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6. IL MERCATO NELL’ITALIA CAROLINGIA

6.6. MERCANTI CAROLINGI

Sebbene gli usi notarili del IX secolo, omettendo spesso la qualifica dei testimoni, renda difficile la loro identificazione, il numero dei mercanti recensiti in questo secolo appare notevole e mostra una loro distribuzione nelle principali città dell’area padana e della Toscana. Mercanti sono infatti citati nelle carte delle città di Milano, Brescia, Pavia, Cremona, Verona, Lodi e Lucca (Vedi appendice 1).

Sebbene, come abbiamo visto nel capitolo precedente, l’attività di mercanti longobardi sia documentata sin dall’epoca di Liutprando, un ulteriore sviluppo dei commerci in alcuni centri urbani deve essere fatto probabilmente risalire ai primi anni della dominazione carolingia in Italia.

Rivelatore di questo fenomeno è il placito di cui abbiamo detto in precedenza, tenuto a Pavia da Teodorico, inviato da Ludovico II per dirimere una controversia tra il vescovo di Cremona e gli abitanti della città che lamentavano una ingiusta riscossione, da parte dell’alto prelato, del ripatico, della palifittura e del pasto, tributi un tempo pagati dai comacchiesi. Dai testimoni chiamati durante il dibattito giudiziario veniamo a sapere che, al tempo di Pipino e Carlo, i cremonesi si recavano a Comacchio sulle stesse navi dei milites comacchiesi per procurarsi sale e spezie, che poi rivendevano nell’entroterra. Solo più tardi, probabilmente intorno all’820, i mercanti di Cremona iniziarono a svolgere i loro commerci con navi proprie.355

Questo documento, eccezionale sotto molti punti di vista, sembra essere una prova dello sviluppo dei commerci effettuati dai mercanti del Regno nel corso dei primi decenni dell’epoca carolingia.

354

I diplomi di Berengario I, cap. 343, pp. 658-659.

355 F

141 In questa prospettiva l’aumento del numero di negotiatores attestati dalle fonti non è forse d’attribuirsi esclusivamente ad una maggiore numero di carte di IX secolo conservatesi, ma ad un effettivo aumento degli scambi in quest’epoca.

Durante l’epoca carolingia le città continuarono ad essere il campo d’azione privilegiato dei mercanti ed il loro luogo di residenza, poiché, in essa, si concentrava la domanda di beni per la presenza dell’aristocratica laica ed ecclesiastica.

Una consistente comunità di mercanti è testimoniata a Milano, concentrata in particolar modo nel centro cittadino, nella zona detta Quinquae vias, corrispondenti alle attuali via del Bollo, via S. Maria, via S. Maria Podone, via S. Maria Fulcorina e via Beccaria, nell’area dell’antico foro romano,356 nella zona detta Colonna Orphana,357 probabilmente sempre nell’antico centro di Milano e, in un caso, in prossimità della Porta Ticinense.358

Ma non è nella sola città che troviamo i mercanti. Sin dai primi anni del IX secolo alcuni mercanti risiedevano anche in piccoli centri, probabilmente a dimostrazione di una crescita dell’importanza del commercio rurale. La ricca documentazione milanese rivela l’esistenza di negotiatores tra l’Adda ed il Lambro, a Cologno Monzese, Pioltello e Agrate Brianza.359

Nei mercati del Regno, a questi mercanti che praticavano il commercio per il loro profitto personale, si affiancavano i dipendenti delle abbazie. Questo abbiamo visto accadere per Il monastero francese di Saint Denis, che ricevette da Ludovico II l’autorizzazione per dodici uomini liberi alle sue dipendenze di commerciare liberamente in Valtellina,360 come pure di libertà di movimento ed esenzioni fiscali usufruivano anche gli uomini del monastero di Nonantola, che si muovevano nei territori sotto la giurisdizione carolingia con navi, carri e a piedi per commerciare.361

356 (a. 776) CDSA, n° XIV, pp. 54-55; (a. 796) CDSA, n° XXIII, pp. 96-97. 357 (a. 777) Il museo diplomatico, I, n° 24.

358

(a. 847) CDSA , n° LXI, pp. 257-258.

359 Sulla presenza a Milano e nei centri vicini di mercanti durante l’età carolingia si veda: S

ALVATORI (E.), “Spazi mercantili e commerciali a Milano”, 1993, pp. 243-285.

360

MGH, Lothari I diplomata, n° 13, p. 79. 361

142 Un documento sembra però mostrarci l’esistenza di mercanti che lavoravano al contempo per se e al servizio di enti monastici. Ci riferiamo a quello del gennaio dell’861 dove Amelberga, badessa di Santa Giulia di Brescia, ricevette da Ludovico II l’esenzione dal ripatico, dal cispatico e dal teloneo per quelle merci che avesse affidato al negoziante Januarius che avrebbe poi venduto assieme alle proprie merci. 362

6.7. NOTE CONCLUSIVE

Il quadro che si è disegnato nel corso di questo capitolo appare molto lontano da quel concetto di economia chiusa un tempo dominante tra gli storici. Sebbene sia innegabile una generale tendenza all’autarchia, è stato nondimeno possibile rilevare un complesso e capillare sistema degli scambi in cui erano coinvolti, in modo non secondario, i maggiori enti religiosi dell’epoca. Le reti di trasporto organizzate da questi ultimi nelle loro proprietà per i bisogni interni si raccordavano infatti, attraverso dipendenze (cellae, porti e magazzini) ai centri urbani, dove confluivano i flussi dei commerci a breve, media e lunga distanza.

Ma l’economia di scambio si manifesta anche all’interno stesso delle aziende curtensi.

Nel contesto dell’economia curtense i mercati non ci appaiono come dei corpi estranei ma, al contrario, come degli utili strumenti nelle mani dei signori per una più efficace gestione delle loro proprietà. L’apertura verso il mondo dello scambio sembra, infatti, essere necessario per ottimizzare l’utilizzo delle risorse, oltre che per approvvigionarsi di quei beni che non era possibile produrre direttamente.

La revisione delle fonti documentarie ha soprattutto messo in rilievo lo sviluppo di una rete di luoghi di scambio complessa, modellata sulle città e sui principali percorsi che attraversavano l’Italia settentrionale. Sulle terre dei grandi enti religiosi, oltre ai mercati “curtensi” legati ad un commercio dal respiro essenzialmente locale, erano ugualmente installati mercati che, per la loro prossimità ad importanti vie di comunicazione fluviale e terrestre, che facevano capo a città quali Como, Pavia e Piacenza, ma soprattutto Venezia, dovevano essere inseriti in circuiti di scambio a livello interregionale ed internazionale.

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