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Come si è scritto diffusamente nel paragrafo che precede, l’utilizzo di topo-nimi o indicazioni geografiche all’interno dei marchi non risulta nella prassi così semplice e lineare. Si è visto, infatti, come sia precluso l’inserimento di un’indicazione geografica in un marchio individuale, a meno che si tratti di un collegamento frutto della fantasia, come ad esempio il caso delle note chewing-gum Brooklyn da sempre prodotte in Italia , ma 95 anche come l’indicazione geografica, seppur introdotta in un marchio collettivo o di certi-ficazione, necessiti comunque di ulteriori adempimenti, come la predisposizione di un re-golamento d’uso, in base al quale il titolare, tramite controlli, avrà l’arduo onere di coordi-nare tante imprese utilizzatrici. Proprio a fronte di tali difficoltà di operare quel

G. CAFORIO, La tutela delle tipicità appartenenti alla pubblica amministrazione, in Il Mulino, 1, 2014, p.

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3.

C. GALLI, I toponimi, tra tutele, volgarizzazione e diritti consolidati, in Il Mulino, 1, gennaio-aprile 2014,

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p.3.

G. CAFORIO, La tutela delle tipicità appartenenti alla pubblica amministrazione, in Il Mulino, fasc.1,

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gennaio-aprile 2014, p.10 «Il caso Torino è il ponte di Brooklyn. Chi ricorda la pubblicità (i più giovani no) di un chewing-gum che evocava un bene culturale, o architettonico, che sta a New York, nessuno ne dubita, e che con New York non c’entrava niente. È stato oggetto di discussione e si è ritenuto che, sì, era evocativo, perché il chewing-gum lo hanno portato in Italia gli americani, noi non lo conoscevamo, però l’impresa era italiana e allora si diceva che la pubblicità era ingannevole. Poi, alla fine, è stato ritenuto che non lo fosse, perché era un utilizzo di un elemento geografico di fantasia».

mento tra prodotto agroalimentare e territorio, a garanzia della qualità, il legislatore comu-nitario ha dato vita a nuovi segni distintivi, i quali sono in grado di rispondere a finalità ulteriori, rispetto a quelle perseguite dai marchi, proprio per il fatto che DOP e IGP salva-guardano le tradizioni produttive locali e tutelano qualità e sicurezza del prodotto e loro relativa comunicazione, da un punto di vista pubblicistico, dove primaria attenzione vuole essere data agli interessi del consumatore. Per fare chiarezza si possono, in generale, di-stinguere le indicazioni geografiche semplici, che indicano solo l’origine del prodotto, sen-za alcun nesso tra questa e le caratteristiche del prodotto, le indicazioni geografiche quali-ficate che comunicano l’origine e anche il legame tra questa e le caratteristiche del prodot-to, le indicazioni geografiche dirette che consistono nel preciso ed esatto nome della locali-tà geografica in cui il prodotto è ottenuto e infine le indicazioni geografiche indirette che non consistono in un toponimo, ma tuttavia evocano il luogo geografico dove il prodotto è ottenuto . 96

Essendo collocate sempre all’interno del complesso sistema dei segni protet-ti dal c.p.i., anche le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche sono dei veri e propri diritti di proprietà industriale, oggi estesi a tutti i settori merceologici, sebbene ori-ginariamente introdotte dalla normativa europea per il solo settore agroalimentare e in ticolar modo per il settore vitivinicolo. Il legislatore europeo infatti nonostante, da una par-te, si sia preoccupato di armonizzare gli interventi nella politica agricola per i vari prodotti agricoli, come si evince dall’introduzione del Regolamento 1308/2013, c.d. OCM unica, dall’altra ha mantenuto ancora una distinzione netta nella tutela delle indicazioni geografi-che tra il settore vitivinicolo, disciplinato dal Regolamento UE n. 479/2008 e le restanti 97

Si veda A. GERMANÒ, La disciplina dei vini dalla produzione al mercato, (in F. ALBISINNI), Le regole del

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vino. Atti del Convegno (Roma 23-24 novembre 2007), Milano, Giuffrè, p 34-35.

Secondo l’opinione di alcuni un valido esempio di indicazione geografica indiretta che l’Italia avrebbe dovu-to difendere davanti alla Corte di Giustizia come tale era quella del caso del vino dovu-tocai del Friuli. Invece nella decisione della Corte di Giustizia C-347/03, si è confermato che il nome «tocaj» è l’indicazione geografica di un vino ungherese, mentre il nome «tocai» è solo un nome delle varietà italiane di vite, così che il vino italia-no italia-non potrà più chiamarsi tocai. In realtà, pur essendo vero che in Friuli italia-non vi è nessun luogo geografico denominato tocai, va detto che tale nome andava considerato un’indicazione geografica indiretta, così come era accaduto di fatto, nelle cause riunite C- 465/2002 e C- 466/2002, per un altro caso che aveva toccato, in questo caso, un prodotto agroalimentare della tradizione greca, il formaggio feta, che pur non corrispondendo ad alcun luogo geografico, è in grado di evocare indiscutibilmente la regione della Grecia che si caratterizza per la produzione di quel formaggio.

Si veda A. GERMANÒ, Le regole del vino, (in F. ALBISINNI), Le regole del vino. Atti del Convegno (Roma 23-24 novembre 2007), Milano, Giuffrè, p 315.

Regolamento CE n. 479/2008 del Consiglio del 29 aprile 2008 concernente l’organizzazione comune del

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mercato vitivinicolo, in GUCE L 148 del 6 giugno 2008, pp. 1-61. Oggi il presente Regolamento non è più in vigore, come si dirà in seguito.

categorie di prodotti agroalimentari, dove il regime di qualità delle DOP, IGP e STG è 98 disciplinato dal disciplinati nel Regolamento n.1151/2012. Di regola va precisato che la normativa europea si dimostra più favorevole alla tutela di indicazioni geografiche locali e regionali, anziché nazionali . Sostanzialmente l’introduzione di tali segni distintivi, a par99 -tire dagli anni ’90 del secolo scorso, ad opera dei Regolamenti comunitari, è iniziata in tempi relativamente recenti, rispetto alla originaria disciplina di diritto industriale domesti-ca, nata per disciplinare principalmente i marchi nel 1942. Nel nostro Codice di Proprietà Industriale le denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche sono disciplinate negli artt. 29 e 30 che le ricomprendono all’interno dell’insieme dei segni distintivi, rendendo anche questi segni oggetto di un diritto assoluto di natura proprietaria.

Le DOP e IGP rappresentano dei segni geografici che evocano un legame tra il prodotto e territorio, o meglio, come si evince dall’art. 29 c.p.i. identificano «un pae-se, una regione o una località» da cui origina un prodotto le cui qualità, reputazione o ca-ratteristiche dipendono dall’ambiente geografico, nonché da fattori naturali, umani e di tra-dizione. Se nel caso delle DOP le qualità del prodotto sono dovute essenzialmente ed esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, caratterizzato dai suoi fattori umani, naturali e di tradizione, viceversa nel caso di IGP le qualità del prodotto sono sì attribuibili ad una determinata origine geografica, ma che non è da intendere, in questo caso, come origine esclusiva del prodotto.

La denominazione d’origine protetta è un nome che identifica un prodotto originario di un determinato luogo geografico, regione, e in casi eccezionali paese, avente qualità dovute essenzialmente od esclusivamente ai fattori naturali e umani, che sono il frutto di una tradizione locale riconosciuta in un disciplinare di produzione, il quale nel prescrivere diverse intensità di controlli da parte della pubblica amministrazione (o più propriamente dai Consorzi di tutela) darà vita a DOP, DOC o DOCG. Le fasi di produzione avvengono nella zona geografica determinata dal disciplinare, il quale contiene informa-zioni sui titolari della DOP, informainforma-zioni sul prodotto e sulle sue caratteristiche, sulla zona

Tali acronimi si riferiscono alle denominazioni di origine protetta, alle indicazioni geografiche protette e

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alle specificità tradizionali garantite, ossia nomi tradizionali di specifici prodotti agricoli o alimentari tradi-zionali il cui carattere non risieda nella provenienza o nell’origine geografica.

M. RICOLFI, Marchi di servizio, non registrati e collettivi, in P. Auteri, G. Floridia, V. Mangini, G. Olivie

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-ri, M. Ricolfi, R. Romano, P. Spada, Diritto industriale proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, Giappi-chelli Editore, 2016, p. 177.

di produzione e sugli organi deputati a svolgere i controlli sul rispetto del disciplinare stes-so. Le indicazioni geografiche protette sono nomi che identificano, invece, prodotti origi-nari di un determinato luogo, regione o paese, in grado di evocare anche solo una qualità, o un’altra singola caratteristica o la reputazione e sottoposti, per almeno una fase della pro-duzione, ad operazioni che si realizzano nella zona geografica delimitata. Un ulteriore, sebbene marginale, strumento di tutela della qualità è rappresentato dalle specialità tradi-zionali garantite, le quali costituiscono un nome utilizzato in modo costante a livello locale per indicare un prodotto con delle caratteristiche merceologiche che derivano da una pro-duzione tradizionale, oppure ottenuto da materie prime o ingredienti utilizzati tradizional-mente.

Le tre tipologie di segni appena delineate possono valorizzare un prodotto anche a prescindere dall’uso esplicito di un nome geografico, in quanto tali indicazioni sono «riferibili ex se ad un’origine geografica anche in assenza di un nome geografico in quanto tale» , perché rappresentativi di un territorio anche senza un riferimento ad 100 esso . Per quanto riguarda i due segni più importanti, gli elementi distintivi essenziali tra 101 DOP e IGP sembrano potersi circoscrivere, per le prime, nel nome che si ricollega ad un

«milieu gèographique sul piano della qualità effettiva del prodotto contraddistinto», per le seconde, nel nome che si ricollega solo ad una «qualità percepita, ossia alla reputazione» . Molto più semplicemente la differenza principale consiste nel più o meno 102 intenso rapporto tra l’origine e le caratteristiche-qualità del prodotto: nella DOP questo rapporto risulta più rigido, nella IGP è più attenuato . Analizzando nello specifico i due 103 segni ci si accorge che il loro utilizzo è permesso soltanto alla presenza di alcuni elementi oggettivi: il rispetto delle regole di produzione stabilite nel relativo disciplinare, la prove-nienza dal territorio determinato col provvedimento legislativo o amministrativo istitutivo, e nel solo caso delle DOP, la presenza di fattori ambientali o umani caratteristici. Va poi notato che l'uso di un'indicazione geografica, DOP o IGP, non è oggetto di appropriazione

F. ALBISINNI, Strumentario di diritto alimentare europeo, Milano, UTET giuridica. 2020, p. 295.

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Tale modifica normativa si è resa necessaria a seguito della sentenza della corte di Giustizia del 2005 con

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la quale aveva riconosciuto che la denominazione «Feta», anche in assenza del nome geografico «Grecia» è percepito dai consumatori come formaggio greco.

C. GALLI, I toponimi, tra tutele, volgarizzazione e diritti consolidati, in Il Mulino, 1, 2014, p. 5.

102

A. BRANDONISIO, Il fenomeno dell'Italian Sounding e la tutela dell'agroalimentare italiano, in Cultura

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e diritti, p. 111.

proprietaria o di titolarità privatistica da parte di soggetti identificati, ma sono parte di un patrimonio utilizzabile dall’intera comunità dei produttori che operano a livello locale . 104 Infatti, come si vedrà più diffusamente nell’ultimo paragrafo del presente capitolo, va chia-rito che i Consorzi di tutela delle DOP e IGP e quindi anche i Consorzi di tutela dei vini a denominazione non sono proprietari e non possono disporre delle indicazioni geografiche o cederle a terzi, «ma sono chiamati esclusivamente a compiti di tutela e valorizzazione nel-l’interesse dell’intera comunità degli utilizzatori, attuali e potenziali, della denominazione geografica anche se non iscritti al Consorzio» . Si può dire, infatti, che DOP e IGP rap105 -presentino un ibrido, in quanto, da una parte, sono regolate da una normativa di carattere principalmente pubblicistica, seppur a tratti commissionata da elementi di derivazione pri-vatistica propri della disciplina dei marchi e dall’altra sono gestite da consorzi volontari di diritto privato e non dalla pubblica amministrazione . 106

Per quanto riguarda l’iter di formazione, va precisato che esso è molto com-plesso e si compone di: una richiesta formale di registrazione di DOP e IGP, corredata da un apposito disciplinare di produzione e presentata all’autorità dello stato membro compe-tente, seguita da una preliminare fase istruttoria con relativo un esame da parte della Commissione europea e successiva approvazione dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, il MIPAAF; a seguito di tutto ciò viene operato un conclusivo esa-me, nuovamente ad opera della Commissione Europea, la quale, infine, provvede alla regi-strazione dell’indicazione geografica.

2.4 I RAPPORTI DI INTERFERENZA TRA LE INDICAZIONI GEOGRAFICHE E