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MERCATI E DIRITTO DI MERCATO NELLA TARDA ETA LONGOBARDA

5. IL MERCATO NEL REGNO LONGOBARDO

5.3. I MERCATI NELLA TARDA ETA LONGOBARDA

5.3.1. MERCATI E DIRITTO DI MERCATO NELLA TARDA ETA LONGOBARDA

Vorrei cominciare la ricognizione delle evidenze documentarie concernenti i mercati di epoca longobarda prendendo le mosse dal famoso diploma di Astolfo al monastero di S. Silvestro di Nonantola, emesso dal sovrano il 18 febbraio del 752.240

Nel 750 o 751 Anselmo, duca del Friuli e cognato di Astolfo, aveva fondato a Nonantola, su terre donate dal re, un monastero che fu intitolato a S. Maria e S. Benedetto. L’anno successivo il sovrano, secondo il documento a noi giunto, avrebbe confermato tutti i beni già concessi al monastero elargendo, al contempo, nuove terre e privilegi, tra cui l’esenzione dal pagamento dei telonei e dei ripatici, dovuti nelle varie città del regno, ed il

239 A Milano (a. 776), CDSA, n° XIV, pp. 54-55; (a. 777) I MDM, I, n°24. a Pavia (a. 769) Cod. Dipl. Long., n° CCXXXI, pp. 287-293; ad Asti (a. 788), ChLA, XXVII, n° 835.

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103 diritto a costruire mercati sulle proprietà monastiche e a riscuotervi i dazi che si fossero ritenuti opportuni.

Il Tiraboschi, primo editore di questo documento, rimase stupito e dubbioso di fronte a questi provvedimenti di tipo commerciale che gli sembravano incongrui con la vita monastica.241

Dubbi e perplessità espresse anche nei numerosi studi che seguirono, soprattutto a causa delle difficoltà d’interpretazione del processo di formazione del documento, essendo questo un falso dell’XI secolo.

Tuttavia sia Bruhl, che ne ha curato l’edizione nel “Codice diplomatico longobardo”, che la Fasoli,242 ritennero il documento attendibile nel suo contenuto essendo stato realizzato tenendo conto di genuini diplomi di Astolfo. Anche Settia, nella sua comunicazione sui mercati extraurbani altomedievali, tenuta a Spoleto nel 1992, sostenne la veridicità della testimonianza fornita dal diploma astolfiano, ed in particolare quella del passo concernente la concessione del diritto di mercato al cenobio.243

Anche sostenendo l’attendibilità delle testimonianze fornite da questo documento, dobbiamo tuttavia rilevare che esso presenta elementi di eccezionalità che lo discostano dagli altri privilegi reali a noi giunti.

Mentre altri monasteri ricevono dai sovrani esenzioni di tipo fiscale concernenti, tra l’altro, il pagamento di telonei, ripatici e portatici, non conosciamo altri esempi di concessione del diritto di mercato e dei tributi pertinenti.

Riteniamo infatti, in disaccordo con Settia, che il privilegio di re Adelchi, dell’11 novembre 772 al monastero di S. Salvatore, fondato nella città di Brescia tra il 753 ed il 759 per volere della regina Ansa, non faccia riferimento al diritto di riscossione del teloneo e del siliquatico in tutti i mercati e i porti poste nelle terre del cenobio, come da lui sostenuto, ma ad un’esenzione dalle tasse sui commerci per il monastero e gli abitanti delle sue terre. Il sovrano infatti concede: “omnes scufias publicas et angherias atque opera set dationes vel

collectas seu teloneo et siliquatico de singulas mercatoras et portoras, ut homines de

241 T

IRABOSCHI, Storia, 1785, p. 14.

242 Gina Fasoli si è occupata di questo diploma in un ampio studio sulle ricerche storiche sull’abbazia di Nonantola. FASOLI(G.),“ L’abbazia di Nonantola”, 1943, pp. 90-142.

243 S

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supradicta monasteria tam servi quam aldione svel liveri homines, qui in terra de ipsa venerabilia loca resedent, ut ab omnibus suprascriptis scufii publicis et angaria atque operibus et dationibus vel collectas seu teloneo et siliquatico seuro nomine…per nostra mercede liceat deservire. ”.244

Questa lettura, proposta anche dagli ultimi editori del documento245, trova sostegno in un provvedimento simile emesso da Astolfo a favore del monastero di Farfa, in cui appare con maggiore chiarezza la volontà del sovrano di dotare il cenobio di strumenti giuridici atti a facilitare il movimento di cose e persone. Il sovrano infatti concede: “omne teloneum et

portaticum vel ripaticum atque terraticum, que pro singula loca civitatum et portuum homine de ipso monasterio vel ipsum monasterium de qualicumque causa dare debuerunt, ut a nullo homine, castaldio vel quolibet actionario aliquam dationem vel teloneum in ipso monasterio exigunt.”.246

Queste testimonianze offrono un quadro significativo sotto molti punti di vista. Si nota innanzitutto che il sostegno dato dai sovrani ai grandi monasteri del regno si esprime in primo luogo attraverso la donazione di beni fondiari, in larga parte provenienti dal publicum, e la concessione di esenzioni di tipo fiscale, alcune delle quali riguardano il pagamento dei tributi sul trasporto e la vendita di prodotti.

Per comprender la funzione di queste immunità nel contesto politico ed economico della tarda età longobarda dobbiamo innanzitutto ripercorrere la storia di alcune di queste strutture religiose.

Come è noto, sin dalla sua fondazione, il monastero bresciano di San Salvatore fu dotato da Desiderio e dalla sua famiglia di un’enorme quantità di terre e rendite per la maggior parte provenienti dal fisco regio. Donazioni simili furono effettuate, in quegli stessi anni, dai sovrani e dai loro familiari ai più importanti cenobi del regno.247

244 CDL, III/1,n° 44, pp. 251-260.

245 Il documento è stato recentemente pubblicato sul sito del Codice Diploamtico della Lombardia Medievale (http://cdlm.unipv.it/edizioni/bs/brescia-sgiulia1/carte/sgiulia0772-11-11B).

246 CDL, III/1, n° 43, pp. 247-251. 247 Sui monasteri di età longobarda C

ANTINO WATAGHIN (G.), “Monasteri di età longobarda”, 1989, pp. 73-96. In

particolare sul rapporto tra grandi proprietà ecclesiastiche e sovrani si veda: GASPARRI (S.), “Grandi proprietari e sovrani”, 1980, pp. 429-442.

105 Queste donazioni di terre fiscali, sovente poste anche a grande distanza dal centro monastico, erano innanzitutto destinate a garantire le risorse necessarie al sostentamento del cenobio a cui erano concesse; tuttavia esse dovevano rappresentare per i sovrani un mezzo per dotare di soliti puntelli il potere regio sul territorio.

Questo appare chiaramente nell’attenzione offerta al monastero di S. Salvatore da re Desiderio e da suo figlio Adelchi. Inviso all’aristocrazia longobarda, che si era stretta intorno a Rachis, Desiderio cercò di assicurarsi un duraturo potere familiare al vertice del regno attraverso l’accrescimento ed il potenziamento dei beni del monastero bresciano andando a creare un grande polo d’aggregazione fondiaria, e dunque di potere politico ed economico, sul territorio.248

In tal senso la fondazione del monastero di Nonantola sembra preconizzare alcuni degli aspetti che abbiamo visto per S. Salvatore di Brescia. Sorto intorno al 750 per iniziativa di un membro della famiglia del re Astolfo, in un area di confine tra l’Emilia longobarda e i territori bizantini prossimi a Ravenna, il nucleo del suo patrimonio terriero andò a costituire un avamposto del potere regio in un area particolarmente sensibile.249

In un tale contesto politico le esenzioni di tipo fiscale ci appaiono complementari alle donazioni fondiarie e funzionali a questo programma di rafforzamento del potere regio attraverso i patrimoni monastici.

Se come scrive Federico Marazzi: “la sensazione che si ha è quella di un uso dei

patrimoni monastici come sorte di “depositi fruttiferi” delle proprietà fiscali”250, le immunità fiscali si configurano non solo come un mezzo per svincolare le terre monastiche da poteri radicati a livello locale, permettendo un controllo diretto del sovrano sugli uomini ivi residenti, ma anche come uno strumento attraverso il quale erano amplificate le potenzialità economiche di questi possedimenti, a tutto vantaggio dei centri monastici e dei loro reali protettori.

248 Del ruolo del monastero di S. Salvatore di Brescia nella politica di Desiderio e della sua famiglia: D

ELOGU (P.)-

GUILLOY (A.) -ORTALLI (G.), Longobardi e Bizantini, 1980, pp. 183-184 e GASPARRI (S.), “Grandi proprietari e sovrani”, 1980, pp. 429-442.

249 La storia della fondazione del monastero di Nonantola in F

ASOLI (G.), “ L’abbazia di Nonantola”, 1943,

pp. 90-142 250

106 Le esenzioni dai siliquatici, telonei, ripatici e portatici dovevano infatti consentire una più libera ed efficace azione economica consentendo, al contempo, di ridurre in maniera significativa l’erosione delle entrate frutto dei commerci del monastero che ne era beneficiario.251

Le esenzioni dai tributi sui commerci, insieme alle altre immunità reali, consentivano quindi a grandi monasteri, quali Nonantola e San Salvatore di Brescia, di condurre non solo una più vantaggiosa gestione dei loro patrimoni, ma anche di allargare e rafforzare la base del potere sovrano sul territorio.

Sostenere che la politica dei sovrani longobardi a sostegno delle fondazioni benedettine si esprimesse, dal punto di vista giuridico, non tanto con la concessione dell’esercizio di prerogative e funzioni pubbliche, quali il diritto di mercato o la riscossione dei tributi, quanto piuttosto attraverso le esenzioni fiscali, non implica, necessariamente, che non vi fossero mercati sulle proprietà monastiche né un minore coinvolgimento dei cenobi negli scambi.

Il diploma di Astolfo e quello di Adelchi sembrano indicare l’esistenza di ampie reti di mercati installati sulle terre di Nonantola e San Salvatore, mentre l’esenzione dalla tassa sul trasporto delle merci a fini commerciali, il teloneo, e sul mercato, i siliquatici, concessi in mercati, porti, città ed altri luoghi, mostrano con chiarezza il coinvolgimento dei monasteri in commerci di breve, medio e lungo raggio.

Una prova di questa azione dei grandi proprietari terrieri, soprattutto ecclesiastici, nei traffici di tipo commerciale all’interno del regno e nei mercati cittadini, ci sembra fornita da una serie di documenti di area toscana. In queste carte alcuni coloni, dipendenti da diversi signori, promettono di effettuare dei trasporti dai loro fondi verso il centro abitato di Roselle.

Aude e Teudiperto sottoscrissero un contratto in cui, tra le prestazioni a fornire a Guntifrido di Chiusi, vi era anche il trasporto di diversi moggi di sale dalle loro case, poste al

251

Di grande interesse su questo tema le considerazioni di Marazzi in particolare sulle fondazioni benedettine dell’Italia meridionale: MARAZZI (F.), “San Vincenzo al Volturno tra VIII e IX secolo”, 1996.

107 di là del fiume Ombrone, alla città,252 mentre, nel 770, Atto prometteva di portare gli animali del vescovo di Lucca dal vico Valeriano a Roselle .253 Otto anni prima anche Ermicauso aveva l’onere del trasporto di un animale in maggio e un di maiale in autunno nella stessa città di Roselle da Tocciano.254

Nell’anno 768 i fratelli Autperto e Lutperto promettevano, alla chiesa di S. Martino di Lucca, di trasportare sulle loro navi sale e grano da Oliveto, dove risiedevano, ad un porto, non meglio specificato, sulla costa toscana.255

Il trasporto e la concentrazione in un solo luogo dei prodotti delle terre di differenti proprietari terrieri, che avevano le loro residenze principali in città molto distanti da Roselle, ci porta a ritenere che il bestiame ed il sale menzionati dalle carte fossero destinati al commercio.

A tal proposito ricordiamo che Roselle è posta in una posizione geografica particolarmente interessante da un punto di vista commerciale: il centro abitato dominava il versante sud-orientale del “lago” Prile, via naturale di comunicazione con il mare.

Nel concludere sui mercati della tarda età longobarda, vorrei porre in evidenza che il loro sviluppo deve essere fatto risalire ad un epoca ben anteriore la metà dell’VIII secolo.

Infatti, nell’articolo 79 delle leggi di Liutprando, emesso nel 726, egli decreta: ” De eo

homine qui cavallo in mercato conparare voluerint, ut ante duos aut tres homines emere deveat nam non segrete…” affinché possa presentare i testimoni nel caso in cui qualcuno lo

accusi del furto del cavallo.256

Questo provvedimento, che costituisce la prima menzione di mercati presente nelle fonti di età longobarda, mostra chiaramente che già nei primi decenni dell’VIII secolo i mercati presenti nel regno dovevano essere abbastanza numerosi. Come già abbiamo visto, la legislazione dei sovrani longobardi si caratterizza per la sua “fattualità”, ossia dal nascere e costruirsi sui fatti. I mercati dunque dovevano essere abbastanza frequenti nei territori del

252 CDL, II, n° 264, pp. 265-267. 253

CDL, II, n° 263, pp. 362-365. 254 CDL, II, n° 238, pp. 303-305.

255 CDL,II, n° 223, pp. 260-262, “…id est granum et salem, traere promittimus de finibus Maritima usque in

portum illum ubi est consuetudo venire latore et salem de ipsa casa ecclesiae …”.

256

108 regno da portare il sovrano a legiferare in merito alle eventuali dispute che potevano sorgere sulle compravendite.

5.3.2. LA FUNZIONE DEI MERCATI RURALI NEL CONTESTO DELL’ECONOMIA DELLA TARDA