mal llamata “segunda generacion”
Grafico 4. Densità e popolazione degli immigrati secondo provincia di residenza
3.4 Le politiche migratorie in Spagna
In questo ultimo decennio, come si è visto nel precedente paragrafo, la Spagna è diventata in una delle principali mete dei flussi migratori internazionali. Questo repentino cambiamento ha obbligato il paese a confrontarsi con una nuova realtà sociale: la cospicua presenza di lavoratori stranieri nel territorio nazionale.
Una delle prime questioni che il governo ha dovuto affrontare è stata la regolarizzazione e la gestione dei nuovi flussi migratori, per adempiere a questo scopo negli ultimi trenta anni sono state emanate una serie di leggi specifiche sul tema dell’immigrazione.
La prima legge in materia di immigrazione (Ley organica 7/85, “Situacion nacional de
empleo”) risale al 1985. Secondo questa normativa un extracomunitario poteva ottenere un
contratto di lavoro regolare solo nei settori occupazionali che non erano coperti dalla manodopera locale (autoctoni o immigrati residenti), ciò significava che gli unici posti di lavoro a cui poteva ambire erano quelli che gli autoctoni rifiutavano perché ritenuti troppo duri, pericolosi o malpagati (le famose tre D: Dirty, Dangerous and Demeaning o
Difficult).
Da quanto detto risulta evidente che i lavoratori alloctoni erano considerati dal governo spagnolo semplicemente come una “macchina da lavoro” a basso prezzo, da usare solo in caso di bisogno; non a caso nel testo legislativo non veniva presa in considerazione nessun altra dimensione (sociale, formativa, eccetera) oltre che quella lavorativa. Per la legge spagnola l’immigrato esisteva esclusivamente come “prestatore d’opera”: “los ciudadanos
de paises tercero son contemplados como un ejercito de reserva laboral, movilizable solo con las medida y en el momento que lo requiera”183.
Nel 1993, con il crescere del fenomeno migratorio, i criteri che regolamentavano l’accesso in Spagna dei lavoratori extracomunitari divennero sempre più selettivi e restrittivi: fu introdotto il concetto di “quote” migratorie annuali (contingentes laborales anuales) e furono ridotte drasticamente le possibilità di entrare legalmente nel paese. Fino al 1997 un immigrato irregolare poteva ottenere un permesso di lavoro tramite il “regimen general”, un meccanismo giuridico che consentiva al datore di lavoro di assumere uno straniero anche se non aveva un permesso di soggiorno valido (una figura molto simile a quella dello Sponsor in Italia). Dopo il ’97 questa possibilità fu abolita, l’unica via d’accesso per entrare legalmente nel paese divenne il sistema delle quote migratorie. Ogni anno il governo stabiliva, a seconda dei bisogni e delle necessità del mercato di lavoro nazionale, il numero degli extracomunitari che potevano ottenere un permesso di lavoro. Questo
sistema era gestito dai consolati che, seguendo le direttive del governo, contattavano i futuri migranti direttamente nel paese d’origine. Gli obiettivi di questa trafila erano controllare e “selezionare” gli immigrati ancora prima che entrassero nel territorio e combattere la clandestinità; in realtà questo meccanismo non ha fatto altro che incentivare l’economia “sommersa” (visto che era impossibile per gli immigrati presenti nel territorio ottenere un contratto di lavoro regolare, la maggior parte di loro fu costretta a lavorare in nero).
Nel 2004, con il cambio di governo, si è aperto nuovamente il dibattito politico sull’immigrazione, per la prima volta questa scottante questione non ha interessato solo i partiti politici, ma ha chiamato in causa anche partners non istituzionali: i sindacati, le cooperative sociali e le imprese. Nonostante l’eterogeneità delle voci coinvolte i risultati prodotti non si sono distanziati molto da quelli enunciati nella legge precedente (ley de
extranjeria de 2003). Il nuovo regolamento mantiene la “Situacion nacional de empleo”
come criterio base per l’ammissione dei nuovi lavoratori immigrati. L’unica novità presente nel testo legislativo è che non si limita a descrivere esclusivamente le modalità d’accesso in Spagna per i nuovi immigrati (come avveniva nelle leggi precedenti), ma affronta anche il problema della “regolarizzazione” dei lavoratori “sin papeles” già presenti nel paese. Secondo questa legge l’immigrato ha a disposizione, per ottenere un permesso di lavoro legale, due canali distinti:
- i nuovi immigrati possono entrare legalmente nel paese attraverso i “contingentes laborales anuales” (quote migratorie) o i “permisos de temporada” (permessi stagionali). Anche se è stata ripristinata la via del “regimen general”, il canale di reclutamento preferenziale resta la contratation en origen (gli immigranti che arrivano già con un permesso di lavoro).;
- gli immigrati che risiedono illegalmente nel paese possono “regolarizzare” la loro situazione in due modi, uno ciclico l’altro permanente:
a) attraverso la “normalizacion regular”184; b) attraverso “el arraigo laborial185.
184
È una procedura legislativa che consente agli immigrati, che ne fanno richiesta, di regolarizzare la propria situazione lavorativa. Questa procedura viene messa in atto una tantum; può essere richiesta solo dagli immigrati che sono in grado di dimostrare che lavorano in Spagna da un determinato periodo di tempo. In Spagna è stata realizzata tra febbraio e maggio 2005. Il corrispettivo italiano è la “sanatoria”.
185
El arraigo laborial è una procedura legale che consente all’immigrato irregolare di regolarizzare la propria posizione lavorativa. Per attivare questo tipo di procedura l’immigrato deve dimostrare di vivere nel paese da almeno due anni e di lavorare da uno. Per dimostrare il vincolo lavorativo è obbligato a denunciare il datore di lavoro (la filosofia di fondo è che la situazione di irregolarità non è dovuta alle leggi troppo ferree che non consentono al datore di lavoro di regolarizzare i lavoratori extracomunitari, ma alla “cattiva” volontà dell’impresario). Una volta che viene messa in moto la procedura si suppone che l’impiegato verrà
Il fatto che si inizia a trattare il tema della regolarizzazione dei lavoratori stranieri già presenti nel paese è un segno tangibile della presa di coscienza da parte del governo della reale dimensione del fenomeno migratorio in Spagna. Ammettere l’esistenza dei flussi migratori irregolari, implica anche la predisposizione di mezzi e risorse per regolarizzarli: “Pero todo el edificio se construye a partir da la esistencia de puestos de trabajo formales:
sin contrato no hay regularizacion. El problema es que buena parte de los inmigrantes trabajan en empleo sumergidos, que, por definicion, no permette acceder a un contrato de trabajo (instrumento imprescindibile para la regolarizacion de los ya afincados en Espana) ni a la formacion de una domanda de trabajo formal (que pudiera ser canalizada a travez de los contigentes annuales)186 .
Un altro importante tema, affrontato dal governo in questi ultimi venti anni, è stato l’iter legislativo relativo alla scolarizzazione dei figli degli immigrati.
La costituzione spagnola del 1978, in linea con la normativa internazionale (l’Accordo di New York del 1966, gli orientamenti del Convegno dei Diritti dei Bambini del 1989 e le direttive del Consiglio d’Europa), definisce i diritti e i doveri fondamentali degli spagnoli e degli stranieri su uno stesso piano di uguaglianza di fronte alla legge. Questa equipollenza sancisce, a livello formale, il diritto dei figli degli immigrati di ricevere le stesse opportunità formative riservate agli autoctoni.
Il primo testo legislativo che tratta in modo esplicito il tema della scolarizzazione degli alunni stranieri, riconoscendone il diritto all’educazione e alla libertà di insegnamento (come previsto dalla Costituzione), è Ley Organica del Derecho a la Educacion (LODE), promulgata nel 1985. In questa normativa sono trattate quattro importanti questioni relative al tema dell’educazione degli studenti stranieri:
1) sono stabiliti i criteri per il riconoscimento dei titoli di studio superiori ottenuti all’estero; 2) viene garantito, ai rifugiati politici e ai loro discendenti di primo grado, il diritto
all’insegnamento elementare nelle stesse condizioni del paese di accoglienza (in accordo con i dettami della Convenzione di Ginevra del 1951);
3) si riconosce, tra i fini dell’attività educativa, un posto di primo piano “allo sviluppo della formazione per la pace, la cooperazione e la solidarietà tra i popoli187”; questi temi costituiranno la base di tutti i futuri progetti di educazione interculturale.;
regolarizzato automaticamente. Nella maggioranza dei casi però ciò non avviene, il rischio di licenziamento è altissimo (è difficile che il datore di lavoro assuma il dipendente che lo ha denunciato e costretto a pagare una multa salata)
186 Ivi, p. 38 187
Campani, L’educazione interculturale nei sistemi educativi nordamericani ed europei, Università degli Studi Roma Tre, Roma, 2007, p. 135.
4) si tutela, per quanto concerne l’educazione religiosa, la libertà di culto: “i genitori o i tutori sono liberi di scegliere per i propri figli la formazione che più si accorda con le proprie convinzioni188”. Il riconoscimento di questo diritto ha segnato un importante passo in avanti nella storia del sistema educativo spagnolo perché ha posto le basi per l’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione determinata da “ragioni ideologiche, religiose, sociali, morali, di razza… o di nascita189”nell’ammissione degli allievi nella scuola pubblica;
La normativa successiva, Ley de Ordenaciòn General del Sistema Educativo (LOGSE), promulgata nel 1990, ha introdotto due novità molto importanti che hanno gettato le basi per la Riforma scolastica del 2000:
- l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni;
- l’istituzione di un unico percorso liceale fino all’Università, affiancato da un percorso di formazione professionale.
Questa legge ha avuto, inoltre, il merito di introdurre nel dibattito legislativo i temi dell’educazione degli adulti e dell’educazione compensatoria.
Rispetto al tema dell’educazione degli adulti la legge garantisce a tutti i lavoratori o aspiranti tali la possibilità, in qualsiasi fase della vita, di “acquisire, attualizzare, completare o ampliare le proprie conoscenze e attitudini attraverso processi formativi che consentano un reale sviluppo personale e professionale”190. Questo tipo di formazione si rivolge naturalmente anche ai lavoratori stranieri che necessitano di una formazione in grado di facilitare il loro ingresso nel mercato lavorativo. Questa formazione deve avvenire in modo tale da essere “rispettosa della identità culturale e permettere (agli allievi) di collocarsi nel tessuto sociale di accoglienza, mediante un esercizio di riconoscimento reciproco”. Risulta evidente che l’obiettivo prioritario di tale formazione è favorire l’inserimento socio-lavorativo degli immigrati, nel completo rispetto della cultura di appartenenza. L’attuazione di questo obiettivo richiede la messa in atto di processi educativi capaci di arginare le mancanze formative dei lavoratori adulti e potenziare le loro capacità di interazione con il contesto sociale: “i poteri pubblici si occuperanno di preferenza di quei gruppi o settori sociali con carenza o necessità di formazione di base o con difficoltà nel loro inserimento lavorativo”.
Questo orientamento ha trovato terreno fertile anche nel campo scolastico. La scuola, secondo i dettami della LOGSE e della Costituzione, ha il compito di combattere il rischio 188 Ivi. 189 Ivi. 190 Ivi.
di marginalizzazione degli studenti che presentano problemi nel percorso di apprendimento e appartengono a classi sociali svantaggiate. Per raggiungere questo obiettivo la scuola deve riservare a questi alunni “attenzioni speciali” tese ad eliminare o ridurre lo svantaggio iniziale: percorsi formativi individualizzati, corsi di recupero, insegnanti di sostegno, eccetera. In questo contesto nasce l’educazione compensatoria.
La filosofia di fondo che guida le iniziative “compensatorie” è rintracciabile nel “principio di giustizia” enunciato da John Rawls. Secondo il filosofo americano la giustizia non consiste nella mera spartizione del “bene comune” in parti uguali, ma nel dare a tutti le stesse opportunità; ciò implica nella maggior parte dei casi “dare” di più a chi ha di meno. L’obiettivo di questa spartizione “non equa” è colmare lo svantaggio iniziale dovuto a fattori indipendenti dalla volontà del soggetto (economici, culturali, sociali, geografici, eccetera), in modo da poter consentire a tutti di raggiungere gli stessi risultati o almeno di essere nelle condizioni migliori per poterlo fare. Questo criterio guida emerge chiaramente nel testo legislativo nelle seguenti parole: ”le politiche dell’educazione compensatoria rinforzeranno l’azione del sistema educativo, in modo da evitare le diseguaglianze derivate dai fattori sociali, economici, culturali, geografici, etnici o di altra indole”191.
La suddetta norma prevede inoltre il decentramento regionale delle competenze; in campo educativo ciò si riflette nella libertà riconosciuta ad ogni comunità di progettare dei programmi di educazione compensatoria specifici per il proprio ambito territoriale, questa autonomia consente agli esperti di formazione di tarare le attività educative in base ai bisogni e alle carenze del target a cui si rivolge. Questa libertà progettuale acquista ancora più importanza e “utilità” nei contesti multiculturali, dove le variabili in gioco sono moltissime. Il numero, la nazionalità, l’età e le condizioni socio-economiche degli immigrati, come si è visto nel precedente paragrafo, variano notevolmente a seconda della comunità autonoma in questione (ad esempio: nelle Isole Baleari la maggioranza dei residenti stranieri è costituita da pensionati tedeschi mentre in Almeria la maggior parte degli stranieri è rappresentata da giovani magrebini), ciò implica che ogni comunità rappresenta un caso a sé e necessità di interventi mirati a risolvere i problemi specifici di quel contesto (una politica centralizzata non potrebbe tenere in considerazione queste diverse varianti sociali).
Le comunità autonome possono avvalersi nella progettazione delle attività compensatorie ideate per le minoranze etniche del seguente testo di riferimento: “Proyectos de
Compensasion Educativa de E.G.B.”. Questo progetto, elaborato nel 1990, dal Ministero
dell’Educazione e della Scienza, stabilisce gli orientamenti fondamentali per l’integrazione delle minoranze etniche nella società spagnola. È possibile individuare nel testo quattro punti salienti che contraddistinguono questo tipo di azione formativa:
1) la scuola deve predisporre le risorse umane, formali e materiali necessarie a favorire un reale processo di “integrazione” degli allievi di origine straniera nel sistema educativo; 2) integrare non vuol dire assimilare. Il processo educativo deve svolgersi nel pieno rispetto
dell’identità plurima del soggetto.
3) il piano curriculare deve promuovere condotte ed atteggiamenti in grado di sviluppare le abilità sociali di base, aumentare l’autostima, incentivare l’autonomia e la partecipazione del soggetto alla vita scolastica,
4) il programma scolastico deve contemplare anche la presenza di contenuti inerenti alle culture minoritarie, in modo da favorire e facilitare la conoscenza e la comprensione tra i membri delle diverse “culture”.
Nel 1995 è stata varata una nuova legge in campo educativo, denominata: Ley Organica de
la Partecipaciòn, la Evaluaciòn y el Gobierno de los centros escolasres (Lopeg). Nel 2002
questa legge è stata soppiantata dalla Ley Organica de Calidad de la Educaciòn (Loce), promossa dal governo di J.M Aznar. Questa legge ha dato adito a numerose discussioni in ambito politico ed educativo, è stata definita da molti una controriforma in quanto:
1) estendeva la scuola materna dal livello prescolar (3-5 anni) al livello asitencial (0-3 anni); 2) istituiva dei finanziamenti a favore delle scuole private;
3) prevedeva a 14 anni la canalizzazione forzata degli alunni su tre percorsi (pre-liceale, pre- professionale, pre-lavorativo) in base ai risultati scolastici;
4) stabiliva la bocciatura obbligatoria con due sole insufficienze;
5) introduceva un esame finale nel percorso liceale senza togliere gli esami di ammissione all’Università.
Questi provvedimenti sono stati in parte attenuati o aboliti in corso d’opera. Alla fine del percorso legislativo la nuova legge, denominata Ley Organica de Educacion (Loe), risulta essere una sintesi delle tre leggi precedenti, i principi fondamentali a cui si ispira sono quelli contenuti nella Lode del 1985.