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LA FUNZIONE DEI MERCATI RURALI NEL CONTESTO DELL’ECONOMIA DELLA TARDA ETÀ

5. IL MERCATO NEL REGNO LONGOBARDO

5.3. I MERCATI NELLA TARDA ETA LONGOBARDA

5.3.2. LA FUNZIONE DEI MERCATI RURALI NEL CONTESTO DELL’ECONOMIA DELLA TARDA ETÀ

L’economia della tarda età longobarda, come la maggior parte delle economie preindustriali, era caratterizzata da una bassa produzione a cui si associava una bassa domanda pro capite di prodotti. Ogni famiglia contadina produceva tutto il necessario al suo sostentamento e a quello dei suoi animali, realizzando in ambito domestico anche la maggior parte degli oggetti e degli attrezzi che utilizzava quotidianamente. In condizioni normali ogni gruppo familiare poteva, senza troppi problemi, sopperire alle sue necessità alimentari grazie allo sfruttamento delle risorse agricole e di quelle silvo-pastorali.257

Qual’era, in questo contesto economico, la funzione dei mercati rurali di cui ci parlano le fonti?

Crediamo che i mercati del monastero di Nonantola e quelli citati nel privilegio di Adelchi dovevano svolgere funzioni simili ai mercati “periferici” dell’Africa occidentale descritti da Bohannam e Dalton.258

I contadini longobardi, come quelli africani, dovevano rivolgersi al mercato solo occasionalmente, per acquistarvi quei beni e quei servizi che non producevano e che non riuscivano a procurarsi attraverso altre modalità di scambio, e per procurarsi il denaro necessario per pagare i canoni colonici.

Sebbene la pratica non fosse generalizzata nella tarda età longobarda, alcuni coloni erano forzati dai loro padroni a vendere una parte della loro produzione per ottenere il denaro necessario a pagare i canoni in moneta che andarono ad affiancarsi, in questi anni, a

257 Sulla produzione e la consumazione contadina uno studio accurato è stato effettuato da Montanari: MONTANARI (M.), L’alimentazione contadina, 1979 ed in particolare il cap. I della parte terza. Sulla logica dell’economia anche WICKHAM (C.), La società dell’alto medioevo, 2009, pp. 569-584. In generale sull’economia delle società preindustriali fondamentali sono stati i lavori di SAHLINS (M.D.), Age de pierre Age dabondance

,1979 e BOSERUP (E.), Evolution agricole, 1970.

109 quelli in natura. Sui 14 contratti agrari con coltivatori, di età longobarda, a noi giunti, in almeno la metà dei casi una parte del censo è versato in moneta.259

Come ha dimostrato Georges Despy, in un bel saggio apparso nella rivista “Revue du

Nord” del 1968, l’introduzione di affitti in moneta presuppone tanto l’esistenza di un surplus

produttivo contadino che di mercati dove rivenderlo.260

Sebbene le fonti longobarde non ci abbiano conservato il nome di nessun mercato, i diplomi a favore di S. Salvatore di Brescia e al monastero di Nonantola non lasciano dubbi sulla loro presenza nelle campagne.

Il coinvolgimento della popolazione rurale nei mercati non doveva comunque esaurirsi nella vendita di prodotti agricoli, e forse artigianali, al fine di ricavare il denaro necessario ad adempiere alle clausole dei contratti agrari. I contadini delle campagne longobarde dovevano anche, occasionalmente, far ricorso al mercato per procurarsi quei prodotti che non producevano e che non potevano procurarsi attraverso forme di scambio, quali il dono e la ridistribuzione.

Si è sovente portati a vedere l’economia altomedievale come un sistema autarchico in cui tutto veniva prodotto e consumato all’interno della singola unità produttiva.

È stato ampiamente dimostrato che i contadini nelle loro fattorie, così come i grandi proprietari terrieri nei loro possedimenti, tendevano all’autosufficienza, soprattutto dal punto di vista alimentare. Tuttavia la completa autosufficienza, come hanno sottolineato diversi studi storici in questi ultimi decenni, è un obiettivo quasi mai raggiungibile, soprattutto al livello delle singole unità produttive.261 Appare infatti improbabile che i contadini pervenissero tutti gli anni alla piena autosufficienza alimentare, vista la subordinazione dell’agricoltura altomedievale ai fattori naturali. La carestia era un pericolo

259 I 14 contratti con coltivatori di età longobarda a noi giunti sono tutti raccolti nel Codice Diplomatico Longobardo di CDL, I, n° 55, 57, 85; II, n° 139, 166, 167, 176, 238, 263, 264, 273, 280, 283. Normalmente il canone è in parte in moneta in parte in natura.

260D

ESPY (G.), “Villes et campagnes”, 1968, pp. 145-168.

261

MONTANARI (M.), L’Alimentazione contadina nell’alto medioevo, 1979 e PASQUALI (G.), “I problemi dell’approvvigionamento alimentare”, 1981, pp. 91-116.

110 sempre presente e anche una minima variazione climatica poteva causare un cattivo raccolto.262

A ciò si deve aggiungere che alcuni contadini disponevano di appezzamenti di terra troppo piccoli o non sufficientemente produttivi per sostenerli.

In questo caso, ed in annate di cattivo raccolto, si può ipotizzare che la singola famiglia contadina ottenesse quello di cui aveva bisogno attraverso l’aiuto di familiari e dei vicini, oltre che, nel caso dei coloni dipendenti, tramite i trasferimenti di prodotti dalle corti più produttive effettuate dai loro padroni. Si può però ritenere che in caso di necessità essa ricorresse anche all’acquisto di generi alimentari nel mercato.

Tuttavia, in condizioni normali, gli abitanti delle campagne dovevano frequentare i luoghi di scambio principalmente per acquistare alcuni manufatti artigianali e quei prodotti d’importazione ma di uso comune. Pensiamo ad esempio al sale, essenziale nella preparazione e nella conservazione degli alimenti, prodotto nelle saline poste sulla costa, o ai recipienti in pietra ollare, realizzati in ateliers delle alpi centrali.263 Questi prodotti erano capillarmente distribuiti tanto nelle città che nelle campagne, il che sottintende un’ampia rete di centri di distribuzione posti sul territorio.

Certamente, tra le merci commerciate nei mercati rurali, dovevano avere grande importanza le materie prime, i semi lavorati e i prodotti dell’artigianato locale.

Nei pressi di Misobolo, nel 1985, fu rinvenuto un basso fuoco a pozzetto e frammenti di scorie, provenienti dallo stesso forno, derivanti dalla lavorazione del ferro. La struttura del basso fuoco, così come l’area insediativa di cui faceva parte, sono collegabili ad un periodo compreso tra il VI e l’VIII secolo.264

Questa struttura produttiva non faceva parte di un area produttiva più ampia, ma doveva essere l’elemento centrale di un piccolo atelier metallurgico funzionale alle esigenze del piccolo centro abitato.

262

MONTANARI (M.), L’Alimentazione contadina nell’alto medioevo, 1979.

263 Sul commercio e la distribuzione della pietra ollare nell’Italia altomedievale rinviamo in particolare a: A

LBERTI

(A.), “Produzione e commercializzazione della pietra ollare in Italia”, 1999, pp. 335-339. 264

CIMA (M.), “Metallurgia in ambiente rurale”, 1986, pp. 173-189. Sull’artigianato metallurgico in età longobarda: LA SALVIA (V.), “Artigianato metallurgico dei Longobardi”, 1998, pp. 7-26.

111 Per quel che ci riguarda è interessante notare che Misobolo si trova nella pianura canavesana, a 20 km dai più vicini giacimenti di ferro e, data la configurazione geologica del territorio, è impossibile che il minerale fosse reperibile a breve distanza.

Gli scavatori del sito ne deducono dunque che doveva esistere un mercato del metallo con centri di distribuzione sparsi sul territorio.

E’ comunque possibile ritenere che la produzione e la vendita del metallo e degli oggetti finiti prodotti nella piccola officina poteva integrare l’economia, sostanzialmente agricola, del villaggio.

Non doveva essere quindi infrequente che artigiani vendessero i loro prodotti e mettessero a disposizione la loro opera nei mercati. Come abbiamo visto in precedenza, in una delle leggi di Liutprando gli artigiani, associati ai mercati, sono descritti mentre si spostavano all’interno e al di fuori del regno per commerciare.

Certamente i dati a nostra disposizione sono insufficienti a descrivere in modo compiuto le caratteristiche proprie dei mercati rurali e le loro funzioni nel contesto dell’economia della tarda età longobarda. Tuttavia la sensazione che si ha è che, sebbene questi mercati fossero marginali nell’approvvigionamento alimentare delle comunità rurali e sostanzialmente ininfluenti sulla produzione agricola ed artigianale, essi avessero un ruolo non trascurabile nel sistema commerciale dell’Italia longobarda essendo il centro di scambi non solo a livello locale ma anche regionale ed interregionale.

In una società in cui più del 90% della popolazione era coinvolta nella produzione agricola, la domanda pro capite di prodotti della popolazione contadina, sebbene bassa, nel suo complesso doveva essere non irrilevante ed avere una sua importanza nelle dinamiche commerciali della regione.