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5. IL MERCATO NEL REGNO LONGOBARDO

5.4. PORTI FLUVIALI O MERCATI?

Paese piano, caratterizzato da una ricca produzione agricola e da una fitta rete di centri urbani, l’area padana si è da sempre aperta alle regioni confinanti tramite le sue numerose vie fluviali e lacustri.

112 Non sorprende dunque che, in un tale contesto geografico, i primi provvedimenti regi relativi a rapporti commerciali all’interno del regno abbiano riguardato esclusivamente le vie fluviali che appaiono, già all’inizio dell’VIII secolo, punteggiate da numerosi porti.

Nel famoso Capitolare di Liutprando, datato al 715, gli abitanti di Comacchio ricevevano dal re la conferma della libera navigazione e commercio lungo il corso del Po e dei suoi affluenti in cambio del pagamento di dazi, in denaro ed in natura, nei porti di Mantova, Capo Mincio - Brescia, Cremona, Parma, Porto d’Adda e Piacenza.265

Come abbiamo visto nel primo paragrafo di questo capitolo, è molto probabile che le merci trasportate dai milites nei porti padani fossero vendute e scambiate con prodotti locali direttamente sulle banchine degli approdi fluviali.

Ricordiamo a tal proposito il praeceptum del re Ildeprando a favore della chiesa di S. Antonino di Piacenza dove si affermava che le “naves militorum”, non sappiamo se comacchiesi o di qualche altra città della costa nord-adriatica, ormeggiavano nel porto detto Codaleto, non lontano dalla città, “ad negotiandum”. 266

Allo stesso modo attività commerciali dovevano aver luogo in quei porti dove il monastero di S. Salvatore di Brescia non pagava il siliquatico, una tassa di mercato.267

Dobbiamo concludere, sulla base di queste testimonianze, che tutti i porti fossero, in quest’epoca, anche dei mercati?

Come mostrano in modo chiaro le fonti scritte, gli approdi fluviali, ed in particolar modo quelli connessi ai centri urbani, erano un punto di arrivo e di passaggio obbligato delle merci del commercio internazionale. Spezie, olio, vino, e garum erano venduti dai milites delle città lagunari nei porti delle città padane dove si concentrava la domanda di beni di lusso dell’aristocrazia longobarda.

Attraverso i porti, posti sul Po ed i suoi affluenti, dovevano inoltre essere commercializzati prodotti d’uso comune come il sale, alcuni tipi di manufatti, quale la pietra ollare, che trovava nei laghi prealpini e nei fiumi i suoi assi preferenziali di distribuzione.

265 F

ASOLI (G.), “La navigazione fluviale”, 1978, pp. 583-592.

266

CDL, III, n° 68, pp. 324-326. 267

113 Nonostante ciò, nella maggior parte dei casi, gli approdi posti lungo i fiumi e le sponde dei laghi dovevano svolgere semplicemente la funzione di punto di carico e scarico di cose e persone nel quadro del sistema logistico delle grandi aziende agricole. Lo mostrano chiaramente le numerose esenzione dai ripatici e telonei di cui godono i principali centri monastici del regno.

Paradigmatici in tal senso i casi del porto della corte di Alfiano, posto sul fiume Oglio, che la badessa di San Salvatore di Brescia, Anselperga, acquistò dalla famiglia di Gisulfo268, e quello della corte di Oliveto, vicino Grosseto, da dove partiva la nave carica di sale e grano che i fratelli Autperto e Lutperto dovevano condurre verso un porto sulla costa toscana. In quest’ultimo caso il porto sembra essere funzionale al trasporto dei prodotti delle curtis del vescovo di Lucca. 269

5.5. NOTE CONCLUSIVE

Le più antiche testimonianze di cui disponiamo relative a mercati ed attività commerciali nel regno longobardo risalgono al regno del re Liutprando. Sono quelle relative ai negotiatores residenti nelle città di Lucca, Pavie e Milano e al patto tra i milites di Comacchio con i longobardi per il commercio sul Po ed i suoi affluenti.

Il regno di questo sovrano presenta diversi caratteri di novità rispetto a quelli dei suoi predecessori, in particolar modo da un punto di vista economico. Infatti non solo i mercati, ma anche i mercanti e gli artigiani entrano nel campo di attenzione del legislatore, che prende atto del mutato clima economico, frutto probabilmente della pace del 680, che portò ad una più diffusa mobilità di persone e cose.

A partire da questo regno, e con sempre maggiore frequenza nei decenni successivi, le fonti sembrano suggerire l’esistenza di una organizzata e complessa rete di relazioni economiche, in cui erano coinvolti, oltre ai mercanti, di cui ci hanno lasciato ampia testimonianza le carte e le fonti legislative, anche altri gruppi sociali, in una misura che è oggi difficile da determinare, ma che comunque non sembra essere irrilevante. Particolarmente

268

BARBIERI (E.) et alii, Le carte del monastero di S. Giulia di Brescia, n° 15. 269

114 attiva e dinamica appare inoltre, in questo periodo, l’azione economica dei centri della costa adriatica, che sviluppano stretti e diretti rapporti commerciali con l’area padana ed italica.

E’ in questo contesto sociale ed economico in divenire verso nuove forme organizzative che deve probabilmente inserirsi lo sviluppo di una rete di mercati nei territori del Regno, di cui le fonti ci lasciano solo intravedere l’estensione. Rete che sembra avere i suoi punti nodali nei mercati delle città che, sebbene non siano direttamente menzionati dalle fonti, trovano testimonianza della loro presenza nelle comunità di mercanti all’interno delle loro mura e dall’arrivo nei loro porti delle navi dei milites. Mercati che non sembrano essere destinati all’approvvigionamento della popolazione cittadina ma alla raccolta ed alla ridistribuzione dei prodotti del commercio regionale, quali il sale e la pietra ollare, e delle merci orientali a cui erano interessate le élites longobarde. Non sorprende dunque che i mercanti, e dunque i mercati urbani, sembrino concentrarsi in città quali Pavia, Milano e Lucca, poste in aree – la val padana a la costa tirrenica - dove agivano anche gruppi di matrice bizantina, quali i milites di Comacchio e i Graeci, che svolgevano il ruolo di intermediari con lo spazio commerciale mediterraneo.

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