmica degli avvenimenti trascorsi, ma è un processo attivo che seleziona alcune rappresentazioni al posto di altre, costruendo in questo modo dei ricordi selettivi ed incompleti. Questi “ricordi imperfetti” costituiscono le fondamenta delle identità individuali e collettive.
Il primo studioso ad interessarsi del rapporto tra memoria e identità collettiva è stato, nel 1920, Maurice Halbwach (allievo di Emile Durkheim), che ha dedicato molti dei suoi lavori allo studio della memoria come fenomeno sociale.
83
. Linton R, Studio sull’uomo, 1936, citato in Fabietti U., L’identità etnica, già cit., pp. 22-23.
84
Ogni gruppo, sostiene Halbwach, elabora una memoria “collettiva”, un fondo di ricordi di cui l’identità condivisa si alimenta. Tali ricordi possono esistere solo in presenza di tre fattori principali:
a) in riferimento a coordinate spazio temporali determinate; b) in relazione al gruppo medesimo;
c) mediante la ricostruzione continua della memoria stessa85.
Il primo punto mette in rilievo il fatto che i gruppi trovano un elemento di conferma della propria identità in elementi del paesaggio che essi tendono simbolicamente a riprodurre anche lontano dai luoghi originari. Su questi luoghi, investiti da una valenza affettiva, la comunità proietta la propria identità in quanto si tratta di luoghi nei quali essa individua simboli significativi della propria storia. Alcuni esempi sono la Terrasanta, il monte Sion o il Milite Ignoto.
Oltre che per lo spazio questo discorso vale anche per il tempo; degli esempi di “tempo vissuto in senso collettivo” sono le feste religiose che rappresentano per la comunità dei momenti di aggregazione e di ricordo delle radici comuni: il Ramadam rappresenta, ad esempio, il pellegrinaggio di Maometto, il Natale la nascita di Gesù, eccetera86.
Nel complesso, questi elementi dello spazio e del tempo “ci offrono un’immagine di permanenza e stabilità”87 indipendentemente dal fatto che siano pure rappresentazioni, riti o semplicemente “cose”.
In quest’ottica “simbolo, rito e mito sono elementi costitutivi e funzionali della memoria etnica, ma anche modalità mediante le quali questa memoria, accanto alla volontà, agli atteggiamenti e ai sentimenti collettivi, si rinnova e si autoalimenta. Talvolta anche gli oggetti sono utili ad alimentare la memoria etnica. Alcuni hanno valore nel ricordo dei singoli individui, altri vivono nel ricordo collettivo come simboli di identità. Una bandiera, una campana, un costume permettono di rivivere la propria appartenenza e la propria identità”88.
Riguardo al secondo punto, cioè il rapporto tra memoria collettiva e gruppo, viene messo in risalto il fatto che il gruppo elabora una “memoria del sé” attraverso la selezione degli elementi che enfatizzano la differenza del gruppo rispetto agli altri e mediante la tendenza a percepire la propria identità come “eterna” o almeno sostanzialmente inalterabile.
85
Fabietti U., Memoria ed identità, Meltemi, Roma, 1999, p. 9.
86
Fabietti U. , L’identità etnica, già cit., p. 146
87
Halbwach M., citato in Fabietti U. e Matera V., Memoria ed identità etnica, Meltemi, Roma, 1999, p. 10
88
Infine, il terzo punto mostra che non esiste un ricordo che sia tale in sé per sé. Per poter essere ricordato, un qualsiasi elemento deve essere filtrato da un complesso di fattori correlati che mutano sempre in relazione al presente, con la conseguenza che ciò che è nuovo può presentarsi come una sorta di passato ricostruito.
Gli studi sulla “memoria collettiva” condotti da Halbwach sono stati fonte di ispirazione per un altro importante studioso: l’egittologo J.Assman.
Assman, in linea con il pensiero di Halbwach, ha sostenuto che “tutte le comunità, per essere tali, debbono elaborare una “struttura connettiva” che leghi gli individui mettendoli in grado di pensare nella forma del “noi”. Tale struttura connettiva è costituita, egli sostiene, da regole e valori comuni, da un lato, e dal ricordo di un passato condiviso, dall’altro”89. Per quanto riguarda quest’ultimo elemento egli ritiene che esistono due modi diversi per memorizzare gli eventi trascorsi:
a) la memoria comunicativa; b) la memoria culturale.
La memoria comunicativa si verifica quando “il ricordo del singolo si fonda principalmente sull’interazione quotidiana ed informale, sociale e linguistica, con altri individui”90. La memoria culturale è invece “un’attribuzione di senso che si realizza mediante l’esplicito riferimento a simboli, riti e miti, ai quali viene affidata la funzione di esercitare un’azione di ripetizione e attualizzazione: ripetizione nel senso della riproposizione di una struttura significante incorporata in un simbolo, in un rito o in un mito; attualizzazione, nel senso che, in relazione al tempo presente, quel simbolo, quel rito o quel mito specifici vengono resi efficaci sul piano rappresentazionale e immaginativo, cioè come elementi fondatori dell’appartenenza e dell’identità attuali”91.
Un altro importante studioso che si è interessato al tema della memoria collettiva è stato il filosofo Paul Ricoeur.
Ricoeur ha sottolineato, nel suo testo Ricordare, dimenticare, perdonare, che la memoria collettiva è un tema tragicamente attuale e per questo non trascurabile, dal momento che “i nazionalismi, di cui deploriamo gli eccessi, danno grande valore ai ricordi condivisi proprio perché essi forniscono un profilo, un’identità etnica, culturale, religiosa a una data identità collettiva”92. Egli individua come caratteristica basilare della memoria collettiva il fatto che “non ci si ricorda da soli, ma con l’aiuto dei ricordi altrui. Inoltre i nostri pretesi
89
Fabietti U. Matera V., La memoria etnica, già citato, p.146.
90
Ivi.
91
Ivi.
92
Ricoeur P., Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 54.
ricordi sono molto spesso presi in prestito da racconti sentiti da altri. Infine è forse questo il punto decisivo, i nostri racconti sono inquadrati in racconti collettivi, essi stessi rafforzati da commemorazioni, celebrazioni pubbliche di eventi rilevanti, da cui è dipeso il corso della storia dei gruppi cui apparteniamo”93.
Tutti e tre gli autori citati hanno messo in evidenza il fatto che la “memoria collettiva” si basa su una selezione di ricordi che è finalizzata a rendere coesa e stabile l’identità del gruppo. Per ottenere questo risultato la memoria non si deve fondare solo sul ricordo ma anche sulla dimenticanza (l’oblio) di tutto ciò che può essere considerato fonte di disgregazione. Un esempio di questo processo è l’identità italiana. Da una parte sono stati enfatizzati tutti gli elementi comuni: la religione, lo spazio geografico, la lingua (anche se fino ad un secolo fa soltanto una percentuale bassissima della popolazione era in grado di parlare e scrivere correttamente in italiano). Dall’altra sono stati dimenticati o messi in secondo piano tutti gli elementi di disgregazione, un esempio è la completa rimozione della “memoria collettiva” della presenza degli altri popoli che si sono fermati e stabiliti nella penisola lasciando il segno tangibile della loro presenza (i greci, gli etruschi, gli slavi, i normanni, gli spagnoli, gli arabi, eccetera); tanto che molte delle differenze riscontrabili tra il Nord, il Centro e il Sud, sono dovute proprio al contatto degli autoctoni con queste altre popolazioni.